Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22465 del 05/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22465 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
CAMMARATA BERNARDO, nato a Catania il 20/03/1972,
avverso l’ordinanza del 27/01/2016 del Tribunale di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Catania, Sezione per il riesame delle
misure coercitive, rigettava l’appello proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza
del medesimo Tribunale che aveva respinto l’istanza di revoca della misura della
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Data Udienza: 05/05/2016

custodia cautelare in carcere applicata al Cammarata in relazione a due delitti di
estorsione aggravati dal metodo e dalle finalità di agevolare l’associazione
mafiosa Cosa Nostra.
2. Il Tribunale evidenziava come non fossero venute meno le esigenze cautelari
che avevano legittimato l’emissione del provvedimento coercitivo – peraltro
presunte per legge e che non avrebbero potuto consentire l’adozione di misure
meno gravi – in considerazione della gravità dei reati, dei precedenti penali del

merito di un separato giudizio, alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione in
quanto ritenuto partecipe della famiglia mafiosa catanese Santapaola-Ercolano.
3. Ricorre per cassazione il Cammarata, a mezzo dei suoi difensori, deducendo,
con un unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione per non
avere il Tribunale tenuto conto, ai fini del giudizio sulla sussistenza, concretezza
ed attualità delle esigenze cautelari, del tempo trascorso dalla commissione dei
fatti contestati (fino al 2009-2010), della prova del suo recesso dal fenomeno
associativo e del fatto che nel parallelo procedimento penale al ricorrente è stata
attenuata la misura.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Questa Corte ha già esaminato la posizione di Cammarata Bernardo con
precedente sentenza emessa il 4 marzo 2016, su altro ricorso dell’imputato avverso altra ordinanza emessa in sede di appello cautelare – nell’ambito del
procedimento che lo vede imputato del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. e
condannato in grado di appello alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione.
In quella recente sentenza, ai fini che qui interessano, si era sottolineato, “in
primo luogo, che il recesso del ricorrente dalla famiglia mafiosa della quale è
stato ritenuto partecipe, fin qui attraverso due conformi sentenze di merito, non
risulta da alcunché.
In secondo luogo, il ricorso si rivela del tutto generico nella misura in cui,
tentando di sminuire il ruolo del Cammarata all’interno della più importante
famiglia mafiosa di Cosa Nostra radicata nel territorio catanese e riconducibile al
famigerato boss Santapaola, sorvola su quella parte decisiva della motivazione
del provvedimento impugnato nella quale il Tribunale evidenziava che il
ricorrente, non soltanto aveva rivestito il ruolo di autista dell’Aiello Enzo
(importante esponente di quell’articolazione di Cosa Nostra), ma che egli era
stato, fino al momento in cui era intervenuta la carcerazione, un componente
attivo e versatile del sodalizio mafioso, fungendo da elemento di raccordo tra
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Cammarata e del fatto che quest’ultimo è stato condannato, nei due gradi di

Aiello Vincenzo ed altri esponenti”, occupandosi “del mantenimento in carcere di
altri soggetti legati all’associazione (come Filloramo Natale, nipote di Santapaola
Benedetto)” e curando anche “la bonifica di autovetture e siti costituenti luoghi di
incontro dei membri dell’associazione mafiosa” (fg. 2 dell’ordinanza impugnata)”.
Tali assunti, ancora validi avuto riguardo all’esiguo tempo trascorso da quella
decisione, servono ad inquadrare ancor più efficacemente il contesto nel quale si
inserivano le condotte estorsive che sono state contestate al ricorrente; contesto
altamente mafioso, che le rende non casuali ma, al contrario, ulteriore

ancora diverso rispetto agli addebiti che gli erano stati mossi nell’ambito del
procedimento che lo vedeva imputato (e condannato) per il reato di cui all’art.
416 bis cod. pen..
Tali rilievi, fanno comprendere come le motivazioni del Tribunale debbano essere
ritenute del tutto congrue e prive di vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede,
nella misura in cui non è stato valorizzato, ai fini della valutazione sulla
persistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva – a fronte di numerosi
e gravi precedenti penali, della estrema gravità dei fatti e di una conclamata
organicità a Cosa Nostra (con la prova di numerose ed eclettiche condotte
specifiche costituenti autonomi reati quali quelli per cui si procede) – il mero
decorso del tempo dalla commissione dei fatti, la circostanza che il Cammarata
fosse stato ammesso al regime di arresti domiciliari in altro procedimento, il
supposto ma non provato recesso dalla famiglia mafiosa, la mera diminuzione di
pena dopo il secondo grado di giudizio nel parallelo procedimento per il reato
associativo.
E ciò senza dimenticare la presunzione, sia pure relativa, di adeguatezza della
massima misura cautelare di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., vieppiù
con riguardo a due reati di estorsione così marcatamente connotati da mafiosità
da far ritenere assolutamente concreto ed attuale il pericolo di ricaduta nel reato.
Secondo la sempre efficace decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, infatti,
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
“ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi

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espressione di appartenenza al sodalizio da parte del Cammarata, in un settore

di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (Cass.
Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999, dep. 16.12.1999 rv 214794).
Tali considerazioni assorbono ogni altro rilievo difensivo, non rinvenendosi alcun
vizio logico-giuridico nella decisione del Tribunale.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro millecinquecento/00
alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso
ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità in ragione dei

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.
Si provveda a norma dell’art.94, comma 1 ter disp.att.c.p.p..
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 05.05.2016.
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

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