Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22484 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22484 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARINI NICOLA nato il 01/08/1970 a BRESCIA

avverso la sentenza del 16/12/2013 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/05/2016, la relazione svolta dal Consigliere
ANDREA TRONCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del ROBERTO ANIELLO,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. PAOLO PALUMBO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 10/05/2016

R.G. n. 33918/14

Corte Suprema di Cassazione

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza in data 16.12.2013 la Corte d’appello di Brescia,

per effetto del disposto riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62
n. 6 cod. pen., in aggiunta alle già concesse attenuanti generiche,
riduceva a mesi uno e giorni ventiquattro di reclusione la pena per il
contestato reato di cui all’art. 336 cod. pen., irrogata a Nicola Marini dal

2.

Avverso detta pronuncia propongono tempestivo ricorso, a

mezzo di un unico atto a firma congiunta, i difensori di fiducia
dell’imputato, i quali, sulla scorta di un unico profilo di doglianza,
lamentano violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per aver
il giudice di secondo grado omesso di valutare la circostanza più
significativa tra quelle riferite ai Carabinieri da Francesco CLERICI: ossia
che lo schiaffo che, in effetti, fu inferto dal MARINI nei confronti
dell’agente

accertatore

dell’Azienda

Brescia

Mobilità

Federico

MARTINELLI, intervenne solo dopo che quest’ultimo “gli aveva dato una
manata in viso”, accompagnata dalla pronuncia di una frase significativa
di come lo schiaffo anzidetto fosse “una reazione al fatto che l’agente gli
aveva ‘messo le mani addosso’,

con conseguente estraneità della

presente fattispecie concreta alla previsione dell’art. 336 cod. pen.,
atteso che la condotta del ricorrente “non aveva certo la finalità di
costringere l’agente accertatore a levargli la contravvenzione già
elevata”, dovendo semmai essere inquadrata in seno al paradigma dei
reati di ingiuria e lesioni personali, ai sensi degli artt. 594 e 61 n. 10
cod. pen., da un lato, e 582 dello stesso codice, dall’altro.

RITENUTO IN DIRITTO
1.

La sentenza impugnata va in effetti annullata, ancorché per

ragioni diverse da quelle poste a fondamento del proposto ricorso.

2.

La lettura della motivazione del giudice d’appello rende di tutta

evidenza come la circostanza sulla quale la difesa ha incentrato il
proprio ricorso (peraltro connotata da una diversa obiettività, giusta
quanto rappresentato dalla Corte territoriale, in piena adesione all’atto
che lo stesso ricorrente ha allegato, in ossequio al principio di

2

/C

Tribunale della stessa città, in esito a giudizio abbreviato.

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Corte Suprema di Cassazione

specificità) è stata tenuta presente nell’apprezzamento dei dati probatori
e nella conseguente ricostruzione dei fatti per cui è processo.
Il punto, in realtà, è un altro: vale a dire che – alla stregua della
conforme ricostruzione operata dai giudici di merito – l’incivile
comportamento del MARINI non fu affatto unitario, come potrebbe
emergere dal testuale tenore del capo d’accusa, bensì si articolò in due
distinti, ancorché ravvicinati, momenti, il primo dei quali contrassegnato
unicamente dalla pronuncia delle frasi volgari ivi riportate, certo

che esse intervennero quando già il MARTINELLI aveva ultimato l’attività
cui era intento; mentre la violenza descritta nell’imputazione intervenne
solo in un secondo momento, allorché il MARTINELLI, come detto
avendo già redatto il verbale relativo alla constatata infrazione, provvide
a posizionarlo sotto il tergicristallo, sul parabrezza della vettura che il
predetto MARINI aveva parcheggiato senza far luogo al pagamento del
prescritto ticket. Fu a tal punto, infatti, che l’imputato discese dall’auto
su cui era già salito e, dichiarando di non volere il verbale, fronteggiò
minacciosamente l’accertatore, parandosi a brevissima distanza dal suo
volto e venendo quindi legittimamente allontanato, per poi sferrargli lo
schiaffo indicato nell’imputazione, che, dunque, altro non fu se non una
manifestazione di violenta intemperanza nei confronti di colui che aveva
elevato la contravvenzione a suo carico, posta in essere adducendo ad
inesistente scusante il gesto di autodifesa di cui si è sopra detto: in
definitiva, una condotta per certo originata dalla contravvenzione
elevata dal MARTINELLI, ma, al contempo, dalla stessa causalmente
svincolata, essendosi in presenza di un atto in sé irretrattabile e di cui,
comunque, non risulta sia mai stato chiesto il ritiro, al di là
dell’intenzione attribuita al ricorrente dal giudice d’appello, in difetto
dell’allegazione di qualsivoglia dato di fatto significativo in tal senso (e,
inoltre, andando al di là della formale contestazione, che pone in
relazione il comportamento del soggetto agente con la finalità di indurre
la persona offesa non a compiere, bensì ad omettere un non meglio
precisato atto del servizio).
Logico corollario di quanto precede è la sussistenza, nella
condotta ascritta, del reato di ingiuria, aggravata dalla qualità di
incaricato di pubblico servizio propria della parte lesa; il che si conforma
all’insegnamento che si desume dalla giurisprudenza di legittimità:
“La distinzione tra il reato di minaccia a un pubblico ufficiale, di cui
all’art. 336 cod. pen. e quello di oltraggio aggravato dalla minaccia, ex

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offensive ma altrettanto certamente prive di portata minatoria, tanto più

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Corte Suprema di Cassazione

art. 341, comma quarto, cod. pen., consiste nel fatto che, nel primo, la
condotta minatoria è specificamente diretta a costringere il pubblico
ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto di
ufficio, nel secondo, la minaccia rimane nell’ambito della manifestazione
offensiva, quale espressione di semplice malanimo o disprezzo, a fronte
di un atto di ufficio già compiuto” [così Cass. Sez. 6, sent. n. 13404 del
14.10.1998, Rv. 213426, con riferimento ad ipotesi analoga alla
presente, relativa alla fattispecie delineata dal previgente art. 341 cod.

Tanto premesso, poiché sia il reato di ingiuria aggravata
– tratteggiato esattamente sulla scorta delle frasi scurrili di cui sopra si
è detto – sia quello di lesioni, in origine contestati al MARINI, risultano
essere stati dichiarati estinti dal giudice di primo grado, per effetto della
intervenuta remissione di querela ad opera della parte lesa, debitamente
accettata ex adverso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 10.05.2016

pen.].

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