Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22476 del 19/02/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22476 Anno 2016
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1)

BRACCHI Italo Carlo, nato a Cremona il 31/01/1939;
nonché dalla parte civile

2)

BRACCHI Simona, nata a Cremona il 20/05/1965, nel procedimento a
carico di Lazzarinetti Adriano, nato a Monza il 17/09/1962;

avverso la sentenza del 03/10/2013 emessa dalla Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del presidente Giorgio Fidelbo;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale
Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso proposto
da Carlo Italo Bracchi e l’inammissibilità dell’altro;
udito l’avvocato Francesco Arata che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16 febbraio 2012 il Tribunale di Cremona condannava
Italo Carlo Bracchi alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione per il reato di
calunnia, in relazione alle dichiarazioni rese al G.i.p., nel corso

Data Udienza: 19/02/2016

dell’interrogatorio di garanzia del 9 gennaio 2006, in cui aveva incolpato
Adriano Lazzarinetti, pur sapendolo innocente, del delitto di appropriazione
indebita di ingenti somme di denaro che gli erano state consegnate per il
pagamento delle imposte per conto di Simona Bracchi; con la stessa sentenza
veniva assolto Lazzarinetti dall’accusa di appropriazione indebita ai danni di
Simona Bracchi e Vanna Lazzarini.

Bracchi circa il procedimento logico attraverso cui il primo giudice era giunto a
ritenere la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di calunnia, tuttavia
ha confermato, con una diversa motivazione, la responsabilità dell’imputato;
inoltre, ha respinto l’appello della parte civile, ritenendo che gli atti
processuali non consentono di ritenere raggiunta la prova dell’appropriazione
addebitata al Lazzarinetti.

2. L’avvocato Antonella Zoni, nell’interesse di Italo Carlo Brocchi, ha
presentato ricorso per cassazione.
Dopo un’ampia premessa sullo svolgimento processuale, in cui sono
riportati anche i motivi contenuti nel ricorso della parte civile, con il primo
motivo si denuncia l’erronea applicazione dell’art. 368 cod. pen., evidenziando
una contraddizione nella sentenza che ha condannato l’imputato per calunnia
nonostante l’assoluzione del Lazzarinetti, dal reato di appropriazione, sia stata
pronunciata riconoscendo l’insufficienza delle prove, ponendosi così in
contrasto con la giurisprudenza della Cassazione secondo cui l’accusato della
calunnia deve essere assolto in presenza della mancanza di prova sull’assoluta
insussistenza del reato presupposto.
Sotto un altro profilo, si ribadisce l’insussistenza della calunnia contestata
all’imputato, dal momento che il reato si era già verificato e consumato con le
dichiarazioni rese in precedenza da Simona Bracchi, dichiarazioni che sono
state solo ribadite da Italo Bracchi, senza introdurre alcun elemento di novità,
come invece erroneamente sostenuto dai giudici di merito, che avrebbero
dovuto riconoscere la natura di post factum irrilevante alla condotta tenuta
dal ricorrente.
Con un successivo motivo si deduce la violazione dell’art. 51 cod. pen.,
rilevando che l’imputato ha reso quelle dichiarazioni in sede di interrogatorio
di garanzia esercitando il suo legittimo diritto di difesa.

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La Corte d’appello, pur condividendo i rilievi formulati dalle difese di

3. L’avvocato Francesco Arata, nell’interesse della parte civile Simona
Bracchi, ha proposto ricorso per cassazione ai soli effetti della responsabilità
civile.
Con il primo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 646 cod. pen.
e il connesso vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta insussistenza

fatti operata nelle sentenze di merito, rilevando come, a seguito dell’esposto
presentato da Simona Bracchi, non vi sia stato alcun serio accertamento in
ordine alla responsabilità del Lazzarinetti circa il mancato pagamento delle
imposte di pertinenza della professionista, avendo posto a base della
decisione, da un lato, le dichiarazioni rese dallo stesso indagato, dall’altro,
quelle di Simona Bracchi, che però è stata ritenuta sostanzialmente
inattendibile. Si sottolinea come evidente vizio della sentenza l’omessa
valutazione dei trasferimenti in denaro documentati dai plurimi assegni
corrisposti da Simona Bracchi al Lazzarinettí, peraltro in coincidenza con le
scadenze fiscali e previdenziali. Su tali aspetti, puntualmente dedotti in
appello, la Corte territoriale non ha offerto alcuna motivazione, evitando di
prendere in esame le risibili giustificazioni date dal Lazzarinetti, secondo cui
gli assegni corrispondevano a regalie o compensi ricevuti dalla Bracchi.
Con un secondo motivo si denuncia, sotto diversi profili, l’illogicità della
motivazione della sentenza. In particolare, si sottolinea la apoditticità con cui
i giudici hanno ritenuto credibile il Lazzarinetti, nonostante la contraddittorietà
delle sue dichiarazioni, accertate nel corso del procedimento penale per gli
indebiti prelievi nelle procedure fallimentari; nessun peso viene attribuito alle
sue ammissioni di responsabilità davanti al notaio Caimmi; nessun rilievo
viene dato alla circostanza che abbia detto di voler mettere il suo patrimonio a
disposizione della Bracchi a titolo di risarcimento. In particolare, si insiste
sulla svalutazione che la sentenza ha operato delle testimonianze rese da
coloro che erano presenti il 2 maggio 2006, allorquando emerse la situazione
fiscale della Bracchi: il riferimento è innanzitutto alle dichiarazioni del notaio
Caimnni, ritenuto non del tutto credibile sulla base di una motivazione illogica,
relativa alla circostanza che analoga confessione il Lazzarinetti non avrebbe
fatto alle altre persone presenti; peraltro, si rileva come siano state trascurate

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del reato contestato a Lazzarinetti. Viene contestata l’intera ricostruzione dei

altre testimonianze, ad esempio quella di Alberti, di Patrizia Barbieri, di
Alfredo Azzini, di Ciro Bonsanto.

4. Adriano Lazzarinetti ha depositato una memoria difensiva, con cui chiede
dichiararsi inammissibile il ricorso della parte civile.

1. Preliminarmente deve rilevarsi che il reato attribuito a Italo Carlo
Bracchi si è estinto per intervenuta prescrizione: infatti, il delitto di calunnia
risulta commesso il 9.1.2006, sicché il termine di prescrizione, che nella sua
massima estensione è di sette anni e sei mesi, si è consumato
successivamente alla sentenza di appello, considerate anche le sospensioni
(1.11.2013).
Ne consegue che, ai sensi dell’art. 129 comma 1 c.p.p., la sentenza
impugnata deve essere annullata non potendosi procedere nei confronti
dell’imputato per la suddetta causa di estinzione del reato e dovendosi
escludere che il gravame sia fondato su motivi inammissibili all’origine, stante
i contenuti delle censure mosse, il cui argomentare, però, consente di
escludere la prova evidente dell’insussistenza del fatto, sia sotto il profilo
oggettivo che soggettivo.

2. E’ fondato il ricorso proposto dalla parte civile, Simona Bracchi, ai soli
effetti della responsabilità civile, dovendo riconoscersi che la motivazione con
cui la sentenza impugnata ha confermato l’assoluzione del Lazzarinetti dal
reato di appropriazione indebita presenta una serie di incongruenze.
2.1. La Corte d’appello nel valutare gli elementi di prova a carico del
Lazzarinetti ha, innanzitutto, rilevato come le dichiarazioni accusatorie di
Simona Bracchi, Vanna Lazzarini e Italo Carlo Bracchi, provenissero da
soggetti tutti imputati di calunnia nei confronti del Lazzarinetti (le prime due
in un diverso procedimento all’epoca non ancora definito) e come tali
dovessero essere valutate ai sensi dell’art. 192 comma 3 cod. proc. pen.,
trattandosi di imputati in reato connesso, peraltro stretti da un vincolo di

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CONSIDERATO IN DIRITTO

parentela e da interessi comuni; per tali ragioni ha ritenuto, correttamente,
necessario verificare l’esistenza di riscontri alle loro accuse.
Ma è proprio in relazione alla valutazione dei riscontri che i giudici di
secondo grado finiscono per formulare una motivazione fortemente
contraddittoria, soprattutto nella parte in cui operano una vera e propria
dequotazione di alcune testimonianze acquisite agli atti, tra cui in particolare

recatosi nello studio Bracchi, avrebbe ricevuto dallo stesso Lazzarinetti una
vera e propria confessione circa l’appropriazione di somme che gli erano state
consegnate, in qualità di commercialista dello studio Bracchi, per il pagamento
delle imposte. Si tratta, evidentemente, di un riscontro forte alle accuse degli
imputati in reato connesso, ma i giudici di secondo grado tendono a
ridimensionarne il rilievo, confrontando le dichiarazioni del notaio, con quelle
di altri testimoni. Si tratta degli avvocati Mola e Gamba, anch’essi chiamati da
Simona Bracchi il 2.5.2005, dopo aver scoperto la gravità della situazione
fiscale dello studio: tali testimoni si limitano a riferire di avere rilevato una
condizione di “fortissima irritazione” della Bracchi nei confronti di Lazzarinetti
e del padre, Italo Carlo Bracchi, per la pessima gestione dell’aspetto
tributario, escludendo però di avere assistito a confessioni da parte del
Lazzarinetti o di aver sentito accuse di appropriazione nei confronti del
commercialista, se non il giorno successivo da parte della stessa Bracchi.
Tuttavia, Mola e Gamba, come pure alcuni dipendenti dello studio, avrebbero
riferito di un Lazzarinetti particolarmente imbarazzato ed avvilito.
Sulla base di questo quadro probatorio la Corte d’appello conferma il
giudizio di scarsa credibilità del notaio Caimmi, dato in primo grado.
2.2. Tuttavia, questo giudizio appare fondato esclusivamente sulla ricerca
della prova della confessione del Lazzarinetti, trascurando però il complesso
indiziario che emerge dagli atti e che non giustifica una valutazione così
negativa della testimonianza del notaio Cairnmi. Scarso peso probatorio viene
dato alla immediata indagine avviata dallo stesso notaio sulle visure catastali
ed ipotecarie degli immobili di proprietà del Lazzarinetti; allo stesso modo si
trascura la testimonianza di Alfredo Azzini, il quale riferisce che la Bracchi gli
parlò della sottrazione del denaro destinato al pagamento delle tasse; nessun
peso viene attribuito alle dichiarazioni dell’avvocato Patrizia Barbieri, chiamata
dalla moglie del Lazzarinetti che, appresa la notizia della vicenda, le avrebbe

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quella resa dal notaio Caimmi. La stessa sentenza dà atto che quest’ultimo,

addirittura manifestato l’intenzione di separarsi dal marito; riguardo alle
dichiarazioni rese da Ciro Bonsanto, i giudici le considerano non di univoco
significato, in quanto non si comprende se l’ammissione del Lazzarinetti di
essersi appropriato delle somme di denaro si riferisse alle somme relative alle
procedure fallimentari o alle somme ricevute da Bracchi per il pagamento
delle imposte; stessa sorte per le dichiarazioni di Alberti.

soprattutto perché non emerge dagli atti la confessione del Lazzarinetti, ma in
questo modo trascurano di valutare una mole di indizi che avrebbero meritato
un diverso apprezzamento e una più congrua giustificazione in ordine alla loro
svalutazione, senza contare che, secondo la stessa impostazione della
sentenza, si tratta di elementi a riscontro della prova principale costituita
soprattutto dalle dichiarazioni accusatorie di Simona Bracchi. Inoltre, risulta
siano stati del tutto trascurati, anche dal punto di vista della motivazione, i
trasferimenti in denaro documentati dai numerosi assegni corrisposti da
Simona Bracchi al Lazzarinetti in occasione delle scadenze fiscali e
previdenziali.

3. I rilevati vizi della motivazione determinano l’annullamento della
sentenza, ai soli fini civili, nei confronti di Adriano Lazzarinetti, con rinvio, ex
art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente per valore in grado di
appello.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bracchi Carlo
Italo perché il reato è estinto per prescrizione.
Annulla la medesima sentenza, ai soli effetti civili, nei confronti di
Lazzarinetti Adriano e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di
appello.
Così deciso il 19 febbraio 2016

Il Presiden

stensore

In sostanza, l’incertezza probatoria viene affermata dai giudici d’appello

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