Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22477 del 23/03/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22477 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
De Vincenzi Michael, n. a Novara il 28/2/1990

avverso la sentenza del 16/1/2014 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
limitamento al trattamento sanzionatorio e rigetto nel resto

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 16 gennaio 2014 ha
confermato la sentenza del Tribunale di Milano con la quale De Vincenzi Michael
era stato condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche con

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Data Udienza: 23/03/2016

giudizio di equivalenza alla recidiva, con la diminuente del rito abbreviato alla
pena di mesi otto di reclusione ed euro 2.000,00 di multa per il reato di cui
all’art. 73, comma 1 bis lett. a) d.P.R. 309/1990, ritenuta l’ipotesi lieve di cui al
comma 5 dell’art. 73 cit., per avere ceduto, in cambio del corrispettivo di euro
10,00 non integralmente pagato, una dose di hashish del peso di gr. 4,6 a Ignat
Nicusor, condotta del 18 luglio 2013.

qui sintetizzato ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti
strettamente necessari ai fini della motivazione, viene denunciata l’erroneità
delle conclusioni alle quali è pervenuta la Corte assumendo che la condotta del
De Vincenti è, invece, riconducibile all’ipotesi acquisto per uso di gruppo, come è
dato evincere dalle dichiarazioni rese dall’imputato in sede di convalida
dell’arresto ove il De Vincenzi riferiva di avere reperito lo stupefacente
semplicemente per fare un favore all’amico. Con il secondo motivo denuncia la
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di
prevalenza sulla contestata recidiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo di ricorso concernente la responsabilità del De Vincenzi è
infondato.

2. Occorre premettere che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici
mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non può essere
valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale
correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo
linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, sicché – sulla base di un
consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi che la
motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo
complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile. Orbene, rileva il
Collegio che le argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado.
esplicitamente richiamate dalla decisione di secondo grado, per giustificare la
pronuncia di colpevolezza per il reato di cessione di sostanze stupefacenti,
piuttosto che il dedotto inquadramento della condotta come acquisto per uso di
gruppo con conseguente declaratoria di non punibilità, devono considerarsi
senz’altro ineccepibili, sul piano logico e giuridico, essendo fondate sulle

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2. Con il primo motivo di ricorso, sottoscritto personalmente dall’imputato e

dichiarazioni rese dal Nicusor che riferiva di avere chiesto al De Vincenzi, una
fornitura di 50 euro di hashish, contattandolo sull’utenza telefonica a questi in
uso e convenendo un appuntamento, per le successive ore 22:00, in vista della
consegna della droga che aveva poi ricevuto consegnando all’imputato una parte
della somma convenuta (10 euro) nel momento in cui erano intervenuti i
verbalizzanti. Alla stregua di tali circostanze di fatto le conclusioni alle quali sono
pervenuti i giudici di merito, con ragionamento ineccepibile sul piano
dell’apprezzamento logico delle circostanze acquisite, sono in linea con la

detenzione riguarda solo i casi in cui la sostanza non è destinata a terzi, ma
all’utilizzo personale degli appartenenti al gruppo che, pertanto, la codetengono
richiedendosi, tuttavia, alcune condizioni fra le quali che: a) l’acquirente sia uno
degli assuntori; b) l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri
componenti del gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro
manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi,
contribuendo anche finanziariamente all’acquisto (Sez. U,

n.

25401

del

31/01/2013, Galluccio, Rv. 255258). Orbene la sentenza impugnata (si veda
pag. 3), confermando sul punto la sentenza di primo grado, ha evidenziato che
non risulta il pregresso consumo comune di stupefacenti tra il ricorrente e il
Nicusor e, quindi, degli ulteriori presupposti che consentono di ritenere ab initio
comune la disponibilità della res, conclusioni che hanno indotto i giudici di merito
a disattendere, con ragionamento ineccepibile, la tesi difensiva dell’imputato,
tesi il ricorso (ri)propone alla valutazione della Corte di legittimità che, tuttavia,
in presenza di argomentazioni razionali e conformi a diritto, non può compiere
sostituendo la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito.

3. Ad analoga conclusione, in presenza di articolata motivazione sul punto
contenuta nella sentenza impugnata, deve pervenirsi anche con riguardo alla
concessione delle circostanze attenuanti generiche con mero giudizio di
equivalenza alla contestata recidiva. La Corte territoriale, infatti, facendo uso
corretto dei poteri discrezionali riconosciuti in sede di apprezzamento della
valenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche, ha valorizzato
elementi ritenuti univocamente dimostrativi della non occasionalità dei rapporti
intrattenuti dal De Vincenzi con il circuito dello spaccio evidenziando la presenza
di coltellini e bilancini di precisione sia a bordo dell’auto utilizzata dal ricorrente
per i suoi spostamenti sia all’interno dell’abitazione; la capacità di procurare, in
breve tempo, la droga richiestagli e la circostanza che il De Vincenzi ha

3

giurisprudenza di legittimità secondo la quale la non punibilità delle condotte di

commesso il fatto mentre si trovava in regime di sospensione della pena,
elementi apprezzati tutti come convergenti a dimostrazione di una significativa
capacità a delinquere. Rileva, pertanto, il Collegio che sono direttamente
afferenti al merito del giudizio, piuttosto che riconducibili al dedotto vizio di
motivazione, le censure del ricorrente incentrate sull’apprezzamento di ulteriori
circostanze afferenti al comportamento processuale tenuto in occasione
dell’arresto ovvero al minimo livello di offensività della condotta. D’altra parte,

necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli
faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo
disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.

3. Deve, nondimeno pervenirsi all’annullamento della sentenza impugnata
con riguardo al trattamento sanzionatorio inflitto. La sentenza impugnata ha
confermato la condanna del ricorrente alla pena indicata in epigrafe (così
ritenuta per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con
giudizio di equivalenza alla contestata recidiva) determinando la pena base in
quella di anni uno di reclusione ed euro 2.000,00 di multa (ridotta all’inflitto per
la diminuente del rito abbreviato) avuto riguardo alle previsioni recate dal
comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, vigente alla data della decisione in primo
grado (9 agosto 2013) e nell’ambito della cornice edittale prevista per detta
fattispecie e, cioè, la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da
euro tremila a euro ventiseimila. Come noto, la pena edittale è stata modificata,
in quella della reclusione da uno a cinque anni a seguito del disposto di cui al d.l.
23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della I. 23 febbraio 2014, n. 10 che ha configurato la fattispecie di cui al comma
5, art. 73 cit. quale ipotesi autonoma di reato, disposizione, peraltro, vigente alla
data di pronuncia della sentenza di appello.

4.

Rileva il Collegio che in data 20 marzo 2014, nelle more della

proposizione del ricorso, è stato adottato il d.l. n. 36 (convertito, con
modificazioni, in I. 16 maggio 2014, n. 79) che ha modificato il trattamento
sanzionatorio prevedendo per la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R.
309/1990 la pena edittale in quella della reclusione da sei mesi a quattro anni e
della multa da 1.032 a euro 10.329. Si pone, dunque, in presenza di un
orientamento che vede il ricorso per cassazione,

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ab origine

affetto da

nel motivare il giudizio di bilanciamento tra circostanze di opposta valenza, non è

inammissibilità, inidoneo ad instaurare un rapporto di impugnazione, con
conseguente impossibilità di attivare i poteri officiosi del giudice, il problema di
esaminare l’applicabilità nell’odierna fase processuale del trattamento
sanzionatorio più favorevole, conseguente al fenomeno di successioni di legge
nel tempo, problema risolto da una sentenza della Corte, nel supremo consesso
di nomofilachia, alla quale il Collegio ritiene di aderire.

ricorso inammissibile perché manifestamente infondato e privo di motivo riferito
al trattamento sanzionatorio, è rilevabile d’ufficio l’applicabilità del nuovo
trattamento sanzionatorio più favorevole, conseguente a successione di leggi nel
tempo ( Sez. U, Sentenza n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111).

7.

Centrale, ai fini che occupano il Collegio nella disamina odierna è

l’inquadramento storico del fondamento e dei caratteri del principio di legalità
della pena affrontato nella sentenza ora richiamata e la precisazione secondo la
quale la categoria di illegalità della pena legata alla successione di leggi più
favorevoli, si manifesta solo nel caso in cui la modifica migliorativa,
“stravolgendo” i parametri di riferimento edittali considerati al momento
dell’individualizzazione della misura della pena (e cioè mutandoli in modo
decisamente significativo), renda la pena inflitta dissonante rispetto al principio
di proporzionalità collegato al disvalore sociale ritenuto dal legislatore
attualmente corrispondente ad un determinato reato. Proprio nel caso
esaminato, riguardante come quello odierno la fattispecie di cui al comma 5
dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, le Sezioni Unite hanno rilevato, da un lato, che la
disciplina transitoria introdotta con il d.l. n. 36 del 20 marzo 2014 (convertito,
con modificazioni, in I. 16 maggio 2014, n. 79) non ha previsto alcuna deroga al
principio generale di efficacia della norma nel tempo (il principio di retroattività
della legge penale più favorevole è, infatti, derogabile dal legislatore per
esigenze di bilanciamento con interessi rilevanti e meritevoli di tutela, purché
tale bilanciamento superi il vaglio di ragionevolezza in riferimento al principio di
uguaglianza di cui all’art. 3, comma 1, Cost.), e, dall’altro come non si verta in
un’ipotesi di pena illegale, ipotesi che non consegue automaticamente a qualsiasi
modifica in mitius della disciplina relativa al trattamento sanzionatorio, ma di
una pena che, benché “legale” e rientrante nei parametri normativi tuttora
vigenti, è stata irrogata in base a criteri non più corrispondenti al giudizio di
disvalore della condotta espresso dal legislatore e che, per questo, viola il

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6. Si è, infatti, affermato che nel giudizio di cassazione, in presenza di

principio di proporzionalità, alla base di qualsiasi esercizio di potere punitivo
attribuito all’autorità giudiziaria.

9. L’applicazione delle coordinate desumibili dalla sentenza ora richiamata al
caso in esame impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata
devolvendo al giudice di merito, nell’ambito dei poteri e dei criteri di cui agli artt.
132 e 133 cod. pen. e connessi oneri di motivazione sul punto, la determinazione

che, con la presente pronuncia, resta confermato il giudizio di responsabilità del
ricorrente in ordine al reato ascrittogli ed il giudizio di bilanciamento della
recidiva e circostanze attenuanti. La pena inflitta al De Vincenzi, pur rientrando
nella cornice del trattamento sanzionatorio previsto dal vigente art. 73, comma
5, d.P.R. 309/1990, come modificato per effetto del d.l. n. 36 del 20 marzo 2014
(convertito, con modificazioni, in I. 16 maggio 2014, n. 79) e in quella prevista
dalla fattispecie incriminatrice (come ritenuta) vigente al momento del fatto, al
momento dell’adozione della sentenza di primo grado e di quella in grado di
appello che l’ha confermata, è stata individuata sulla base di parametri edittali
modificati dal legislatore in termini di minore gravità laddove il diritto
dell’imputato, desumibile dall’art. 2, comma quarto, cod. pen., di essere
giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo,
impone di verificare se permanga ovvero sia venuta meno, a stregua del mutato
contesto sanzionatorio di riferimento, la proporzionalità della pena inflitta,
giudizio che, deve essere ancorato al concreto disvalore della condotta ed alla
finalità rieducativa delle pena. Resta confermato il giudizio di responsabilità della
ricorrente in ordine al reato ascrittole.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e
rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di
Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 23 marzo 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

del trattamento sanzionatorio, per il reato, come ritenuto, con la precisazione

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