Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22480 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22480 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto
Valenza Claudio, nato a Torino il 11/02/1969

avverso la sentenza del 10/03/2014 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino
riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Torino del 30 luglio 2013,
che aveva dichiarato, all’esito di giudizio abbreviato, Claudio Valenza
responsabile del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 73 d.P.R.
n. 309 del 1990 (illecita detenzione di hashish e marijuana e cessione di
hashish), riducendo la pena inflittagli, con esclusione della continuazione, e
confermando nel resto.

Data Udienza: 10/05/2016

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputato,
enunciando motivi di violazione di legge e di vizio di motivazione in ordine alla
dosimetria della pena, cosi riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:

la reformatio in peius della pena, in quanto il primo giudice aveva

applicato come pena base il minimo edittale, mentre nella rideterminazione della
pena, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, i
Giudici dell’appello avrebbero invece adottato un diverso criterio di
determinazione, discostandosi sensibilmente dalla pena base prevista;

3. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
Va ribadito il principio di diritto più volte affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, che tra fondamento da un consolidato insegnamento in tema di
modificazioni normative in melius del trattamento sanzionatorio (tra le tante,
Sez. 6, n. 26605 del 09/04/2009, Corama’, Rv. 244464; Sez. 6, n. 37887 del
11/10/2006, Druetto, Rv. 235588), che la reviviscenza dell’art. 73 d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 30
dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio
2006, n. 49, successivamente dichiarate incostituzionali dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 32 del 2014, non comporta che il giudice di appello quale giudice di merito di secondo grado, ovvero quale giudice di rinvio – sia
vincolato nel rimodulare la sanzione ai medesimi criteri proporzionali di tipo
aritmetico adottati dal primo giudice, potendo egli determinare la pena
discrezionalmente nell’ambito della più lieve cornice edittale tornata in vigore,
con il solo limite – nell’ipotesi di appello proposto dal solo imputato – del divieto
di reformatio in peius (sez. 6, n. 25256 del 24/02/2015, Scarallo, Rv. 265172).
In particolare, deve escludersi che, nel caso di condotte riguardanti droghe
leggere per le quali sia stata applicata una pena corrispondente o prossima al
minimo edittale, secondo la normativa dichiarata incostituzionale, il Giudice di
appello o di rinvio sia vincolato ad attenersi ai minimi di cui è stata rispristinata
la vigenza (tra le tante, Sez. 6, n. 6850 del 09/02/2016, L’Astorina, Rv. 266105;
Sez. 4, n. 46973 del 06/10/2015, Mentonis, Rv. 265209; Sez. 3, n. 23952 del
30/04/2015, Di Pietro, Rv. 263849).
Va rilevato nel caso in esame che in primo grado non era stata formulata dal
Giudice di merito una valutazione in termini di modesta offensività del fatto, a
fronte di una condotta che aveva riguardato circa 994 grammi di sostanza
stupefacente del tipo hashish.
La Corte di appello, al fine di rideterminare la pena in misura superiore ai
nuovi minimi edittali, ha invero valorizzato, con motivazione adeguata e

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– la carenza della motivazione in ordine alla determinazione della pena.

e

manifestamente priva di illogicità, la complessiva gravità del fatto, desumibile
dal quantitativo della sostanza detenuta a fini di spaccio e dalla potenziale
numerosa clientela destinataria della sostanza stessa.

4. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al
pagamento a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.500 a titolo di sanzione pecuniaria.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.500 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 10/05/2016.

P.Q.M.

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