Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2248 del 13/10/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2248 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

subricors‘proposti,da:
VIVIANI GIOVANNI N. IL 24/07/1973
PROCIDA ANNA N. IL 19/11/1956
avverso la sentenza n. 1009/2010 CORTE APPELLO di CAGLIARI,
del 18/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udit4 il Procuratore Generale in persona del Dott. 11 t;
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile

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Data Udienza: 13/10/2015

RITENUTO IN FATTO
– che, con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Cagliari ha confermato la
sentenza emessa in data 20.5.2010 dal Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato
GIOVANNI VIVIANI ed ANNA PROCIDA, in atti generalizzati, colpevoli dei reati a ciascuno
ascritti, condannandoli alle pene ritenute di giustizia, con le statuizioni accessorie anche in
favore delle parti civili;

separati ricorsi per cassazione;

– che, all’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito, ed
all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di
consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica
udienza;

CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il VIVIANI ha dedotto plurime violazioni di legge e vizi di motivazione (1. quanto
all’affermazione di responsabilità, in difetto di autonoma motivazione, essendosi
asseritamente la Corte di appello limitata a richiamare la motivazione del primo giudice; 2. 3. quanto alla ritenuta configurabilità del reato di estorsione, tra l’altro in difetto di un
ingiusto profitto; 4. quanto alla ritenuta configurabilità del reato di cui all’art. 610 c.p., tra
l’altro prescritto nelle more del deposito della sentenza della Corte di appello; 5. quanto al
diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla concreta determinazione del
trattamento sanzionatorio);
– che il ricorso del VIVIANI è

in toto inammissibile perché assolutamente privo di

specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già
dedotte in appello e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile
2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED
Cass. n. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, poiché la
Corte di appello (f. 8 ss.) – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti,
logiche e non contraddittorie (che riprendono quelle, condivise, del primo giudice, come è
fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità), e, pertanto,
esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha valorizzato, ai fini della contestata affermazione di
responsabilità, le dichiarazioni delle pp.00., motivatamente ritenute attendibili dalla Corte di
appello, “che, con estrema chiarezza ed a più riprese, attribuiscono proprio al loro datore di
lavoro le minacce esplicite di licenziamento funzionali a costringerle a firmare le buste paga
fasulle” (f. 8), oltre che la violenza privata (f. 9), e non contrastanti con le risultanze della
documentazione prodotta dalla difesa (f. 8 s.), che non corroborano l’assunto difensivo
dell’assenza di un ingiusto profitto (f. 8); la Corte di appello ha anche evidenziato (f.

– che, contro tale provvedimento, gli imputati (entrambi personalmente) hanno proposto

l’inammissibilità per difetto di specificità delle doglianze del VIVIANI inerenti alla complessiva
determinazione del trattamento sanzionatorio (ed in proposito, l’odierno ricorso nulla di
decisivo oppone, quasi omettendo di considerare l’affermazione);
– che, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione (nel caso di specie, in relazione al
reato di cui all’art. 610 c.p.), deve aversi riguardo (Cass. pen., Sez. VII, ord. n. 38143 del 13
febbraio 2014, CED Cass. n. 262615; Sez. I, sent. n. 20432 del 27 gennaio 2015, CED Cass.
n. 263365) alla data di deposito del dispositivo della sentenza di condanna (che rende la

successiva, di deposito della motivazione (che contiene soltanto l’esposizione dei motivi in
fatto e in diritto sui quali la decisione è fondata);
– che la PROCIDA ha dedotto plurime violazioni di legge e vizi di motivazione (1. – 2.
quanto all’affermazione di responsabilità in ordine all’estorsione, quanto all’inattendibilità
delle pp.00. ed alla ritenuta configurabilità del reato di estorsione; 3. quanto al diniego della
circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p.);
– che il ricorso della PROCIDA è in toto inammissibile perché assolutamente privo di
specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già
dedotte in appello e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile
2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED
Cass. n. 256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato: valgono in
proposito i rilievi che precedono, cui vanno aggiunte le argomentazioni – ancora una volta
giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie (che riprendono
quelle, condivise, del primo giudice, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme
affermazione di responsabilità), e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – con le
quali la Corte di appello (f. 10 s.) ha specificamente esaminato e confutato le censure della
difesa quanto all’affermazione di responsabilità; la Corte di appello ha anche espressamente
indicato (f. 11) le ragioni per le quali il contributo fornito alla condotta criminosa del VIVIANI
dalla PROCIDA non fu di minima importanza;
– che non può porsi, in questa sede, la questione della declaratoria della prescrizione
eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale
inammissibilità dei ricorsi. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che
l’inammissibilità del ricorso per cessazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.»

(Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22

novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del ricorso era dovuta
alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata
successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un.,
sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601
del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400);

decisione non più modificabile in relazione alla pretesa punitiva), non a quella, in ipotesi

- che la declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo
evidente che essi hanno proposto i ricorsi determinando le cause di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entità delle rispettive colpe – della
somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria;
– che i ricorrenti vanno anche condannati alla rifusione delle spese sopportate in questo
grado dalla parte civile SERRELI FRANCESCA, ammessa al patrocinio a spese dello Stato,

disponendo il pagamento della predetta somma in favore dello Stato;
– che è inaccoglibile la richiesta (formulata per conto della SERRELI) di liquidazione della
indennità di trasferta e del rimborso spese, sul presupposto che il difensore instante svolge la
professione in modo prevalente non in Roma, poiché la materia è attualmente disciplinata dal
D.M. 10 marzo 2014, art. 15, e perché l’esercizio della professione di avvocato dinanzi alla
Corte Suprema di cassazione è consentito ai soli soggetti iscritti nell’apposito albo speciale, e
la relativa professione di avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte Suprema di
cassazione, che esercita la sua giurisdizione sull’intero territorio della nazione, può svolgersi
esclusivamente in Roma, non quindi altrove (come sarebbe, al contrario, necessario al fine di
poter valutare il luogo nel quale detta professione sia in ipotesi svolta in prevalenza): Cass.
pen., Sez. II, sentenza n. 34722 del 14 maggio 2014, CED Cass. n. 260030;
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e ciascuno al versamento della somma di euro mille alla Cassa delle ammende, oltre alla
rifusione delle spese sopportate in questo grado dalla parte civile SERRELI FRANCESCA,
ammessa al patrocinio a spese dello Stato, che liquida complessivamente in euro duemila,
oltre accessori come per legge, disponendo il pagamento d Ila predetta somma in favore dello
Stato.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 13 ottobre 2015

Il com onente estensore

liquidate come da dispositivo, oltre rimborso spese forfettarie all’aliquota di legge, IVA e CAP,

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