Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22500 del 05/02/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22500 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARROZZAITALO N. IL 11/01/1934 (CM -C tto Z,

TAL )

avverso la sentenza n. 660/2005 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 10/01/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADRIANO IASILLO;

Data Udienza: 05/02/2013

Carrozza Italo
N.R.G. 20285/2012
Considerato che:
L’Avvocato Giacomo !aria — difensore di Carrozza Italo – ricorre
avverso la sentenza, in data 10.01.2012, della Corte d’appello di Reggio
ricettazione, alla pena di anni 4 di reclusione ed E 5.000,00 di multa, e,
chiedendone l’annullamento, osserva che è carente la motivazione in ordine:
alla ritenuta responsabilità penale del Carrozza; alla mancata derubricazione
della ricettazione nel reato di cui all’articolo 712 del cod. pen.; al diniego
dell’attenuante di cui al capoverso dell’art. 648 del cod. penale.
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata. Infatti, nel momento del controllo di
legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia — come nel caso di specie – compatibile con il senso
comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”,
secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^ sent. n.
47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n.
1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436
del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono
le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del necessario
contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni,
ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si
palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti la Corte territoriale
ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutti i
motivi dai quali desume la piena responsabilità dell’imputato per il reato di cui
sopra. A solo titolo di esempio, appare opportuno ricordare che la Corte di
appello ha sottolineato che il ricorrente non ha mai fornito una giustificazione

Calabria, confermativa della sentenza di condanna, per il reato di

plausibile sul perché avesse il possesso dell’assegno di provenienza
delittuosa. Si deve, in proposito, ricordare che questa Suprema Corte ha più
volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che ai fini della
configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può
essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente
acquisto in mala fede (Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud.
dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003
Ud. dep. 10/04/2003 – Rv. 224634). Lo stesso ricorrente cita, poi, a pagina
2 del ricorso un principio consolidato di questa Suprema Corte (richiamato
anche dal Giudice di merito a conferma di quanto da questi ritenuto) secondo
il quale in tema di delitto di ricettazione, deve affermarsi la consapevolezza
della illecita provenienza in capo al soggetto che riceva o acquisti moduli di
assegni bancari al di fuori delle regole che ne disciplinano la circolazione, dal
momento che il modulo di assegno bancario è documento che, per sua
natura e destinazione, è in possesso esclusivo della persona titolare del
conto ovvero della persona da questi delegata o che l’abbia ricevuto
legittimamente (Sez. 2, Sentenza n. 13606 del 2010, non massimata), ma
senza alcuna motivazione se ne discosta chiedendo la derubricazione nel
reato di cui all’art.712 del cod. penale.
Da tutto quanto sopra la Corte territoriale, correttamente, ricava, invece,
la sussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione. Si osserva,
in proposito, che le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di
legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai
principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso
di specie (Cass. pen. Sez. Un., 24 novembre 1999, Spina, 214794).
Quanto sopra spiega, con evidenza, anche perché la Corte non abbia
ravvisato il reato di cui all’articolo 712 del c.p. e perché non vi sia la
necessità di ulteriore spiegazione sul punto, oltre a quella esaustiva fornita
dal Giudice di merito. Infatti tale deduzione difensiva è logicamente
incompatibile con la decisione adottata e pertanto non era neppure
necessario che fosse confutata esplicitamente (Sez. 4, Sentenza n. 1149 del
24/10/2005 Ud. – dep. 13/01/2006 – Rv. 233187). A tal proposito questa

rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un

Suprema Corte ha, infatti, più volte, affermato il principio — condiviso dal
Collegio — che la regola della “concisa esposizione dei motivi di fatto e di
diritto su cui la decisione è fondata”, enunciata dall’art. 546, comma primo,
lettera e), cod. proc. pen., rende non configurabile il vizio di legittimità
allorquando nella motivazione il giudice abbia dato conto soltanto delle
ragioni in fatto e in diritto che sorreggono il suo convincimento, in quanto
incompatibili con la ricostruzione del fatto recepita e con le valutazioni
giuridiche sviluppate. (Sez. 4, Sentenza n. 36757 del 04/06/2004 Ud. – dep.
17/09/2004 – Rv. 229688). In realtà, come si è già evidenziato, la Corte di
appello ha fornito invece una sufficiente e logica motivazione sulla questione
(si veda la pagina 2 dell’impugnata sentenza).
Manifestamente infondata è anche la generica doglianza relativa al
diniego dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648 del cod. penale.
Invero non risulta che tale doglianza sia stata presentata con l’appello e,
quindi, non può certo essere proposta per la prima volta avanti a questo
Giudice di legittimità. Anche a proposito di tale doglianza si deve rilevare che
il difensore dell’imputato cita — a pagina 3 del ricorso – un principio
consolidato di questa Suprema Corte — condiviso dal Collegio – secondo il
quale in tema di ricettazione, ai fini della configurabilità dell’ipotesi attenuata,
di cui al secondo comma, non rileva esclusivamente il valore della cosa
ricettata, ma si deve avere riguardo anche agli elementi previsti dall’art. 133
cod. pen., compreso, come nel nostro caso, i precedenti penali (Sez. 2,
Sentenza n. 3188 del 08/01/2009 Ud. – dep. 22/01/2009 – Rv. 242667;
quelle citate dal ricorrente sono: Sez. 2, Sentenza n. 45831 del 12/11/2009 e
Sez. 2, Sentenza n. 32832 del 09/05/2007 Ud. dep. 13/08/2007 – Rv.
237696). Orbene il difensore dell’imputato non tiene conto che la Corte di
appello nel respingere la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio e al
diniego delle attenuanti generiche afferma a pagina 3 che il Carrozza non è
meritevole “di alcun benevolo trattamento di favore” proprio in relazione alla
sua personalità essendo un

“soggetto ormai da tempo dedito alla

consumazione di reati contro il patrimonio, con spiccata e reiterata tendenza
a delinquere”.

quelle contrarie devono considerarsi implicitamente disattese perché del tutto

A fronte di quanto sopra il ricorrente — come si è già detto —
contrappone, quindi, solo generiche contestazioni, che non tengono conto
delle argomentazioni della Corte territoriale.
In proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso
dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi
l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel
vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod.
proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n.
39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 05/02/2013

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano ‘asino

sidente
Dotto

L o Carmenini

impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non

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