Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22479 del 13/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22479 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mele Cosimo, nato a Genova il 04/07/1963

avverso la sentenza del 16/06/2015 della Corte di appello di Lecce, sez. dist. di
Taranto

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Aldo Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
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udito il difensore, avv. Antonio_ Zantramurjid, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto, confermava la sentenza del 22 ottobre 2012 del Tribunale
di Taranto che aveva dichiarato Cosimo Mele responsabile del delitto di cui agli
artt. 110 e 348 cod. pen., condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.

Data Udienza: 13/04/2016

Da quanto emerge dalle sentenze di merito, il Mele, odontotecnico, aveva
abusivamente esercitato fino al luglio 2008 presso uno studio dentistico la
professione medica odontoiatrica, effettuando operazioni di natura medica
(anestesia, esame del cavo orale, estrazione dentaria).

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputato,
articolando due motivi di annullamento.
Deduce la violazione di legge (artt. 157, 159, 161, 169 cod. proc. pen.): le

con la nomina del difensore; peraltro, tale residenza veniva mutata e non
comunicata al difensore; la notifica non andava a buon fine e doveva essere
rinnovata presso lo studio del difensore, a norma dell’art. 169, comma 1, cod.
proc. pen.
Denuncia l’insufficienza della prova del fatto: non sarebbe emersa con
certezza la prova del fatto, svolto con continuità e professionalità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

2. In ordine alla prima censura, va rilevato che il ricorrente ha reiterato in
questa sede la medesima censura versata nei motivi di appello, alla quale la
Corte di appello ha puntualmente dato risposta, evidenziando:
– che l’imputato, attraverso il suo difensore di fiducia, aveva fatto pervenire
il 20 settembre 2011 nel corso del dibattimento alla cancelleria del Tribunale,
che stava procedendo nei suoi confronti, indicazione del luogo di residenza in
Romania (Arad, strada Szantay Ludovic, n. 3);
– che a tale indirizzo il Tribunale aveva inviato la raccomandata ex art. 169,
comma 1, cod. proc. pen., che risultava non ritirata dal destinatario con
compiuta giacenza;
– che conseguentemente tutti gli atti venivano notificati al difensore ex art.
169.
Pertanto, la procedura di notificazione risulta effettuata secondo le cadenze
e le modalità previste dal codice di rito.
Va a tal riguardo ribadita la consolidata regula iuris che nel caso in cui
l’imputato, residente o dimorante all’estero in luogo certo, che rifiuti di ricevere
la raccomandata con avviso di ricevimento contenente l’informazione
sull’addebito e l’invito a eleggere o dichiarare domicilio in Italia, o ne ometta il
ritiro all’ufficio postale, la compiuta giacenza della raccomandata equivale ad

2

notificazioni risulterebbero effettuate presso un indirizzo in Romania, comunicato

effettiva ricezione con conseguente perfezionamento della procedura di
notificazione (ex multis, Sez. 3, n. 19735 del 08/04/2010, Nascimento, Rv.
247551; Sez. 6, n. 4586 del 13/01/2015, G.F.N., non mass.; Sez. 5, n. 35693
del 13/06/2014, Canavesio, non mass.; Sez. 2, n. 20786 del 13/02/2013,
Gambarotto, non mass.).
3. Anche il secondo motivo di annullamento è manifestamente infondato.
Il ricorrente si affida infatti ad un’erronea lettura del dictum delle Sezioni Unite
sui presupposti necessari per la configurabilità del delitto di cui all’art. 348 cod.

Le Sezioni Unite hanno dovuto stabilire se integrasse il reato di esercizio
abusivo di una professione il compimento senza titolo di atti non attribuiti
singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, ancorché
univocamente individuati come di competenza specifica di essa.
In tal caso, il Supremo Consesso ha stabilito che è necessario, per la
configurabilità della suddetta fattispecie delittuosa, che il compimento in
questione venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e
organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive
apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato
(Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, dep. 2012, Cani, Rv. 251819).
Tale ipotesi tuttavia non ricorre nel caso in esame, nel quale è stato
contestato all’imputato il compimento di «atti riservati» alla professione medica
odontoiatrica (anestesia, estrazione dentaria, esame del cavo orale) (tra le
tante, Sez. 6, n. 44098 del 21/10/2008, Bortolotto, Rv. 242367; Sez. 4, n.
27741 del 08/05/2007, Pelliccione, Rv. 236799; Sez. 1, n. 2390 del 11/02/1997,
De Luca, Rv. 207145).
Quindi era sufficiente anche il compimento di un solo di tali atti per integrare
la fattispecie di cui all’art. 348 cod. pen. (tra l’altro, è stato accertato che
l’attività abusiva svolta dal Mele presso uno studio dentistico era stata tutt’altro
che episodica).

4. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al
pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.500 a titolo di sanzione pecuniaria.

3

pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.500 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso il 13/04/2016.

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