Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22475 del 25/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22475 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO VINCENZO N. IL 01/06/1960
avverso la sentenza n. 3953/2005 CORTE APPELLO di TORINO, del
10/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 25/02/2014

R.G. 25450/2013

Considerato che:
Rizzo Vincenzo ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino
del 10/12/2012, confermativa della sentenza del Tribunale di asti del
10/12/2004 con la quale è stato condannato alla pena di anni uno e mesi cinque
di reclusione ed € 1000,00 di multa per il reato di ricettazione, chiedendone
l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen.;

dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione ed alla qualificazione giuridica
del fatto nonché la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, si è
adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la
consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia
peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e
completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato
presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano
tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la
comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del
resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e
quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza
della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non
attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458;
sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza
impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione
dell’assegno posto all’incasso dall’imputato, che lo aveva ricevuto privo
dell’indicazione del beneficiario e non certo dalla persona titolare del conto
corrente, si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito.
Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Sez.U. n. 12433 del
26/11/2009, Nocera, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, Screti, Rv.
247718) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal
dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte
dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e
della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici

deduce l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla sussistenza

motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto.
Tutto ciò vale ad escludere, anche attraverso il richiamo alla sentenza di
primo grado, qualsiasi vizio della motivazione o violazione di legge anche in
ordine alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 648 cod. pen., non
potendo il fatto, per le considerazioni sopra svolte, essere inquadrato nell’ipotesi
dell’incauto acquisto di cui all’art. 712 cod. pen. Difatti, sulla base di quanto
sopra detto, la Corte territoriale ha dato atto, con argomentazioni prive di
contraddittorietà logiche e conformi alle risultanze processuali, che la

sussistendo l’elemento materiale e quello psicologico del delitto di ricettazione.
E la scelta effettuata dai giudici di merito si pone in linea con la costante
giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, in base alla quale in tema
di ricettazione, il dolo può ricorrere anche nella forma eventuale quando l’agente
ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa accettata o ricevuta fosse di
illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel
verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi
contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (sez. 2 n. 45256
del 22/11/2007, Rv. 238515).
Quanto al terzo motivo di ricorso, occorre rilevare che la rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1 cod. proc. pen., è
subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla
conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti
senza una rinnovazione istruttoria e tale accertamento comporta una valutazione
rimessa al giudice di merito che, se correttamente motivata anche in mdo
implicito, come nel caso in esame, è insindacabile in sede di legittimità ( sez. 4
n. 18660 del 19/2/2004, Montanari, Rv. 228353; sez. 3 n. 35372 del 23/5/2007,
Panozzo, Rv. 237410; sez. 3 n. 8382 del 22/1/2008, Finazzo, Rv. 239341). Ed
infatti la Corte territoriale ha dato ampia e articolata giustificazione in ordine alla
completezza dell’istruttoria dibattimentale svolta nel giudizio di primo grado sulla
base della quale si è pervenuti all’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato in ordine al reato ascritto, essendo in particolare risultato che i testi
indicati dalla difesa erano irreperibili; da tale motivazione scaturiva,
implicitamente, che non era assolutamente necessario procedere alla
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Ciò discende dal principio,
costantemente affermato da questa Corte di legittimità, che la rinnovazione del
dibattimento in appello costituisce un’evenienza eccezionale e può essere
disposta solo quando il giudice ritiene di non potere decidere allo stato degli atti;
ciò comporta che, mentre la decisione di procedere alla rinnovazione deve essere
specificamente motivata, dovendo il giudice dare conto dell’uso del potere

qualificazione giuridica operata dal giudice di primo grado era corretta,

discrezionale derivante dall’acquisita consapevolezza di non potere decidere allo
stato degli atti, al contrario in caso di rigetto della relativa istanza la motivazione
potrà anche essere implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base
della decisione, evidenziandosi la sussistenza di elementi sufficienti per una
valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguenza
assenza di necessità di rinnovare il dibattimento (sez. 5 n. 8891 del 16/5/2000,
Rv. 217209; sez. 4 n. 47095 del 2/12/2009, Rv. 245996; sez. 5 n. 15320 del
10/12/2009, Rv. 246859).

ricorso, perché i motivi sui quali è fondato risultano manifestamente infondati.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 25 febbraio 2014

Il’gliere estensore

Il Presidente

Le su esposte considerazioni impongono di dichiarare inammissibile il

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