Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22496 del 18/11/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 22496 Anno 2016
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMATI GIOVANNI N. IL 31/03/1958
avverso la sentenza n. 11169/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del
27/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 18/11/2015

-udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Giovanni Di
Leo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
– udito il difensore dell’imputato, avv. Pierluigi Molaro, in sostituzione dell’avv. Giuseppe
Fevola, che ha concluso riportandosi al ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 27.5.2014 la Corte d’Appello di Roma confermava la

condannato alla pena dì anni tre e mesi sei di reclusione, concesse le attenuanti generiche
equivalenti all’aggravante dì cui all’art. 219 L.Fall., per i reati di bancarotta fraudolenta
documentale e distrattiva, per avere, in qualità di amministratore di fatto della Tekim s.r.I.,
dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Velletri in data 20.1.2003, sottratto tutti i libri e
le scritture contabili, in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari e per aver distratto i beni strumentali della società, due autoveicoli un
Fiat Ducato 280 tg. FR358079, un autoveicolo Fiat tg LT 394604, nonché oggetti di scultura e
gioielli per un valore di C 63.694,63.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo
difensore di fiducia, lamentando la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett.
e) c.p.p.; in particolare, la Corte territoriale non ha compiutamente analizzato i motivi di
appello, ragione questa che rende del tutto immotivata la sentenza impugnata, specie con
riguardo alla censura della estraneità del ricorrente rispetto ai fatti contestati, per non essere
più amministratore della Tekim s.r.l. al momento del fallimento, avendo ceduto nel 2000 le
sue quote pari al 50% (l’altro 50% era nella titolarità del fratello Erminio) ad Esposito
Massimiliano, né essendo in grado l’accusa di provare tale circostanza; i giudici di merito,
invece, hanno ritenuto accertata la qualità di amministratore dell’Amati sulla scorta della sola
testimonianza resa da Eremita Nicola, titolare dell’ omonima galleria d’arte che aveva riferito
che nel gennaio 2001 era stato raggiunto telefonicamente da una persona, presentatasi come
Amati Giovanni, titolare della Tekim, accordandosi per una fornitura ammontate a 160 milioni
di lire, provvedendo, poi, a tale fornitura presso la sede della Tekim, ove era presente un
signore anziano, avente inflessione dialettale napoletana che si qualificava come tale Esposito,
così riproducendo sostanzialmente la motivazione adottata dai Giudici di prime cure; inoltre i
giudici d’appello non hanno considerato le risultanze dell’incidente probatorio, secondo cui la
firma apposta sui documenti era apocrifa, ovvero non appartenente a Amati Giovanni ed anche
il riconoscimento operato dall’Eremita -secondo cui la persona “anziana” era da identificarsi in
Amati Erminio- meritava approfondimenti e, comunque, l’imputato si è sempre occupato di
lavori manuali, lavori pesanti, di fatica, non è mai stato un commerciante o un cultore di opere
d’arte e di gioielli e la Tekim s.r.l. si è sempre occupata di impianti tecnologici e non di arte;
1

sentenza del Tribunale di Velletri del 16.7.2009, con la quale Amati Giovanni era stato

pare, duqnue, una forzatura, affermare che costui abbia, seppure telefonicamente, potuto e
saputo, intavolare trattative in una materia a lui sconosciuta avendo, peraltro, come
contraddittori i sigg. Eremita e Truffi, produttori e commercianti di preziosi ed opere d’arte,
oltremodo esperti in materia; non risultano, poi, considerate dalla Corte territoriale le
circostanze, da valutarsi, invece, in favore dell’imputato che l’intervenuta cessione dell’azienda
ad altro soggetto, Esposito Massimiliano, non è stata immediatamente iscritta quale
circostanza favorevole all’imputato, al fine di non assumersi lo stesso alcun rischio, di vedersi

dichiarazioni dello stesso Eremita, rilasciate nel corso della udienza del 11.10.2007,
risulterebbe che egli abbia subito un tentativo di truffa da parte di un soggetto qualificatosi
come amico di Amati Giovanni e ciò dimostra che anche un’altra ditta, ha tentato
successivamente di operare una paritetica operazione truffaldina, sempre in danno
dell’Eremita, presentandosi e spendendo nuovamente il nome di Amati Giovanni; per quanto
riguarda, poi, la cessione delle quote da parte dell’imputato, il prezzo veniva corrisposto
dàll’Esposito, in parte in contanti e in parte con cambiali, che, purtroppo, non vennero più
onorate alla scadenza, sebbene gli Amati si recarono in più riprese presso la sede sociale per
tentarne la riscossione; nel corso della istruttoria dibattimentale è stato, invece, accertato
che: Amati Giovanni non ha mai intavolato alcuna trattativa con i creditori della società,
successivamente alla alienazione della Tekim s.r.l. ad Esposito Massimiliano, non ha mai
ricevuto, per la “nuova” Tekinn srl, la consegna di alcuna fornitura di merce, nè direttamente,
nè indirettamente, e che, peraltro, non può essere che stata ordinata da altri, a suo nome; non
ha tratto alcun beneficio dall’occultamento della merce, che non ha mai ricevuto, nè, quindi,
mai provocato alcun danno economico ai terzi che, pertanto, risultano essere creditori non
della vecchia Tekinn srl ma della “nuova” Tekim sri, il cui amministratore non è mai stato Amati
Giovanni; non ha operato alcun movimento bancario sui conti correnti, aperti a nome della
società, presso la Banca Toscana, filiale di Pomezia; non è mai stato visto presso i locali della
“nuova” Tekim s.r.l. successivamente al giorno in cui la Società fu alienata ad Esposito
Massimiliano; non è mai stato riconosciuto come responsabile di frodi o tentativi di frodi
perpetrate, per conto della “nuova” Tekim srl, in danno di terzi;
-con il secondo motivo, il vizio di motivazione in ordine alla bancarotta c.d. documentale,
non sussistendo neppure in tal caso elementi sufficienti per ritenere provata l’accusa mossa a
suo carico.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.
1. Con il primo motivo, l’imputato deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata dalla
quale non sarebbe dato ricavare l’iter logico – giuridico attraverso cui i Giudici d’appello sono
giunti a confermare la sentenza di condanna del primo Giudicante per il reato di bancarotta
2

coinvolto, personalmente, in problemi con la giustizia e con i creditori; inoltre, dall’analisi delle

patrimoniale distrattiva di cui al capo b), tenuto conto che al momento della dichiarazione di
fallimento, egli non era più amministratore della Tekim s.r.I., neppure di fatto, avendo ceduto
in data 27.12.2000, le quote sociali al sig. Esposito Massimiliano, che assumeva, pertanto, il
ruolo di nuovo amministratore.
L’assunto del ricorrente è destituito di fondamento, atteso che la Corte territoriale ha senza
illogicità dato risposta alle deduzioni sviluppate dall’imputato in appello, riproposte in questa

rese dallo stesso Esposito Massimiliano e da Eremita Nicola. Invero, dalle dichiarazioni del
eie-primo, è emerso la cessione delle quote societarie tra i due ebbe carattere meramente
formale, essendo l’Esposito un autotrasportatore conosciuto occasionalmente dall’Amati e che
lo stesso non versò alcuna somma alla controparte per l’acquisto delle quote.
Eremita Nicola, invece, riferiva di essere stato più volte contattato telefonicamente (nel
gennaio 2001) da una persona presentatasi come Amati Giovanni, titolare della Tekirn s.r.I.,
che si era dichiarato interessato all’acquisto di oggetti d’arte di sua proprietà per un valore di
160 milioni di lire. Precisava il teste di aver assunto informazioni presso l’Agenzia di Pomezía
della Banca Toscana della quale gli erano state fornite le coordinate per il pagamento e di aver
inviato parte della merce all’acquirente a mezzo di corriere. Successivamente, nell’aprile 2001
lo stesso eseguiva personalmente la consegna della restante merce, all’uopo portandosi presso
la sede sociale, ove veniva in contatto con un signore anziano che si qualificava come
“Esposito” e gli riferiva che l’Amati era assente. Non appare idonea ad inficiare la valutazione
dei Giudici d’Appello neanche la circostanza per la quale l’Eremita non ha mai conosciuto
personalmente l’imputato, con il quale ha dichiarato di aver avuto solamente uno scambio
telefonate per l’acquisto di oggetti d’arte, avendo il teste durante la sua escussione avuto
modo di riconoscere una certa somiglianza tra l’Amati presente in aula ed il soggetto al quale
aveva consegnato personalmente parte della merce, che invece si era qualificato come
Esposito Massimiliano, salvo poi a riconoscere in Amati Erminio come colui che ebbe a ricevere
che si era presentato come l’Esposito.
Tanto precisato, si osserva che le doglianze dell’imputato -che si traducono prevalentemente in
censure di fatto, implicanti una alternativa ricostruzione della vicenda e una diversa
valutazione (in fatto) delle risultanze processuali, inammissibili in sede di legittimità- non si
presentano idonee ad incidere sulla valutazione immune da vizi circa la qualità di
amministratore di fatto dell’imputato. Ed invero l’attività a lui riconducibile quale quella
relativa all’acquisto della fornitura di oggetti d’arte consegnati presso la sede sociale sul
presupposto
La circostanza secondo cui, pur essendosi il committente qualificato al telefono con l’Eremita
“Amati Giovanni” ciò non sarebbe decisivo ben potendo essere stato “usurpato ” il suo nome
non coglie nel segno, deponendo in senso contrario l’elemento logico dirimente secondo cui
3

sede, considerando dirimenti ai fini della penale responsabilità dell’imputato le dichiarazioni

l’Esposito, l’unico ad avere in astratto un interesse a qualificarsi come “Amati Giovanni” non
era neppure presente al momento della consegna della merce, essendosi spacciato come
“Esposito”, in realtà, uno dei germani Amati.
2. L’attività riferita all’imputato dà pienamente conto della sussistenza di una gestione di fatto
della società da parte dell’imputato.
2.1. La figura dell’amministratore di fatto, di origine giurisprudenziale, trova oggi un espresso
referente normativo nell’attuale formulazione dell’art. 2639 c.c. così come introdotta dal D.Lgs.

Libro V del codice civile stabilisce che: “…al soggetto formalmente investito della qualifica o
titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la
stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i
poteri tipici inerenti alla qualifica e alla funzione”.
La disposizione codicistica rispecchia nella sua formulazione testuale gli approdi
giurisprudenziali prevalenti che, aderendo alla concezione funzionalistica, avevano già ritenuto
estensibile la responsabilità penale in capo all’amministratore di fatto, sia in relazione ai reati
societari individuati dal codice civile, sia in relazione alla bancarotta impropria, tanto da far
ritenere, alla giurisprudenza di legittimità successiva, che la richiamata norma codicistica abbia
avuto una mera funzione interpretativa del tessuto normativo preesistente.
L’amministratore di fatto, secondo quanto evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità,
risponde del reato fallimentare non già come extraneus, ma come intraneus, cioè come diretto
destinatario della norma, la cui responsabilità prescinde da quella del soggetto qualificato.
(Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006).
Il presupposto di fatto essenziale per predicare la responsabilità penale in capo
all’amministratore di fatto è l’esercizio in via continuativa dell’attività gestoria, non essendo
sufficiente un’occasionale spendita dei poteri inerenti la funzione.
Il requisito della continuità dell’attività gestoria da parte dell’amministratore di fatto tenta di
recuperare sul piano probatorio il deficit di tassatività nascente dal difetto di un’investitura
formale anche sub specie di un atto di delega.
Questa Corte ha più volte evidenziato che amministratore di fatto non possa essere sic et
simpliciter ritenuto colui che si ingerisca comunque, genericamente o una tantum, nell’attività
sociale, ma solo chi eserciti in concreto e con un minimo di continuità le funzioni proprie
degli amministratori o una di esse, coordinata con le altre. Avuto riguardo all’oggetto
dell’attività degli amministratori di una società di capitali, tra dette funzioni deve considerarsi
in primo luogo il controllo della gestione della società sotto il profilo contabile ed
amministrativo; a questa va poi aggiunta la stessa gestione con riferimento sia
all’organizzazione interna che alla attività esterna costituente l’oggetto della società; e in
particolare, con riferimento ad entrambe, la formulazione di programmi, la selezione delle
4

n. 61 del 11 aprile 2002 che, in relazione alle fattispecie di reato contemplate dal Titolo XI del

scelte e la emanazione delle necessarie direttive; con riguardo all’organizzazione interna non
deve poi prescindersi dai necessari poteri deliberativi i cui effetti si riflettono sull’attività
esterna, mentre nell’ambito di quest’ultima deve tenersi conto delle funzioni di rappresentanza
(Sez. 5, Sentenza n. 1154 del 08/10/1991).
L’amministratore di fatto è, dunque, colui il quale eserciti in modo continuativo e significativo i
poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. La giurisprudenza di legittimità ha però
chiarito che “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti”

gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Sez. 5, n. 43300 del 17/10/2005; Sez.
5, n. 35346 del 20/06/2013;

Sez. 3, Sentenza n. 22108 del 19/12/2014).

Nel caso di specie l’attività posta in essere dall’imputato è senz’altro da ritenersi “significativa”.
Il concetto di “significatività” della gestione, che non va confuso, sovrapposto o
inscindibilmente collegato a quello di “continuità”, rispetto alla quale possiede, invece, una sua
autonomia implica che ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto non
vada richiesta la messa in opera di una molteplicità di operazioni di gestione, essendo
sufficiente anche un solo atto gestorio, purchè lo stesso sia per l’appunto significativo ed
incisivo per la vita della società. Sintomatico di una gestione significativa, a prescindere dal
dato quantitativo delle iniziative poste in essere dall’amministratore di fatto, è altresì la
presenza costante di questi nella vita della compagine sociale e la sua riconoscibilità all’esterno
come soggetto apicale, così come avvenuto nella fattispecie in esame.
2. Infondato si presenta anche il secondo motivo di ricorso relativo alla bancarotta
documentale, con il quale il ricorrente ha addotto nuovamente di non rivestire più il ruolo di
amministratore, avendo ceduto le quote sociali a Esposito Massimiliano nel corso dell’anno
2000. La Corte territoriale, invero, nel ritenere utilizzabile, quale prova a carico dell’imputato,
la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da
un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione
redatta ai sensi dell’art. 33 della L.Fall. ha evidenziato come la tesi della consegna all’Esposito
della documentazione contabile da parte dell’imputato all’atto della cessione delle quote risulti
smentita dalle dichiarazioni del curatore fallimentare che ha riferito che anche dopo il
perfezionamento dell’acquisto delle quote di partecipazione societaria, l’Esposito – già autista
per breve tempo della Tekim – aveva continuato a svolgere mansioni di magazziniere fino al
maggio 2001. A detta dell’Esposito, infatti, non vi era stato alcun passaggio di consegne da
parte dell’Amati, in qualità di amministratore uscente, dal quale non ricevette alcun documento
inerente la gestione societaria. In tale contesto la Corte territoriale ha ritenuto senza illogicità
condivisibile la valutazione del curatore che ha assegnato all’Esposito il ruolo dì mero
prestanome della compagine sociale gestita di fatto dall’imputato.

5

i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività

La qualità di amministratore di fatto dell’Amati non esclude la sua responsabilità per il delitto di
bancarotta documentale, atteso che è univoco in giurisprudenza l’orientamento secondo cui
l’amministratore “di fatto” – in base alla consolidata giurisprudenza in materia, peraltro
confermata e cristallizzata nel novellato art. 2639 c.c. – è da ritenere gravato dell’intera
gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre
condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i
comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011). Nel

equiparata a quella dell’amministratore di diritto della s.r.l. dichiarata fallita e tale qualità era
esaustiva dei requisiti soggettivi della fattispecie criminosa di bancarotta documentale
contestata al capo a).
Immune da vizi si presenta, poi, la valutazione circa la riferibilità all’imputato della condotta di
sottrazione od occultamento delle scritture contabili sociali, atteso che, come già evidenziato,
l’Esposito riferiva al curatore della mancata consegna di esse da parte dell’Amati all’atto della
cessione delle quote sociali.
3. Il ricorso va, pertanto, respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese
processuali.
p.q.m.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18.11.2015

caso di specie, dunque, l’Amati è stato chiamato a rispondere in una veste perfettamente

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA