Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22495 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22495 Anno 2016
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARCHIONNI RUGGERO N. IL 29/12/1928
MARCHIONNI MARISA N. IL 08/12/1962
avverso la sentenza n. 128/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
14/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 18/11/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile Montanari Cesare, avv. Francesco
Coli, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto dei motivi di ricorso;
udito il difensore degli imputati Marchionni Ruggero e Marchionni
Marisa, avv. Lucio Monaco, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Pesaro aveva assolto
Marchionni Ruggero e Marchionni Marisa dal reato loro ascritto in concorso di
infedeltà patrimoniale, di cui agli artt. 110- 2634 c.c., perché il fatto non
sussiste – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei predetti in
ordine al suddetto reato, per essere il reato estinto per intervenuta
prescrizione, condannandoli solidalmente al risarcimento del danno cagionato
alla costituita parte civile, Montanari Cesare, da liquidarsi in sede civile.
1.1. Dalla sentenza impugnata si evince che la sentenza di primo grado
era stata appellata, sia dal Procuratore della Repubblica di Pesaro, che ai
sensi dell’art. 576 c.p.p. dal difensore della parte civile Montanari Cesare e
all’udienza del 14 ottobre 2014 il Procuratore Generale ha dichiarato di
rinunciare all’impugnazione, ex art. 589 c.p.p., prima dell’inizio della
discussione. Inoltre, pur essendo stato depositato verbale di remissione di
querela e contestuale accettazione di Amadei Augusta, attuale proprietaria
delle quote sociali a suo tempo possedute da Montanari Cesare, tale
remissione è da considerarsi irrilevante, non essendo trasmissibile inter vivos
il potere di remissione.
1.2. Agli imputati, in particolare, era stata ascritta la condotta dell’ aver
compiuto un atto di disposizione dei beni della società Isaurica s.r.l. e
segnatamente Marchionni Marisa, in qualità di amministratore unico della
società, di aver venduto a Marchionni Ruggero, in qualità di titolare della
omonima ditta individuale un terreno sito nel Comune di Pesaro, al prezzo
irrisorio di euro 66.474,06, e ciò avendo Marchionni Marisa un interesse in
conflitto con quello della società, perché figlia dell’acquirente Marchionni
Ruggero, entrambi soci della Isaurica s.r.I., in profondo ed annoso contrasto
con Montanari Cesare (dichiarato socio della medesima società con sentenza
del Tribunale di Pesaro n. 422 del 10.5.2004), al fine di cagionare al padre
l’ingiusto profitto, rappresentato dalla disponibilità esclusiva del detto bene
immobile, di valore effettivo sicuramente di gran lunga superiore al prezzo
della compravendita (come comprovato dal fatto che tale bene veniva

1

1. Con sentenza del 14.10.2013 la Corte di Appello di Ancona – in

concesso in ipoteca pochi giorni dopo per la somma di euro 6.150.000,00, a
garanzia di un mutuo contratto in data 7 giugno 2004 con la Cassa di
Risparmio di Rimini S.p.A. – CARIM), cagionando intenzionalmente alla società
un danno patrimoniale, rappresentato dalla perdita della disponibilità
dell’immobile alienato. In particolare, la vicenda si collocava nell’ambito del
Consorzio per l’urbanizzazione del Comparto Celletta di Santa Veneranda
(PS), del quale erano consorziati, tra gli altri, oltre al Comune di Pesaro, sia la
Isaurica s.r.l. originariamente con amministratore unico Ruggero Marchionni,

permuta con il Comune di Pesaro tra una casa colonica con terreno di cui era
proprietario (e che il Marchionnì si obbligava a ristrutturare per la
destinazione a centro sociale) ed un’area edificabile compresa nel Piano, di
proprietà del Comune (rogito Licini 13.5.2002); poiché quest’ultima risultava
essere sovrastata da un elettrodotto ad alta tensione, tanto da essere ritenuta
insalubre, Marchionni Ruggero otteneva dal Comune il trasferimento dei diritti
edificatori su un’area di proprietà della società Isaurica, in origine destinata a
servizi, pertanto non edificabile e soggetta a cessione gratuita al Comune, e
sull’area acquistata in permuta, originariamente edificabile, ma sovrastata da
elettrodotto, veniva contro-trasferita la destinazione a verde; conseguita
l’edificabilità del terreno di proprietà della Isaurica, Ruggero Marchionni lo
acquistava da quest’ultima, con vendita deliberata dall’assemblea della soc.
Isaurica in data 11.5.2004, all’indicato prezzo di euro 66.474,06; il Marchionni
nuovo proprietario del terreno stipulava quindi con la Cassa di Risparmio di
Rimini un contratto di mutuo fondiario in forza del quale quest’ultima gli
avrebbe erogato un finanziamento di Euro 4.100.000,00 (circa otto miliardi di
lire) dietro concessione di ipoteca volontaria sempre su quel terreno, per la
somma di Euro 6. 100.000,00, a dimostrazione dell’effettivo valore di mercato
del bene uscito dal patrimonio della società Isaurica s.r.l.
2. Avverso la predetta sentenza della Corte d’appello di Ancona hanno
proposto ricorso gli imputati, a mezzo del loro difensore di fiducia, affidato a
cinque motivi, con i quali lamentano:
-con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo
comma, lett. b) e e) c.p.p., in relazione al disposto dell’art. 597/3 comma 3 e agli articoli 589 e 591 c.p.p., atteso che la Corte territoriale ha modificato in
violazione del divieto di reformatio in peius la sentenza del Tribunale di
Pesaro, pur in assenza dì impugnazione da parte del Pubblico Ministero, che
ha dichiarato di rinunciare all’impugnazione ex art. 589 /1 c.p.p. ; nel caso di
specie la Corte territoriale avrebbe dovuto rispettare la formula assolutoria del
primo giudice, divenuta irrevocabile in dipendenza della rinuncia del P.M.

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sia Ruggero Marchionni personalmente; quest’ultimo addiveniva ad una

a

all’impugnazione, ed al più emettere una pronuncia di condanna al
risarcimento del danno;
-con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo
comma, lett. b) c.p.p., in relazione al disposto dell’art. 2634 c.c., atteso che
non poteva essere riconosciuta la legittimazione alla presentazione della
querela al socio di minoranza per il delitto in questione, che tutela l’integrità
patrimoniale della società, spettando, invece, il potere di presentazione della
querela alla p.o., ossia alla società e quindi alla maggioranza assembleare;
-con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo
comma, lett. b) c.p.p., per erronea interpretazione degli articoli 102 e 152
c.p. e 340 c.p.p., atteso che Amadei Augusta, in quanto aggiudicataria della
quota sociale del Montanari ha legittimamente ritenuto di rimettere, ex art.
340 c.p.p. la querela, a suo tempo presentata dall’allora titolare di quelle
quote; in proposito, merita censura la valutazione della Corte territoriale,
secondo cui la querela poteva essere rimessa solo dal soggetto che l’aveva
proposta, in quanto l’azione ex art. 2634 c.c. tutela il patrimonio sociale;
invero, nell’ambito delle società commerciali, la revoca della querela,
nonostante il suo carattere personale, deve considerarsi facoltà attinente alla
gestione della società e se la presentazione della querela, in relazione al
delitto di all’art. 2634 c.c. è subordinata alla attuale titolarità dello status di
socio, anche l’esercizio del diritto di remissione postula la stessa attuale
titolarità in capo all’esercente, della medesima qualifica; il potere di
remissione ed il carattere personale della querela devono essere adattati alla
natura della persona giuridica e, comunque, deve tener conto della pronuncia
di incostituzionalità dell’art. 156 c.p., con sentenza n. 151/75 in tema di
trasmissibilità della remissione in capo agli eredi; dalla natura esclusivamente
endosocietaria del bene giuridico tutelato consegue che la titolarità del diritto
di querela non ha nulla a che vedere con la persona fisica che patisce l’offesa,
laddove la Amadei ha assunto tutti i diritti astrattamente pertinenti alla
qualifica di socio;
-con il quarto motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo
comma, lett. b) e e) c.p.p., in relazione alla sussistenza degli elementi
costitutivi della fattispecie; in particolare, correttamente il Tribunale aveva
ritenuto: che nella fattispecie in esame l’acquisizione dei diritti di edificabilità
di cui era titolare Ruggero Marchionni e la successiva cessione dell’area al
medesimo costituivano una sorta di partita di giro, un’operazione di mero
transito senza arricchimento, né impoverimento per l’Isaurica (anzi, avendo
la società venduto una proprietà che avrebbe dovuto cedere gratuitamente al
Comune, ne aveva ricavato un profitto economico, corrispondente al prezzo

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pagato dal Marchionni), nonché l’insussistenza dell’ingiusto profitto per
Marchionni Ruggero, essendo l’atto compiuto dalla società Isaurica finalizzato
ad un interesse lecito per il Marchionni; contrariamente a tali valutazioni, la
Corte d’appello ha escluso «che l’atto del 26.05.2004 costituisse mera
esecuzione dovuta di operazioni consortili obbligatorie», «in quanto le
cessioni nell’ambito del comparto erano esaurite da anni» e, dunque, l’atto
del 26/05/2004 era da considerarsi «una normale compravendita, fondata
sulla autonomia negoziale»; tale valutazione non è condivisibile, atteso che –

corso del dibattimento – il Consorzio di S. Veneranda non è mai rimasto
estraneo al problema della “rilocalizzazione” del lotto, ma ha manifestato
piena ed espressa adesione all’operazione; per altro verso, una volta
intervenuta tale “rilocalizzazione” attraverso la variante urbanistica, il
Consorzio per l’Urbanizzazione del Comparto ha tenuto un’assemblea
straordinaria per la presa d’atto della situazione attuale dei Lotti edificabili
facenti del Comparto a seguito degli atti di trasferimento delle singole
proprietà in relazione alla variante; tutti i consorziati, dunque, erano
perfettamente a conoscenza della variante urbanistica, prestando adesiva
menzione, sia alla Variante stessa che alla vicenda giuridica (accordo
urbanistico seguito dalla Variante 05.2004) che ha portato al trasferimento di
cubatura (per Marchionní) all’interno dello stesso strumento attuativo; in ogni
caso occorre considerare che:
a)

l’Isaurica non avrebbe potuto edificare sul terreno ceduto a

Marchionni Ruggero, così come nessun terzo, essendo tale diritto riconosciuto
solo al Marchionni;
b) il terreno de quo non aveva all’atto della vendita nessun valore di
mercato, perché non era appetibile per nessuno, non essendo accompagnato
da diritti edificatori, sicchè l’unico che poteva offrirsi di acquistare, era
appunto il Marchionni;
c) il Marchionni aveva diritto di avere dal Comune di Pesaro il terreno in
maniera gratuita, in quanto il terreno con i relativi diritti edificatori erano la
contropartita di una permuta prevista tra Marchionni Ruggero ed il Comune,
contratto di permuta adempiuto da Marchionni, ma non ancora dal Comune;
d) il Marchionni non era affatto obbligato ad acquistare “a qualunque
prezzo”; egli ben poteva, invece, rivolgersi al Comune perché desse effettiva
esecuzione al contratto di permuta: ad esempio, semplicemente spostando
l’edificazione su altro lotto, tra i molti ancora disponibili, sicchè, non si
comprende come il prezzo pagato (che è previsto solo a fini fiscali in quanto
tra consorziati doveva avvenire gratuitamente) da Marchionni all’ISAURICA
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come è emerso in maniera pacifica dalla documentazione acquista in atti nel

fosse

«assolutamente inadeguato al valore del bene; inoltre, non si

comprende sulla base di quali elementi concreti, la Corte territoriale ritenga di
non considerare scriminante per l’amministratore di Isaurica la delibera
assembleare dell’ 1/05/2004, nella quale l’assemblea dei soci all’unanimità
aveva dato mandato all’amministratore di sottoscrivere il contratto di
compravendita con Marchionni Ruggero, stabilendo anche il prezzo di C
66.474,06; tale delibera non giustificherebbe, secondo i giudici d’appello, il
comportamento dell’amministratore Marchionni Marisa “non risultando la

veridicità della decisione dell’assemblea; nella fattispecie in questione,
comunque, manca radicalmente il presupposto della condotta punibile,
costituito dal conflitto di interessi, non essendo l’amministratore portatore di
un interesse economico, proprio o di terzi, in contrasto obiettivo, effettivo
attuale con l’interesse sociale; l’amministratore, invece, ha adempiuto,
attraverso la vendita del terreno de quo, ad uno specifico obbligo giuridico che
trae origine dalla adesione della società al Consorzio di Celletta S. Veneranda,
essendo stato, peraltro, anche delegato ad effettuare la vendita
dall’assemblea dei soci che nella seduta dell’ 11/05/2004 aveva anche
individuato il prezzo della vendita; manca in particolare la condotta tipica del
reato, che è costituita da un autonomo compimento di un atto di disposizione
dei beni sociali, atto che si qualifica come abusivo in quanto originato dalla
situazione di conflitto in cui versa l’amministratore e l’atto compiuto
dall’amministratore non è certo espressione di una sua autonoma scelta
negoziale, in quanto è per obbligo consortile, e tanto meno è abusivo, in
quanto non è in situazione di conflitto; manca altresì l’evento del reato: la
società, infatti, non ha subito dalla vendita in questione alcun danno posto
che il terreno doveva, comunque, essere ceduto – ed è – stato ceduto al
Comune di Pesaro gratuitamente, in quanto classificato nella previsione di
piano quale “zona a verde pubblico”;
-con il quinto motivo, la violazione dell’art. 606, primo comma, lett. e)
c.p.p. per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione
all’elemento soggettivo del reato; in particolare la Corte territoriale non ha in
alcun modo affrontato il problema della sussistenza del dolo specifico, ossia
di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, rimanendo oscuro il motivo
per il quale l’amministratore di Isaurica doveva rappresentarsi con il contratto
di compravendita (a cui peraltro era stato delegato dall’assemblea dei soci)
stava realizzando un profitto ingiusto per altri.
CONSIDERATO IN DIRITTO

5

certezza della data” ma tale certezza non può, ovviamente, interferire sulla

I ricorsi vanno accolti quanto al primo motivo, mentre vanno respinti nel
resto.
1.11 primo motivo di ricorso va accolto, atteso che la stessa sentenza
impugnata ha dato atto che all’udienza del 14 ottobre 2014 il Procuratore
Generale dichiarava di rinunciare all’appello, ex art. 589 c.p.p., sicchè
permanendo esclusivamente l’impugnazione ex art. 576 c.p. della parte civile,
la Corte territoriale avrebbe dovuto occuparsi del fatto-reato esclusivamente in
relazione agli effetti civili, senza possibilità di riesaminare le statuizioni penali,

all’impugnazione.
L’impugnazione proposta dalla parte civile, ai sensi dell’art. 576 cod. proc.
pen. avverso la sentenza assolutoria dell’imputato, invero, ha il solo scopo di
rimuoverne l’efficacia di giudicato nell’azione di danno nei suoi confronti, ma non
può interferire, in mancanza dell’appello del P.M., sulle statuizioni penali. Nella
fattispecie in esame, invece, è avvenuto proprio ciò ossia che la Corte territoriale
si è pronunciata espressamente sulle statuizioni penali oltre che, come di dovere,
su quelle civili, modificando la formula di proscioglimento in quella di estinzione
del reato per prescrizione evidenziando espressamente, tra l’altro, che

“non

emergendo con evidenza dagli atti l’innocenza degli imputati ….ed anzi
risultando elementi significativi che depongono per la sussistenza della
responsabilità penale…”.
La sentenza impugnata sul punto va, pertanto, annullata senza rinvio,
limitatamente alla formula di proscioglimento, ferma restando l’assoluzione
perché il fatto non sussiste pronunciata in primo grado.
2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, riguardanti rispettivamente la
legittimazione alla proposizione della querela e alla remissione della stessa, sono
infondati.
2.1. Con il secondo motivo il ricorrente si duole del fatto che la querela è stata
presentata dal socio di minoranza Montanari Cesare, laddove per i fatti di cui
all’art. 2634 c.c. la persona offesa dovrebbe identificarsi esclusivamente nella
società e non anche nel socio. Tale deduzione è infondata e sul punto è
sufficiente richiamare il principio costantemente affermato nell’ultimo decennio
da questa Corte, secondo cui la legittimazione alla proposizione della querela per
il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla società
nel suo complesso (essendo l’incriminazione volta alla tutela dell’integrità
patrimoniale della società), ma anche — e disgiuntamente — al singolo socio,
essendo quest’ultimo persona offesa del reato di infedeltà patrimoniale, e non
solo danneggiato dallo stesso; la condotta dell’amministratore infedele è diretta,
infatti, a compromettere le ragioni della società, e principalmente, quelle dei soci
6

sebbene ai limitati fini della declaratoria di prescrizione, avendo il P.G. rinunciato

o quotisti della stessa, che per l’infedele attività dell’amministratore subiscono il
depauperamento del proprio patrimonio (Sez. 5, n. 39506 del 24/06/2015; Sez.
V, n. 37033 del 16/6/2006, Rv. 235282; Sez. II, n. 24824 del 25/2/2009, Rv.
244336; Sez. V, n. 35080 del 7/5/2014, Rv. 260468).
2.2. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte
territoriale ha ritenuto irrilevante l’intervenuta remissione di querela da parte di
Amedei Augusta, aggiudicataria della quota sociale del querelante Montanari
Cesare, competendo il potere di rimettere la querela, esclusivamente a chi l’ha

sostegno della tesi contraria, che nel caso di reato di infedeltà patrimoniale il
potere di proporre, come di rimettere, la querela è legato, invece, allo status di
socio e, comunque, in proposito, occorre tener conto della pronuncia di
incostituzionalità dell’art. 156 c.p., nella parte in cui non prevede per gli eredi la
facoltà di rimettere la querela.
2.2.1. Tale valutazione non è condivisibile. Va premesso che la remissione di
querela, causa di estinzione del reato, disciplinata dagli artt. 152 e ss. c.p., è
una dichiarazione di volontà, con la quale il querelante revoca l’atto già proposto
al fine dì annullarne gli effetti. Quello di rimettere la querela è un diritto
personale irrevocabile, non subordinabile a condizioni o termini, che compete
esclusivamente alla persona offesa dal reato, come agevolmente si ricava dal
disposto dell’art. 156 c.p., che prevede che il diritto di remissione “si estingue”
con la morte della persona offesa dal reato.
Tanto premesso, si osserva che con la deduzione, secondo cui la facoltà di
rimettere la querela è legata all’attualità dello status di socio, i ricorrenti
operano, in sostanza, un’inammissibile scissione tra il momento della
proposizione della querela e quello della remissione, dando rilevanza alle
modifiche nella titolarità della quota sociale eventualmente intervenute sino al
momento della remissione. Tali modifiche, infatti, sono irrilevanti, in quanto il
concetto di persona offesa sì cristallizza nel momento in cui il soggetto titolare
del bene giuridico tutelato dalla norma penale subisce l’offesa attraverso la
condotta integrante il reato. In realtà nella fattispecie di all’art. 2634 c.c. la
facoltà di rimettere la querela in nulla differisce dalla regola di carattere generale
sancita dall’art. 152 c.p. secondo cui, in simmetria con il diritto di proporre la
querela, la remissione compete esclusivamente alla p.o. che l’ha proposta.
Al soggetto al quale viene trasferito il diritto leso dalla condotta antigiuridica
altrui non viene trasferita la qualità di “persona offesa”, essendo essa
strettamente legata alla persona che riveste tale qualità al momento della
consumazione del reato.

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proposta, non essendo trasmissibile inter vivos. I ricorrenti adducono, a

2.2.2. In tale contesto non risulta essere pertinente, a conforto della tesi dei
ricorrenti, il richiamo all’intervenuta sentenza n. 151 del 19 giugno 1975 con la
quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 156 c.p., nella parte
in cui non attribuisce l’esercizio del diritto di remissione della querela agli eredi
della persona offesa dal reato, allorché tutti vi consentano.
Tale pronuncia, infatti, ha riguardo esclusivamente agli eredi della p.o. e non può
trovare analogica estensione ad altre categorie di soggetti, quali l’acquirente
inter vivos del diritto leso, afferendo alla peculiare situazione in cui vengono a

e all’eventuale risarcimento del danno (artt. 382 e 482 del codice di procedura
penale), senza possibilità alcuna di sottrarvisi, stante il disposto testuale dell’art.
156 c.p.. All’uopo, pertanto, il giudice delle leggi ha osservato che la facoltà di
rimettere la querela, quando sia venuto meno il soggetto, alla valutazione del
quale la legge ha attribuito il diritto di proporre la querela e di rimetterla, si pone
in contraddizione con la logica stessa dell’istituto, giacché preclude agli eredi
quella stessa facoltà di valutazione che avrebbe potuto essere esercitata dal de
cuius, anche nell’ipotesi in cui tutti consentano alla remissione.
Le finalità specifiche di “riequilibrio” della posizione degli eredi del querelante che
hanno indotto la Corte Costituzionale alla declaratoria di incostituzionalità
dell’art. 156 c.p., pertanto, non essendo in alcun modo ravvisabili in relazione
alla posizione dell’acquirente del diritto, non possono costituire alcun fondamento
per la tesi della trasmissibilità

inter vivos della facoltà di remissione della

querela.
3. Il quarto e quinto motivo di ricorso sono del pari infondati. Ed invero, i
ricorrenti contestano che nell’operazione di vendita da parte di Marchionni
Marisa, legale rappresentante della Isaurica s.r.I., al padre Marchionni Ruggero,
socio della società, del terreno di proprietà dell’ente, sito nel Comune di Pesaro
alla Via del Cinema n. 5, al prezzo di C 66.474,06, si ravvisino gli estremi
dell’ipotesi di reato di infedeltà patrimoniale, di cui agli artt. 110 – 2634 c.c.,
anche sotto il profilo dell’elemento psicologico.
Prima di verificare in concreto la ricorrenza di tale ipotesi delittuosa occorre
ripercorrere brevemente le tappe fondamentali dell’evoluzione della disciplina
dell’infedeltà degli amministratori di società, al fine di meglio delineare le
caratteristiche fondamentali del reato di cui all’art. 2634 c.c.
3.1. Rileva, in particolare, in tale analisi la formulazione del previgente art. 2631
c.c., rubricato “conflitto di interesse” secondo il quale:

“L’amministratore, che,

avendo in una determinata operazione per conto proprio o di terzi un interesse in
conflitto con quello della società, non si astiene dal partecipare alla deliberazione
del consiglio o del comitato esecutivo relativa all’operazione stessa (2391), è
8

trovarsi i predetti soggetti, che sottostanno al pagamento delle spese processuali

punito con la multa da L. 400.000 a L. 4.000.000. Se dalla deliberazione o
dall’operazione è derivato un pregiudizio alla società, si applica, oltre la multa, la
reclusione fino a tre anni”. Tale fattispecie- che disciplinava specificamente il
conflitto di interessi- è stata solo in parte riprodotta, a seguito della riforma di
cui al D.Lgs. n. 61 del 2002, nel vigente art. 2634 cod. civ., che così recita al
primo comma, sotto la rubrica “infedeltà patrimoniale”:

“Gli amministratori, i

direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello
della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro

sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono
puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Mettendo a confronto i testi normativi emerge che il previgente reato di cui
all’art. 2631 c.c. ha risentito di significative modifiche, limitate non solo alla
diversa collocazione della fattispecie del conflitto di interessi ed alla rubrica, ma
concernenti il reato stesso, che assume natura giuridica e struttura diversi.
3.2. Nella previsione ante riforma, il conflitto di interesse costituiva la figura
centrale ed essenziale di tipizzazione dei comportamenti abusivi degli
amministratori, in contrasto con gli obblighi di fedeltà patrimoniale. Secondo il
c.d. indirizzo formalistico, scaturito dall’interpretazione anche giurisprudenziale
di tale fattispecie idonea a far nascere una situazione di conflitto era la semplice
posizione di contrapposizione formale tra gli interessi dell’amministratore e quelli
della società in dipendenza dell’assunzione da parte del suddetto del ruolo di
controparte, di antagonista rispetto alla società da lui amministrata

(Sez. 5, n. 6386 del 04/07/1989 ;Sez. 5, n. 6899 del 11/12/2000;Sez. 5, n. 8
673 del 11/12/2003). Il reato in questione era considerato un reato di pericolo,
la cui previsione era finalizzata a tutelare -mediante la garanzia della correttezza
formale delle deliberazioni adottate dai suoi amministratori- la società dalle
possibili commistioni dei suoi interessi con interessi ad essa estranei; per la
sussistenza del reato, pertanto, non era necessario il verificarsi del danno (che
tuttavia si configurava, ai sensi del comma 2 dell’art. 2631 cod.civ., come
circostanza aggravante), dovendo il comportamento dell’agente essere
sanzionato anche nel caso in cui dalla delibera la società tragga vantaggio (Sez.
5, n. 6899 del 11/12/2000, Rv. 218272). Tale orientamento era incoraggiato da
un sistema di protezione penale del patrimonio societario che si incentrava
essenzialmente sulla semplice inosservanza di obblighi negativi di condotta
(astenersi dalla delibera in conflitto di interessi, dal contrarre prestiti con le
società, dal percepire emolumenti non liquidati nei modi di legge, ecc.).
Più recentemente nella dottrina si era andata, tuttavia, affermando una lettura
sostanzialistica della fattispecie di cui all’art. 2631 c.c., quale reato di pericolo
9

vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni

concreto; si era sottolineato come, per l’integrazione del delitto, occorresse
verificare in concreto, attraverso il riferimento al contenuto effettivo della
delibera, nonché alla natura ed alle modalità della specifica operazione
sottostante, la sussistenza di una possibilità di pregiudizio dell’interesse sociale a
vantaggio di quello privato dell’amministratore (o da costui fatto valere). Una
serie di valide argomentazioni venivano poste a fondamento di tale ultima
interpretazione. In primo luogo, per quanto concerneva il dato letterale offerto
dall’art. 2631 c.c., qualora si fosse configurato il 1°comma come reato di pericolo

irragionevole barriera tra prima e seconda parte della fattispecie. In altre parole,
soltanto inserendo nel 1° comma il requisito della reale e concreta possibilità di
danno per la società sarebbe stata salvaguardata una lettura unitaria, graduata e
coerente dell’intera disposizione incriminatrice. In secondo luogo,
l’interpretazione da ultimo suggerita scongiurava il rischio di configurare la
fattispecie dell’art. 2631 c.c. come un reato di mero sospetto, privo di lesività
sostanziale , e, in ossequio al principio di necessaria offensività dell’illecito,
restringeva la rilevanza penale ai soli fatti portatori di una effettiva pericolosità e
di un reale disvalore.
3.3. Il legislatore del 2002, aderendo alla tesi sostanzialistica, nel delineare la
nuova fattispecie, ha previsto un modello delittuoso contrassegnato da un
ambito applicativo più ampio, non essendo più solo limitato alle condotte
consiliari, bensì esteso a tutte le possibili operazioni poste in essere dai titolari
del potere gestorio, ma il contrappeso di tale apertura è rappresentato dal
restringimento della punibilità, limitato alle sole condotte che “in concreto” sono
idonee a cagionare un danno. La nuova fattispecie di reato si colora, dunque,
dell’indispensabile “nesso di causalità” che deve intercorrere tra l’atto dispositivo,
il danno alla società e l’ingiusto profitto o vantaggio del disponente o di altri,
derivante dalla condotta gestoria, finalisticamente orientata a soddisfare un
interesse antagonista a quello della società, nesso questo, in mancanza del
quale, non vi sarà delitto. In tal modo risulta mutata la natura giuridica del
reato: da reato di pericolo a quello di evento di danno.
L’infedeltà patrimoniale tipizza, in sostanza,

la necessaria relazione tra un

preesistente conflitto di interessi, con i caratteri dell’attualità e dell’obiettiva
valutabilità, e le finalità di profitto o altro vantaggio dell’atto di disposizione,
finalità che si qualificano in termini di ingiustizia per la proiezione soggettiva del
preesistente conflitto (Sez. 2,

n.

40921

del 26/10/2005). In tal modo il

legislatore ha creato un sistema caratterizzato da un doppio livello di selettività:
a monte, ancorando la pericolosità dei comportamenti alla sussistenza di una
situazione di conflitto di interessi e, a valle, richiedendo che dalla sp-cifica
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or/

presunto ed il 2° comma quale reato di danno, si sarebbe determinata una

operazione compiuta sia derivato un danno patrimoniale alla società. Il perno
intorno al quale ruota l’incriminazione è oggi costituito dall’atto di disposizione
patrimoniale dannoso per l’interesse sociale e dunque il reato, sotto il profilo
oggettivo, richiede non più solo l’esistenza del conflitto di interessi tra soggetto
attivo e società (occorre che esso sia oggettivamente valutabile, effettivo e
reale, nonché attuale), ma appunto il compimento di un atto di disposizione dei
beni sociali da parte dell’agente, dannoso per la società.
In proposito, il legislatore ha rinunciato a punire in via anticipata l’esistenza di

la disposizione del patrimonio attuata in modo svantaggioso e quindi contrario
all’interesse della società.
Sotto il profilo soggettivo, per il nuovo delitto occorre il fine di procurare a sè o
ad altri un ingiusto profitto od altro vantaggio e la volontà direttamente orientata
a cagionare un danno patrimoniale alla società, ossia una componente
soggettiva, indubbiamente, qualificabile in termini di dolo specifico. Il dolo
richiesto, quindi, non è caratterizzato soltanto da intenzionalità nel cagionare il
danno alla società, ma deve essere ulteriormente qualificato dallo specifico fine
di procurare ingiusto profitto od altro vantaggio, non solo per l’autore, ma anche
per altri, per i quali il vantaggio concretizzi, per l’appunto, il conflitto d’interessi
dello stesso autore (Sez 5, n. 29268 del 20/02/2007).
3.4. Tanto premesso deve rilevarsi che la Corte territoriale, sebbene con
motivazione stringata, ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi,
laddove ha ritenuto pienamente integrata, nella fattispecie in esame, l’ipotesi
delittuosa di cui all’art. 2634 c.c., sussistendo innanzitutto tra Marisa
Marchionni, amministratore unico della Isaurica s.r.I., e tale società, un chiaro
interesse in conflitto, essendo: la predetta figlia dell’acquirente, socio
dell’Isaurica in contrasto con Montanari Cesari ed il prezzo di vendita di gran
lunga inferiore al valore del terreno alienato.
In particolare, dalla vicenda così come ricostruita dai giudici di merito, emerge
che l’area acquistata da Ruggero Marchionni in permuta dal Comune di Pesaro,
originariamente edificabile, ma sovrastata da elettrodotto, veniva destinata a
verde ed i diritti edificatori trasferiti su un’area di proprietà della Isaurica s.r.I., in
origine destinata a servizi, pertanto, non edificabile. Conseguita l’edificabilità del
terreno di proprietà della società Isaurica, l’imputato, con la collaborazione della
figlia Marisa, amministratore unico della società, lo acquistava da quest’ultima al
prezzo di C 66.474,06, da ritenersi appunto irrisorio, avendolo il Marchionni,
pochi giorni dopo l’acquisto, concesso in ipoteca per la somma di euro
6.150.000,00, a garanzia di un mutuo contratto in data 7 giugno 2004 con la

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una situazione di conflitto, con la conseguenza che è penalmente rilevante solo

Cassa di risparmio di Rimini s.p.a., a dimostrazione di un valore di gran lunga
maggiore di esso.
L’imputata, dunque, al fine di realizzare gli interessi del padre – interessato ad
apprendere al suo patrimonio il bene sul quale risultavano trasferiti i diritti
edificatori- in concorso con il medesimo alienava il predetto bene della società,
ledendo l’interesse dell’ente che subiva il pregiudizio di una consistente perdita
patrimoniale, data dalla differenza tra il valore di mercato del terreno venduto e
il corrispettivo ricavato, nettamente inferiore al suddetto valore. L’interesse

questione al padre, Marchionni Ruggero, si poneva, dunque, in conflitto con
l’interesse della Isaurica alla corretta gestione del patrimonio sociale che
concretamente subiva un grave danno in termini di perdita patrimoniale,
avvantaggiando Marchiarmi Ruggero che acquisiva al suo patrimonio un bene di
ingente valore, acquistato per qualche decina di migliaia di euro. Risulta,
pienamente provato il dolo specifico degli imputati nel cagionare in concorso tra
loro un danno patrimoniale rappresentato dalla perdita della disponibilità
dell’immobile alienato.
3.5. In tale contesto, del tutto privi di fondamento si presentano gli assunti dei
ricorrenti che hanno tentato di sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio
rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, tentando di spostare
l’attenzione dalla natura dell’atto gestorio in esame, posto in essere
dall’amministratrice in conflitto di interessi con la società, alle modalità
dell’intera operazione, dando concretezza alla valutazione effettuata dalla Corte
territoriale circa l’ambigua posizione di Marchionni Ruggero, imprenditore
individuale, da un lato, e socio della società Isaurica dall’altro ed alli utilizzo della
società Isaurica quale mero strumento per i suoi fini individuali, con la
compiacenza della figlia.
In particolare, le circostanze di fatto inammissibilmente addotte in questa sede
secondo cui l’Isaurica non avrebbe potuto edificare sul terreno ceduto a
Marchionni Ruggero, così come nessun terzo, essendo tale diritto riconosciuto
solo al Marchionni, ovvero che all’atto della vendita il terreno non aveva nessun
valore dì mercato, perché non era appetibile per nessuno, od ancora che il
Marchionni aveva diritto di avere dal Comune di Pesaro il terreno in maniera
gratuita, trovano smentita nelle circostanze riportate nella sentenza impugnata e
nello stesso ricorso, circa l’avvenuto trasferimento di diritti edificatori sul suolo
oggetto di vendita, sicchè non fosse altro che per la presenza di tali diritti, il
terreno aveva un valore senz’altro di gran lunga superiore all’irrisorio prezzo di
vendita. Inoltre, la circostanza secondo cui l’edificabilità del suolo era stata
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privato della Marchionni, nel procurare l’esclusiva disponibilità del bene in

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ottenuta per la traslazione di diritti edificatori individualmente spettanti al
Marchionni non incide, né sulla sussistenza del conflitto di interesse, né sul
danno alla società, posto che ciò che rileva è che all’atto del trasferimento il
bene in questione era, comunque, accompagnato da “diritti edificatori” che
implicavano senz’altro un diverso valore del bene, pur se all’edificazione era
interessato esclusivamente il Marchionni.
Infine, non merita censura, in quanto non illogica la valutazione di fatto della
Corte territoriale che non ha attribuito rilevanza alla delibera assembleare del

bene al prezzo di C 66.000,00 circa, non risultando certa la data di tale delibera.
4.La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente alla
formula di proscioglimento, ferma restando l’assoluzione perché il fatto non
sussiste pronunciata in primo grado; i ricorsi vanno rigettati agli effetti civili ed i
ricorrenti condannati in solido al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile
nel grado, spese che vanno liquidate in complessivi euro 2.200,00, oltre
accessori come per legge.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla formula di
proscioglimento, ferma restando l’assoluzione perché il fatto non sussiste
pronunciata in primo grado;
rigetta i ricorsi agli effetti civili e condanna in solido i ricorrenti al rimborso delle
spese sostenute dalla parte civile nel grado, spese che liquida in complessivi
euro 2.200,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 18.11.2015

11.5.2014, con la quale l’imputata sarebbe stata autorizzata alla cessione del

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