Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22481 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22481 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto
Carlucci Vito Nicola, nato a Matera il 20/05/1981

avverso la sentenza del 28/03/2014 della Corte di appello di Potenza

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Potenza
confermava la sentenza del Tribunale di Matera del 15 aprile 2013, che aveva
dichiarato Vito Nicola Carlucci responsabile del reato di cui all’art. 337 cod. pen.
Nelle sentenze di merito era stato accertato che l’imputato aveva profferito
frasi minacciose nei confronti di pubblico funzionario della questura, che, per
motivi di ordine pubblico, gli stava impedendo, in quanto non autorizzato, di
accedere ad una zona inibita al pubblico dalle forze dell’ordine.

Data Udienza: 10/05/2016

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputato,
enunciando motivi di violazione di legge e di vizio di motivazione, cosi riassunti

ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
– la nullità insanabile derivante dall’omessa notificazione del decreto di
citazione a giudizio, eseguita al difensore, anziché all’imputato;
– l’erronea qualificazione della condotta, risultando le frasi minacciose solo
espressione di una rabbiosa reazione all’intimazione dell’agente (per i reati di
ingiuria e minaccia difetterebbe la querela);

contrario che dal casellario non risulterebbe la tendenza a delinquere da parte
dell’imputato.

2. Il ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza e genericità delle
censure proposte.
Con la prima censura il ricorrente reitera la medesima eccezione sollevata
con il gravame di appello, non confrontandosi con la sentenza impugnata che
aveva escluso la nullità nella notifica del decreto di citazione a giudizio, in quanto
eseguita presso il domicilio eletto (ovvero presso lo studio del difensore di
fiducia). L’esame diretto degli atti, ai quali la Corte di cassazione può accedere in
ragione del vizio denunciato, dimostra la correttezza della notificazione nei
termini suddetti.
Il secondo motivo è parimenti manifestamente infondato, risolvendosi
piuttosto in una diversa lettura delle risultanze processuali, risultando accertato
che l’imputato, per forzare il controllo della polizia a tutela delle transenne poste
per delimitare l’area interdetta al pubblico, aveva inveito contro il pubblico
funzionario e lo aveva minacciato di passargli sopra se non si fosse tolto davanti
e di tagliargli la testa. Pertanto, correttamente i Giudici di merito hanno
ravvisato il reato contestato, atteso che integrano il delitto di resistenza a
pubblico ufficiale le espressioni di minaccia che manifestino la volontà di opporsi
allo svolgimento dell’atto d’ufficio e risultino idonee ad incutere timore e coartare
la volontà del destinatario (tra le tante, Sez. 6, n. 17919 del 12/04/2013,
Celentano, Rv. 256475).
L’ultimo motivo è del tutto generico, in quanto non è altro che la pedissequa
riproduzione del motivo di appello, contenente quindi critiche alla decisione di
primo grado, senza alcuna censura specifica rivolta alla sentenza impugnata. Va
ribadito che sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure
dedotte in appello, senza una critica argomentata avverso il provvedimento
«attaccato» e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso

– il diniego della concessione delle attenuanti generiche, evidenziando a

logico seguito dal giudice di merito (tra le tante, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013,
Leonardo, Rv. 254584).

3. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al
pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.500 a titolo di sanzione pecuniaria.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.500 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 10/05/2016.

P.Q.M.

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