Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22494 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 22494 Anno 2016
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CITTERIO DANIELE GIUSEPPE N. IL 17/03/1965
ROSSINI LICIA N. IL 26/09/1963
avverso la sentenza n. 2487/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
29/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 18/11/2015

udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa in data 29.10.2014 la Corte d’Appello di Milano ha
confermato la sentenza del Tribunale di Monza, Sezione Distaccata di Desio del
22.10.2013, con la quale Citterio Daniele Giuseppe e Rossini Licia sono stati
condannati alla pena di anni uno e mesi due di reclusione ciascuno, per il reato
di cui agli artt. 476 e 482 c.p., così riqualificati i capi A-B, e di cui agli artt. 495

1.1. I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, nel senso che Licia
Rossini, amministratrice unica della società S.I.L.L.M. s.r.I., apriva presso la
filiale dell’istituto bancario Veneto Banca Giussano un conto corrente intestato
alla società e presentava una delega ad operare sul conto in favore di “Daniele
Citterio nato a Mariano Comense il 5.3.1964”, firmando insieme al delegato un
apposito modulo consegnato alla banca al cospetto di un suo funzionario, il quale
Io controfirmava a sua volta; per l’identificazione depositava la fotocopia di una
carta d’identità n. AG 3282968 rilasciata dal Comune di Bosisio Panni, in data
12/11/2002 con scadenza al 12.11.2007, intestata a Citterio Daniele, nato a
Mariano Comense il 5.3.1964 e, sempre in fotocopia, il codice fiscale intestato al
medesimo soggetto, che iniziava ad operare sistematicamente sul conto sino a
determinare uno scoperto di circa C 19.000,00; il direttore della filiale chiedeva
a quest’ultimo più volte la restituzione del fido, ma il Citterio lo tranquillizzava
dicendogli che sarebbe arrivato, a copertura parziale dello scoperto, un bonifico
della società Bencot s.r.I., società avente un conto corrente presso altra filiale
della stessa banca; svolti accertamenti presso tale filiale, il direttore apprendeva
che l’amministratore unico della Bencot era tale Citterio Daniele Giuseppe, nato
a Monza il 17/3/1965, sicchè insospettito della parziale omonimia chiedeva
all’altra filiale l’invio della documentazione relativa al predetto amministratore e,
dal confronto con la carta di identità di quest’ultimo, si appurava che l’effige del
delegato corrispondeva in realtà a quella di Citterio Daniele Giuseppe n. a Monza
il 17.3.65 e che il numero della carta d’identità a lui rilasciata era AG 3282968
era lo stesso della predetta fotocopia, inducendo così in errore il direttore della
filiale Veneto Banca sulla autenticità del documento di identità, così
procurandosi l’ingiusto profitto del credito concesso -per euro 19.000,00- che
altrimenti non avrebbe potuto essere concesso, risultando l’imputato protestato
e dichiarato fallito in data 12.12.96.
2.Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo
del loro difensore, gli imputati, lamentando la ricorrenza del vizio di cui all’art.
606, primo comma, lett. e) c.p.p. per mancanza o manifesta illogicità della

e 640 c.p.

motivazione, avendo la sentenza impugnata fondato la responsabilità dei
ricorrenti su elementi non adeguati che presentano contraddizioni; in particolare,
dalla stessa testimonianza del Dr. Pedrazzini, Direttore della Filiale “Veneto
Banca”, emerge che lo stesso non era neanche presente personalmente al
momento dell’apertura del conto corrente societario della Rossini presso la Filiale
dell’Istituto, così come non era altresì presente due mesi dopo, quando veniva
avanzata e depositata dalla sola imputata Rossini, sempre presso la sede di
Giussano, richiesta di delega ad operare sul, medesimo conto a favore anche del

riferito le circostanze descritte in sentenza e nulla è emerso in tal senso nel
corso del dibattimento, anzi, ognuna delle persone escusse, ha riferito una
versione dei fatti totalmente differente nei tempi e nel modus operandi, fornendo
più versioni contrastanti; in particolare, essendo la firma del modulo per il
conferimento della delega ed il deposito delle fotocopie prova della
colpevolezza, era fondamentale stabilire le modalità con cui tali documenti
erano stati consegnati all’Istituto di credito, ossia quando e davanti a chi erano
stati sottoscritti e, soprattutto, chi del personale bancario li avesse
effettivamente convalidati; in realtà, a seguito dell’istruttoria dibattimentale di
primo grado, non è stata raggiunta alcuna prova certa di colpevolezza, essendo
caratterizzata da incoerenza e confusione la ricostruzione dei fatti operata dal
giudicante, non essendovi certezza sulla modalità con cui i presunti “elementi di
prova” siano pervenuti alla parte offesa e, come gli stessi si siano formati;
anche le ulteriori testimonianze assunte nel corso del giudizio di primo grado(non
hanno confermato in alcun modo le accuse a carico degli imputati; inoltre, la
Corte d’Appello, non ha preso in considerazione tutte le eccezioni sollevate
dagli appellanti, esprimendo giudizi concisi, quali “ciò non appare credibile”,
ovvero affermando che gli imputati erano già clienti della banca e, pertanto,
volti noti alla stessa, nel mese di novembre 2008, ma se si accetta tale tesi,
risulta conseguentemente fondata la ricostruzione operata dagli imputati nei
due precedenti gradi di giudizio e, comunque, da questa circostanza agli stessi
non può essere riconosciuto alcun dolo e/o colpa nelle loro azioni; la Banca non
ha subito alcun concreto danno derivante dalla condotta degli imputati, tant’è
che alla fine dell’anno 2008 il conto corrente societario veniva chiuso in attivo e,
nella primavera del 2009, anche i conti correnti personali di ciascun ricorrente
venivano chiusi in attivo; inoltre, le motivazioni indicate dalla Corte d’Appello
circa il fatto che il Citterio non poteva ottenere un’apertura di credito siccome
protestato, non hanno alcuna attinenza specifica con i reati contestati agli
imputati, potendo solo essere considerate circostanze pregresse.

2

marito, signor Daniele Giuseppe Citterio; inoltre, nessuno dei testimoni ha

t

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, siccome generici e, comunque, manifestamente
infondati.
1.In linea generale deve, invero, osservarsi come i ricorrenti, a fronte delle
congrue valutazioni effettuate dalla Corte territoriale, non sviluppano precise
censure ad esse attinenti, ma si limitano a riproporre argomenti in mero punto di
fatto, peraltro ininfluenti rispetto allea contestazioni mosse. Gli aspetti del giudizio
che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi

non quando risulti viziato dal punto di vista logico il discorso giustificativo sulla loro
capacità dimostrativa.
2. Tanto precisato, si osserva che gli imputati, innanzitutto, nulla deducono
in merito all’inquadramento del falso, in relazione alla fotocopia della carta di
identità -recante le false generalità dell’imputato, ma la sua reale effige,
depositata dalla coniuge Rossini, in uno alla delega ad operare sul conto corrente
dalla medesima acceso – nell’ambito della fattispecie di cui agli artt. 476 e 482
cod. pen., integrando il reato di falsità materiale commessa dal privato in atto
apparentemente redatto da un pubblico ufficiale, la formazione di un documento
presentato come la riproduzione fotostatica di una carta di identità, invero,
inesistente in originale (Sez. 5, n. 40415 del 17/05/2012).
3.

A fronte di tale contestazione, la Corte territoriale

ha fondato la

responsabilità degli imputati, tra l’altro, sulle seguenti precise circostanze:
– il Citterio non poteva ottenere una apertura di credito, in quanto protestato e
dichiarato fallito con sentenza 12.12.1996;
– il Citterio risultava in possesso di due carte di identità di due diversi Comuni,
a lui intestate, rimaste nella sua disponibilità e che non risulta fossero state
falsificate;
– a carico del Citterio veniva operato il sequestro di numerose fotocopie di
carte di identità, riportanti dati difformi, come quella presentata alla banca da
parte dell’ imputata Rossini per ottenere l’apertura di credito;
– l’effettivo ottenimento della apertura di conto su cui, dopo la presentazione
della delega, operava soprattutto il Citterio, che provocava uno scoperto di un
certo rilievo per un lasso di tempo relativamente lungo;
-la consapevolezza, da parte dei coniugi che per operare sul conto corrente
della società, non doveva emergere che il Citterio fosse stato dichiarato fallito di
qui la necessità di alterare i dati anagrafici e presentare alla banca la fotocopia di
un documento apparentemente genuino.
A fronte dell’indicazione di tali elementi, che non denotano nel percorso
argomentativo conducente alla responsabilità degli imputati, il vizio motivazionale

3

acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se

denunciato dagli stessi, il Citterio e la Rossini, si limitano a riproporre in questa
sede questioni – quali il fatto che il Direttore della Filiale “Veneto Banca”, non era
neanche presente personalmente al momento dell’apertura del conto corrente
societario della Rossini, ovvero che era fondamentale stabilire le modalità con cui
tali documenti erano stati consegnati all’Istituto di credito, ossia quando e
davanti a chi erano stati sottoscritti- ritenute dalla Corte d’Appello, correttamente,
irrilevanti, in relazione alla contestazione elevata e tale valutazione non risulta
specificamente confutata.

per cassazione, i motivi devono ritenersi generici, non solo quando risultano
intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria
correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
(Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013).
Del tutto generiche, inoltre, si presentano le doglianze relative al fatto che la
Corte territoriale non avrebbe dato risposta a tutte le deduzioni svolte in appello,
non indicando i ricorrenti esattamente quali doglianze sarebbero rimaste prive di
risposta, così come generiche si presentano quelle in tema di valutazione della
prova, non sviluppando i predetti un articolato ragionamento di censura.
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna di ciascun
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di
inammissibilità riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Costituzionale n. 186 del
7-13 giugno 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una
somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p..
p.q.m.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 18.11.2015

In proposito, è sufficiente rilevare che in tema di inammissibilità del ricorso

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