Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22482 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22482 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SELMANI BASHKIM nato il 17/09/1963
CUCI REZART nato il 02/06/1984
PESCINI ANDREA nato il 08/12/1969 a MARANO TICINO

avverso la sentenza del 05/02/2014 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/05/2016, la relazione svolta dal Consigliere
ANDREA TRONCI;
udito il Procuratore Generale in persona del ROBERTO ANIELLO, che ha concluso
per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;

Uditi i difensori Avv.

Data Udienza: 10/05/2016

R.G.Cass. n. 25129/14

Corte Suprema di Cassazione

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza in data 05.02.2014 la Corte d’appello di Torino

confermava la pronuncia emessa dal g.u.p. del Tribunale di Verbania con
cui, per quanto qui interessa:

Baskim SELMANI era stato dichiarato colpevole degli innumerevoli
fatti di spaccio di cocaina, ex art. 73 D.P.R. 309/90, addebitatigli al
capo A) – ivi assorbiti quelli sub F), G) e H) – della illecita detenzione

episodi di estorsione, consumata e tentata, legati entrambi
all’anzidetta attività di spaccio, oggetto delle imputazioni di cui ai
capi C) ed E) della rubrica, e per l’effetto condannato, previa
unificazione degli addebiti per continuazione e riconoscimento delle
attenuanti generiche equivalenti alla pure contestata recidiva, alla
pena finale di anni quattro, mesi otto di reclusione ed € 17.800,00 di
multa, oltre pene accessorie;

Rezart CUCI, nipote del predetto SELMANI, colpevole dei fatti di
spaccio, avvinti dal vincolo della continuazione, ascrittigli ai capi B)
ed F) – assorbiti in questi ultimi quelli di cui al capo A) – e
condannato quindi, riconosciuta la circostanza prevista dall’art. 73
co. 5 dello stesso decreto, in regime di equivalenza con l’aggravante
di cui all’art. 99 cod. pen., alla pena complessiva di anni uno, mesi
sei di reclusione ed € 4.000,00 di multa;

Andrea PESCINI, infine, del reato di favoreggiamento reale, così
riqualificata l’imputazione sub H) – limitatamente alla conseguita
consegna della somma di C 70,00, provento di spaccio pregresso da
parte del succitato SELMANI – e condannato alla pena di mesi cinque
e giorni dieci di reclusione.

2.

Avverso detta sentenza hanno proposto tempestivo ricorso il

PESCINI personalmente, nonché il comune difensore di fiducia dei due
restanti imputati.
2.1

In particolare, il PESCINI deduce:

D “nullità conseguente ad inosservanza di legge (artt. 129 e 606
c.p.p.) e vizio di motivazione”, per essere stato disatteso l’obbligo,
sancito dal ricordato art. 129 del codice di rito, della “immediata
declaratoria di determinate cause di non punibilità”, la Corte
essendosi limitata ad una verifica “soltanto formale” della
“giustificazione offerta”;

kc

di 46 dosi della medesima tipologia di droga sub B), nonché dei due

R.G.Cass. n. 25129/14

>

Corte Suprema di Cassazione

“violazione dell’art. 606 lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 133 c.p.”,
stante il mancato apprezzamento dei criteri di commisurazione della
pena fissati dalla norma del codice sostanziale sopra indicata.

2.2
>

Quanto al SELMANI, il suo legale lamenta:
violazione di legge, nonché vizi della motivazione, con riferimento
agli addebiti di cui ai capi C) ed E) della rubrica, stanti: la mancata
spiegazione, ad opera della Corte piemontese, delle plurime e
denunciate incongruenze ravvisabili nelle dichiarazioni delle presunte

dalla circolazione’ la persona a cui dovevano soldi”; l’omesso
apprezzamento della rilevanza probatoria delle conversazioni
intercettate in atti, per contro suscettibili di essere valorizzate in
chiave favorevole all’imputato; l’inverosimiglianza logica della
spiegazione offerta dal giudice d’appello, secondo cui “i due
transessuali”

avrebbero

dovuto

sottostare

“alle

angherie

dell’albanese per mantenersi nel vizio tossicomanico”;
> analoghe violazioni con riguardo al trattamento sanzionatorio, non
avendo la Corte territoriale offerto “alcuna motivazione in ordine alla
ritenuta inidoneità plusvalente della documentata collaborazione con
la A.G. fornita dal SALMANI e del successivo percorso resipiscente
intrapreso dal medesimo”, né, tanto meno, in relazione alla
“necessarietà dell’attivazione del meccanismo aggravante di cui
all’art. 99 co. 4 cp”.
2.3
>

Infine, nell’interesse del CUCI, il ricorrente difensore:
ribadisce, onde dar conto della violazione di legge e del vizio
argomentativo in cui sarebbe incorsa la Corte nell’affermarne la
penale responsabilità rispetto al reato di cui al capo B) della rubrica,
la portata “insuperabile” della “obiezione logica per cui il quantitativo
di sostanza stupefacente rinvenuto nelle vicinanze dell’abitazione ove
si trovavano non solo l’imputato ma anche le sorelle SALMANI ed un
altro connazionale clandestino, in presenza vieppiù delle dichiarazioni
autoaccusatorie del coimputato SELMANI”, comporta che
l’attribuzione della droga al CUCI non rivesta affatto carattere di
certezza;

>

lamenta analoghe violazioni in tema di trattamento sanzionatorio,
avuto riguardo sia alla concreta applicazione della contestata
recidiva, che alla formulazione del giudizio di bilanciamento, in
termini di mera equivalenza.

parti lese, “portatrici di un chiaro ed evidente interesse a ‘far sparire

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Corte Suprema di Cassazione

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Palesemente inammissibile è il ricorso proposto dal PESCINI,

inficiato da radicale genericità, posto che esso si limita ad enunciare la
pretesa violazione dell’art. 129 del codice di rito, senza in alcun modo
esplicitare né i passaggi che darebbero conto del preteso carattere
“formale” – e perciò meramente apparente – della verifica effettuata
dalla Corte territoriale, né, a monte, della pretesa portata liberatoria

motivo di doglianza, risoltosi nell’apodittica deduzione dell’omessa
applicazione dei criteri dettati dall’art. 133 cod. pen.

2.

Altrettanto dicasi per il ricorso relativo alla posizione del

SELMANI, mentre a difforme conclusione deve pervenirsi quanto al
CUCI, seppur solo in ragione del più favorevole ius superveniens
intervenuto in materia.

3.

Dunque, per ciò che concerne il SELMANI ed avuto ovviamente

riguardo ai soli reati oggetto di devoluzione con il primo motivo di
ricorso, la Corte piemontese dà conto esaustivamente, a conferma di
quanto opinato dal primo giudice, della pluralità degli elementi di prova
ritenuti sintomatici della colpevolezza dell’imputato, individuati: a) nella
convergenza delle dichiarazioni accusatorie provenienti dalle parti
offese, Clovis Eduardo MACHADO MENDES e Michel CARAFA;

b) nel

carattere quanto mai dettagliato e circostanziato delle dichiarazioni
medesime, in tal senso essendo stato apprezzato come particolarmente
significativo il coinvolgimento nella vicenda del coimputato PESCINI, pur
indicato come estraneo al fatto genetico del credito vantato dal
SELMANI, costituito dallo spaccio della cocaina e dal suo correlato
acquisto ad opera dei due prevenuti; c) nell’ammissione, proveniente
dallo stesso SELMANI, pur nel contesto della negativa dell’addebito,
della effettività delle anzidette cessioni; d) nell’illuminante ed esplicito
riscontro rappresentato dalla conversazione telefonica intercettata alle
ore 22.20 dell’08.10.2006, nel corso della quale il SELMANI (detto
“Bruno”) formula chiare minacce all’indirizzo del suo interlocutore
– ossia del CARAFA – ove questi ed il suo “amico” non provvedano al
saldo del dovuto (conversazione cui aveva poi fatto seguito il
“pestaggio” del MACHADO MENDES); e) nella rilevanza del particolare
– ancora una volta riferito concordemente dal CARAFA e dal MACHADO

4

IC

della “giustificazione offerta”. Il che vale anche in relazione al secondo

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Corte Suprema di Cassazione

MENDES – per cui il SELMANI aveva fatto loro chiaramente intendere
che non avrebbero più potuto prostituirsi nella zona ove essi sostavano
in attesa di occasionali clienti (coincidente con quella in cui il ricorrente
esercitava la sua quotidiana attività di spaccio), ove avessero interrotto
di acquistare da lui la droga, tanto valendo a fornire giustificazione
logica del mancato riferimento al pestaggio di cui sopra nelle successive
conversazioni oggetto di captazione.
Ne consegue che si è in presenza di una motivazione per nulla
apparente, dotata di una propria indiscutibile logicità e congruenza, a

fronte della quale non assume rilievo in questa sede la lettura
alternativa patrocinata dal ricorrente con il motivo di doglianza in
esame, peraltro connotata da genericità e senza un reale confronto con
la totalità degli elementi probatori sopra indicati – in specie con la citata
conversazione dell’8 ottobre – giusta il consolidato insegnamento in
materia di questa Corte:
“In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure
attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua
manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto
probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante),
su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per
cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività,
l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità
quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente
comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o
evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti
dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria
del singolo elemento.” (così, da ultimo e fra le tante, Cass. Sez. 6, sent.
n. 13809 del 17.03.2015, Rv. 262965).
3.1

Parimenti generiche sono le censure che investono la ritenuta

applicazione della recidiva e la formulazione in termini di equivalenza del
giudizio di bilanciamento – le cui ragioni discendono implicitamente dalla
descrizione dell’assoluta sistematicità dei fatti di reato posti in essere dal
SELMANI, nonché dalle considerazioni sviluppate dalla Corte a proposito
della valutazione ex art. 69 cod. pen. – come tali inidonee a superare il
preliminare e doveroso vaglio di ammissibilità.

4.

Venendo, infine, al CUCI, le doglianze che attengono alla

declaratoria di colpevolezza del prevenuto, sia pur solo in ordine
all’imputazione di cui al capo B) della rubrica, consistono nella ylAtIV

5

Ìr

t

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Corte Suprema di Cassazione

reiterazione della identica doglianza già ampiamente presa in esame e
motivatamente disattesa dalla Corte distrettuale, le cui argomentazioni
sono state totalmente ignorate dal ricorso.
Quanto, poi, alle censure afferenti al trattamento sanzionatorio,
assorbente è la constatazione che, al di là del giudizio di equivalenza con
la recidiva risultante dal formale tenore del dispositivo, nondimeno la
pena concretamente irrogata al prevenuto è stata determinata
muovendo di fatto da una valutazione di prevalenza della circostanza

come puntualmente comprovato dallo sviluppo del relativo conteggio
risultante dalla motivazione della sentenza di primo grado.
Fermo quanto sopra, è notorio che, successivamente alla
pronuncia della cui impugnazione si tratta, la norma incriminatrice qui
applicata – ossia l’art. 73 co. 5 D.P.R. 309/90 – è stata oggetto di
modifiche in senso favorevole all’imputato, da ultimo ai sensi del d.l.
20.03.2014 n. 36, convertito in legge 16.05.2014 n. 79: discende da
ciò, in conformità all’insegnamento delle Sezioni Unite, che “Il diritto
dell’imputato, desumibile dall’art. 2, comma quarto, cod. pen., di essere
giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel
tempo, comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la
“lex mitior” anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente
rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la finalità rieducativa
della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità
impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente
individuata, sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in
termini di minore gravità” (così la sent. n. 46653 del 26.06.2015, Della
Fazia, Rv. 265110, relativa giusto ad un’ipotesi di reato ex art 73 co. 5
D.P.R. 309/90).
Inoltre, con la medesima sentenza testé citata, le Sezioni Unite
hanno puntualizzato, alla luce della (legittima) erosione del principio
dell’intangibilità del giudicato ogniqualvolta esso entra in rotta di
collisione con l’esigenza di tutela di un diritto fondamentale della
persona – a tale riguardo venendo in considerazione i parametri
costituzionali di cui agli artt. 2, 24 e 27 della Carta Fondamentale,
evocati anche con la massima che precede, e, correlativamente,
l’ampliamento dei poteri del giudice dell’esecuzione – che “In tema di
successione di leggi nel tempo, la Corte di cassazione può, anche
d’ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento
sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso

attenuante – allora tale – di cui all’art. 73 co. 5 D.P.R. 309/90, così

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inammissibile…”

Corte Suprema di Cassazione

da intendersi con esclusione dei soli casi di

inammissibilità per tardività, in tal caso essendosi in presenza di un già
perfezionato giudicato formale

disponendo, ai sensi dell’art. 609

cod. proc. pen., l’annullamento sul punto della sentenza impugnata
pronunciata prima delle modifiche normative ‘in melius’ ” (cfr. sent. cit.,
Rv. 265111).
In applicazione di tali principi la sentenza va dunque annullata e
rimessa ad altro giudice per la determinazione del quantum di pena, con

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da SELMANI e PESCINI, che
condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della
somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Rezart CUCI,
limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvia, per nuovo giudizio
sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Rigetta il
ricorso di CUCI nel resto.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen., dichiara irrevocabile l’affermazione di
responsabilità di CUCI Rezart.
Così deciso in Roma, il 10.05.2016

la connessa statuizione di cui all’art. 624 del codice di rito.

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