Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22464 del 05/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22464 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

SENTENZA
sui ricorso proposto da:
• DI CARLUCCIO Ciro, nato a Napoli il giorno 03/05/1960;
avverso la ordinanza in data 07/12/2015 del Tribunale di Catania in funzione di
giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Franco Moretti e Enzo Musco del foro di
Catania che hanno concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio.

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 07/12/2015, a seguito di procedimento di riesame, il
Tribunale di Napoli confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari
presso il locale Tribunale in data 10/11/2015 con la quale era stata applicata a Di
Carluccio Ciro la misura cautelare personale degli arresti domiciliari in relazione
al reato di tentata estorsione di cui agli artt.56, 110, 81, 629, comma 1 e 2 in
relaz. all’art. 628, comma 3 n. 3 cod. pen, aggravato ex art. 7 I. 203/91, come
descritto al capo b) della rubrica, commesso in danno di Di Lanno Giuseppe.

Data Udienza: 05/05/2016

In sintesi, il Di Carlucci è stato ritenuto gravemente indiziato di aver compiuto in
concorso con Magli Raffaele atti direi in modo non equivoco a costringere la
parte lesa a corrispondere vantaggi usurari derivanti da un prestito erogato dal
Magli, avvalendosi della forza intimidatrice derivante dalla sua posizione di
soggetto collegato all’associazione camorristica denominata clan Contini – Bosti.
Ha proposto ricorso per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore
dell’indagato, deducendo:

indizi di colpevolezza per la contraddittorietà della motivazione rispetto ad
atti del procedimento (le dichiarazioni della parte offesa non erano state
confermate – così come ritenuto dal tribunale – da quelle dei testi
Cacciapuoti e Marra attesa la differente descrizione delle modalità con le
quali l’incontro indicato nel capo d’imputazione si era svolto) nonché la
manifesta illogicità della motivazione per non avere il tribunale tenuto
conto delle dichiarazioni rese dall’avv. Marrazzo, il quale aveva indicato
nel Di Lanno l’estorsore e non già la vittima dei fatti in esame;
la violazione dell’art. 606, primo comma lett. c) cod. proc. pen. sia in
relazione alle esigenze cautelari – rispetto al paradigma normativo di cui
agli art. 182, comma 2, 274 lett. c e 275 comma 3 cod. proc. pen. – sia
all’adeguatezza della misura cautelare, con riferimento all’art. 275,
comma 3 cod. proc. pen.
Con memoria depositata il 19/04/2016 la difesa del Di Carluccio ha ampliato i
motivi di ricorsi relativi all’inattendibilità intrinseca ed estrinseca del narrato della
persona offesa Di Lanno, analizzando il tenore delle sue dichiarazioni, ed
insistendo nel rilievo relativo all’errata valutazione della testimonianza dell’avv.
Umberto Marrazzo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso – basato sull’erronea valutazione del quadro
indiziario – è manifestamente infondato.
1.1 Deve innanzitutto premettersi che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema
hanno già avuto modo di chiarire che “in tema di misure cautelari personali,
allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in
relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso
ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni

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la violazione dell’art. 606, primo lett. c) ed e) cod. proc. pen. sui gravi

che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie” (in
motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica
funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo
la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati

del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della
decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere
conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui
all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare
contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e
tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza – Cass. Sez. U, sent. n. 11 del 22/03/2000, dep.
02/05/2000, Rv. 215828).
Tale orientamento, dal quale l’odierno Collegio non intende discostarsi, ha
trovato conforto anche in pronunce più recenti di questa Corte Suprema (cfr. ex
nnultis: Cass. Sez. 4, sent. n. 26992 del 29/05/2013, dep. 20/06/2013, Rv.
255460).
Ne consegue — ed il discorso vale anche per le esigenze cautelari di cui si dirà più
avanti — che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc.
pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in
cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od
in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato (in motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di
legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del
giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei
dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo
formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito – Cass. Sez. F,
sent. n. 47748 del 11/08/2014, dep. 19/11/2014, Rv. 261400; Sez. 3, sent. n.
40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Rv. 248698).
2.2 Ciò premesso, deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata presenta una
motivazione congrua, non manifestamente illogica e tantomeno contraddittoria.

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nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità

In essa risultano, infatti, ricostruite le emergenze investigative e tutti gli ulteriori
elementi che portano a ritenere che i fatti descritti nell’imputazione preliminare
si sono verificati e che essi sono riconducibili all’indagato (oltre che al complice).
Il tribunale, in particolare, ha evidenziato:

il contenuto delle dichiarazioni rese in più occasioni della parte lese,
precise e circostanziate, circa l’incontro avvenuto in via Briganti al civico
219 in Napoli con il Magli ed il Di Carluccio, e, in particolare, le minacce

Secondigliano e di Giugliano;

il riconoscimento da parte del Di Lanno sia dell’immobile di via Briganti,
dove il Magli lo avevo condotta, sia della persona che lo aveva
minacciato, identificata nel Di Carluccio;

l’ammissione dell’indagato di aver incontrato la parte lesa, nelle
circostanze di tempo e di luogo indicate nel capo d’imputazione, negando
sì le minacce ma senza fornire adeguata spiegazione delle ragioni della
sua intromissione nella questione debitoria che riguardava il Magli e il Di
Lanno;

la conferma dell’incontro in questione da parte dei testimoni Cacciapuoti
Antonio e Marra Luigi che, sia pure a breve distanza, assistettero al
colloquio e notarono che il Di Lanno fece ritorno da loro visibilmente
scosso;

la mancanza di elementi per ritenere che la vittima avesse inteso
accusare falsamente di un così grave delitto il Magli ed un soggetto (il Di
Carluccio) che non aveva mai visto prima;

la verosimiglianza delle minacce in considerazione che effettivamente il Di
Carluccio è attualmente imputato per il reato di cui all’art. 416 bis
(appartenenza al clan Contini) e per altri delitti aggravati dall’art. 7 I.
203/1991;

la documentazione prodotta dal denunciante idonea a dimostrare il
carattere usurario del prestito e le esose pretese restitutorie del Magli.

Per contro la difesa del Di Carluccio, oltretutto nel mancato rispetto del principio
giurisprudenziale dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, nell’atto
d’impugnazione si è limitata a far menzione delle “dichiarazioni dell’avv.
Marrazzo” idonee ad inficiare il quadro indiziario a carico dell’indagato, senza
specificarne il contenuto e soprattutto senza indicare le ragioni della decisiva
valenza probatoria; nella memoria depositata il 19/04/2016 (punto II, pagg. 11
e seguenti) si è tentato di ovviare a tale lacuna, riportando “passi” delle

ricevute con espliciti riferimenti alle amicizie negli ambienti criminali di

dichiarazioni in oggetto. Non considera tuttavia la difesa che in forza della
richiamata regola della “autosufficienza” del ricorso, operante anche in sede
processuale penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il
travisamento di una prova dichiarativa ha l’onere di suffragare la validità del suo
assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle
dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani
delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Cass. Sez. 4, sent.

Cass. sez. F, sentenza n. 32362 del 19/08/2010 – dep. 26/08/2010 – Rv.
248141 che ha ribadito che il ricorso per cassazione, per difetto di motivazione in
ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere
accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali
relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, in quanto
necessarie ai fini della verifica della corrispondenza tra il senso probatorio
dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione). Inoltre,
allo stato delle indagini, non può negarsi che quanto dichiarato dall’avv.
Marrazzo ha come unica fonte il Magli, circostanza che – a prescindere dagli
approfondimenti del caso – è stata a ragione ritenuta rilevante, con conseguente
inidoneità del contenuto di tali dichiarazioni ad incidere sulla gravità del quadro
indiziario.
Per quanto riguarda le incongruenza enfatizzate nel paragrafo 1.1 del ricorso e
alle pagine 3 e segg. della memoria è appena il caso di rilevare che, a fronte del
complessivo quadro indiziario, non risulta affatto decisivo che i testi non abbiano
precisato se il Di Lanno si allontanò dal luogo dell’incontro perché riuscì a
sottrarsi alla pressante insistenza del Magli e del Di Carluccio ovvero se fu da
essi alla fine lasciato libero di andare.
3. Ugualmente privo di consistenza è il motivo attinente alle esigenze cautelari.
3.1. In punto di diritto, va rilevato che, secondo la pacifica giurisprudenza di
questa Corte di legittimità (ex plurimis Cass. 25214/2009 Rv. 244829; Cass.
24051/2014 Rv. 260143), in tema di misure cautelari personali, ai fini della
valutazione del pericolo di reiterazione di cui all’art. 274 lett c) c.p.p. il requisito
della concretezza non si identifica con quello dell’attualità di cui all’art. 292,
comma secondo, lett. c) cod. proc. pen.
La concretezza indica la condizione, necessaria e sufficiente, che esistano
elementi “concreti” (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa
affermarsi che l’imputato, verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere

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n. 37982 del 26/06/2008, dep. 03/10/2008, Rv. 241023; più recentemente

reati rientranti fra quelli contemplati dalla norma processuale.
L’attualità, invece, deriva dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime
favorevoli alla commissione di nuovi reati, anche se «il riferimento in ordine al
“tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma
secondo, lett. c) cod. proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo
della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo
intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad

esigenze cautelari» (SSUU 40538/2009 – Rv. 244377).
In altri termini, le esigenze connesse alla tutela della collettività devono
concretarsi nel pericolo specifico di commissione di delitti collegati sul piano
dell’interesse protetto. Trattandosi di valutazione prognostica di carattere
presuntivo, il giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici
adottati con motivazione congrua ed adeguata, esente da vizi logici e giuridici. Ai
fini del giudizio prognostico previsto dall’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), deve
aversi riguardo alle specifiche modalità, circostanze e gravità del fatto, alla
condotta tenuta in occasione del reato, alla personalità dell’indagato, da valutare
alla stregua dei suoi precedenti penali e giudiziali, all’ambiente in cui il delitto è
maturato, come pure di ogni altro elemento compreso fra quelli enunciati
nell’art. 133 c.p. (ex plurimis Cass. 28618/2013 Rv. 255857).
E’ opportuno inoltre rilevare che la novella di cui alla L. 47/2005, ha sì modificato
l’art. 274 cod. proc. pen. ma le modifiche non sono altro che un recepimento dei
principi di diritto già enunciati da questa Corte (attualità del pericolo di recidiva;
desumibilità dei requisiti della concretezza ed attualità non solo dalla gravità del
titolo del reato ma anche in relazione alla personalità dell’indagato/innputato).
3.2 Tanto premesso, non resta che verificare se la motivazione addotta dal
Tribunale risponda ai principi di diritto appena illustrati, posto che il ricorrente ha
censurato in particolare l’apparenza della motivazione – e la mancanza quindi di
un’autonoma valutazione dei fatti – nonché la mancanza di attualità, atteso il
periodo di oltre due anni trascorso tra il tentativo di estorsione e l’emissione
dell’ordinanza cautelare.
Per quanto riguarda la valutazione prognostica di carattere presuntiva, in
relazione alle esigenza di tutela della collettività, il tribunale, richiamando le
argomentazioni del gip, ha fatto esplicito riferimento alle modalità dell’azione
(“insidiosità delle minacce poste in essere da un soggetto – il Di Carluccio inserito in contesti criminali”, tipiche di “una personalità particolarmente proclive

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una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle

a delinquere”, con conseguente “concreto pericolo di reiterazione di reati della
stessa specie”), considerando anche l’ambiente in cui il delitto è maturato e
fornendo nel complesso una motivazione senz’altro idonea a rendere concreto il
rischio di recidiva.
Quanto al requisito dell’attualità (e, quindi, alla violazione dell’art. 292 cod. proc.
pen.), va osservato che nell’ordinanza impugnata sono ben evidenziati, specie
nella parte relativa all’aggravante del metodo mafioso, i contatti del ricorrente

lascia4o intendere che poteva godere di numerosissimi contatti che non si
recidono da un giorno all’altro ma che sono pronti ad essere ristabiliti non
appena se ne presenti l’occasione (e, quindi, anche nel tempo presente).
4. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.500,00 (millecinquecento) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 5 maggio 2016.

con la criminalità organizzata della zona di Secondigliano, avendo costui

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