Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22451 del 27/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 22451 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: ARIOLLI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PARVENZA SERENA N. IL 14/03/1986
avverso l’ordinanza n. 728/2015 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 14/08/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

re

Uditi difensor Avv.;

.te,e

Data Udienza: 27/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 13/7/2015 il Giudice per le indagini preliminari

del Tribunale di Reggio Calabria applicava a Parvenza Serena la misura
cautelare degli arresti domiciliari in ordine al reato di associazione a delinquere,
aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152/1991 (nella duplice declinazione della
finalità e del metodo), avente ad oggetto il delitto di esercizio abusivo di attività

danni dello Stato, omessa dichiarazione dei redditi ed IVA, in materia di
intestazione fittizia, riciclaggio e reimpiego dei proventi di delitto, per come
rubricato nel capo a) dell’imputazione provvisoria, commesso in concorso con
altri soggetti. In particolare, strutturavano l’organizzazione secondo una catena
gerarchica che dai capi, promotori e costitutori, era impegnata: – sul territorio
estero per l’acquisizione delle licenze, la gestione amministrativa e finanziaria,
la predisposizione dei server e dei software, la manutenzione, lo sviluppo e
l’aggiornamento tecnico-informatico; -sul territorio nazionale, invece, per la
diffusione commerciale dei brand gestiti dall’organizzazione, la raccolta fisica
del denaro, il trasferimento all’estero, la concessione di fidi alle singole sale
giochi e scommesse, la risoluzione di problematiche tecniche-informatiche, la
stipula di alleanze grazie alle quali, l’organizzazione, infiltrandole, si giovava del
contributo e delle strutture informatiche concesse da Agile s.r.I., Tuke s.r.I.,
Microgame s.p.a. e People s.r.I.: associazione che operava unitariamente sino a
tutto il 2011 e si separava, poi, in due gruppi: il primo operante principalmente
tramite la Uniq Group Ltd, gestita da una società di fatto con a capo Gennaro
Mario, il secondo operante principalmente tramite la Teberal Ltd e la
Betsolution4U Ltd, gestite da una società di fatto con a capo Lagrotteria
Domenico; tutte le suddette imprese formalmente partecipate da altre società,
anche fiduciarie, stanziate all’estero, riconducibili alla GVM Holding Ltd,
partecipata dalla MRR Service Ltd, il cui capitale sociale è interamente detenuto
da Gonzi David. A Parvenza Serena viene altresì contestato il ruolo di
organizzatore, in qualità di Director della “Uniq Group Limited” e della “Uniq
Shopping Limited”, società quest’ultima anch’essa posseduta al 100% dalla Star
Games Ltd”.
2.

Il Tribunale del riesame, con ordinanza in data 14/8/2015,

confermava la misura cautelare disposta dal G.I.P.
3.

Avverso tale ultimo provvedimento ricorre per cassazione il difensore,

nell’interesse dell’indagata, chiedendone l’annullamento. Al riguardo, deduce:

di gioco e scommesse e gli ulteriori reati, ovvero quello di truffa aggravata ai

1) “Violazione di legge in relazione all’art. 309 cod. proc. pen.” In particolare,
eccepisce la nullità dell’udienza camerale del 12/8/2015 per non avere
l’indagata potuto partecipare all’udienza dinanzi al Tribunale del riesame in
quanto ancora detenuta all’estero e, dunque, per non aver potuto esercitare il
proprio diritto esclusivo previsto all’art. 309, comma 9 bis cod. proc. pen. di
chiedere il differimento dell’udienza per giustificati motivi e, inoltre, per
mancato deposito da parte dell’ufficio di procura di tutta la documentazione

misura per violazione dell’art. 292 c.p.p.”, per avere il G.I.P. omesso
“l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari”,
aderendo acriticamente all’impostazione accusatoria; 3) “Vizio di motivazione
dell’ordinanza impugnata per omessa, errata o insufficiente valutazione delle
prove. Manifesta illogicità della motivazione. Motivazione apparente”, avendo
omesso il Tribunale del riesame di svolgere una penetrante valutazione critica
dei presupposti oggettivi e soggettivi fondanti il provvedimento impugnato,
omettendo altresì di apprezzare i rilievi difensivi mossi. Si è così assistito ad
una sorta di cortocircuito logico essendosi il Tribunale preoccupato più di
tratteggiare la figura del Mario Gennaro che di approfondire la posizione
dell’indagata (il cui esame inizia a pag. 24), il cui coinvolgimento viene fondato
solo su alcune intercettazioni captate, peraltro suscettibili di diverse
interpretazioni ed il cui contenuto non è necessariamente riconducibile al tema
di prova oggetto del procedimento; si evidenzia, poi, anche ai fini
dell’esclusione del dolo oltre che dei delitti fine che costituirebbero il
programma criminoso dell’associazione, come l’attività svolta dalla BetuniQ sia
lecita, non solo nel business del gioco e delle scommesse a distanza ma anche
con riguardo all’assenza di profili violativi della normativa fiscale e di qualsiasi
ipotesi di truffa ai danni dello Stato; 4) “Violazione di legge in relazione alla
ritenuta sussistenza dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991”,
stante l’illogica (e dunque mancate) motivazione adottata dal Tribunale sul
punto che ha omesso di dare contezza degli elementi che ne rivelerebbero la
presenza in capo all’indagata, collocata in un contesto territoriale bel lontano
dall’ambito di operatività del sodalizio mafioso di cui al capo e della rubrica,
ovvero ne giustificherebbero un’imputazione a titolo di colpa; 5) “Violazione di
legge in ordine all’assenza di motivazione riguardo alle esigenze cautelari ed
omessa valutazione e considerazione degli elementi addotti dalla difesa” (nella
specie, avvenuto sequestro delle società, assenza di un patrimonio tale da
assicurare la latitanza, disposto sequestro di tutte le strutture operative del

3

relativa alla richiesta di estradizione; 2) “Nullità dell’ordinanza applicativa della

sodalizio ed avvenuto arresto degli altri coindagati, raggiunti da provvedimenti
di custodia cautelare personale).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è infondato.

1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato in quanto,

facoltà di differimento dell’udienza camerale è stato dovuto ad una omissione
dell’indagata; invero, in data 1/8/2015 è stata depositata in cancelleria la
dichiarazione di nomina dei difensori di fiducia a firma dell’indagata, nell’ambito
della quale viene dato atto della fissazione dell’udienza camerale per il
successivo 12 agosto, di tal ché la ricorrente si è trovata nelle condizioni
materiali per chiedere il differimento, tenuto conto che proprio il giorno
dell’udienza ella stava per essere consegnata agli agenti della polizia italiana di
frontiera in Roma. Del tutto generica poi è l’ulteriore censura relativa al
mancato deposito da parte dell’Ufficio di procura della documentazione
attinente alla richiesta di estradizione, considerato che non si indica quale
sarebbe la documentazione omessa e la sua rilevanza in ragione della concreta
lesione del diritto di difesa.
2.

Manifestamente infondata è la deduzione relativa alla nullità, ex art.

292 lett. c) e c bis) cod. proc. pen., dell’ordinanza applicativa della misura
cautelare per omessa autonoma valutazione da parte del G.I.P. del Tribunale di
Reggio Calabria delle risultanze di indagine, posto che il richiamo agli ampi
contenuti delle informative di polizia giudiziaria è ragionevolmente dovuto alla
necessità di spiegare l’origine e la complessità dell’indagine (svolta da ben
quattro forze di polizia giudiziaria), in ragione delle molteplici contestazioni,
soprattutto di carattere associativo, formulate. La figura di ciascun indagato,
pertanto, risulta logicamente collocata dal giudice della cautela all’interno di
detta e complessa ricostruzione e necessariamente valutata in ragione delle
dinamiche complessive dei gruppi associativi di cui ai capi a) e c) della rubrica.
Pertanto, la valutazione della gravità indiziaria in ordine all’ipotesi di reato
mossa all’indagata deve necessariamente apprezzarsi, ai fini della completezza
ed autonomia motivazionale, col richiamo all’integralità del provvedimento
cautelare proprio in forza dell’esistenza di altri e molteplici elementi di carattere
“presupposto” caratterizzanti l’associazione a delinquere semplice contestata e
fondanti la condotta di partecipazione. In tale contesto, i passaggi motivazionali

4

come rilevato dallo stesso Tribunale del riesame, il mancato esercizio della

con cui il giudice della cautela opera una sorta di “riepilogo” valutativo degli
elementi a carico, vanno necessariamente letti e valutati alla luce di quanto
complessivamente ed in precedenza dallo stesso giudice esposto (in tal senso il
chiaro riferimento agli incisi “alla trattazione fin qui esposta”, “alla luce dei dati
investigativi raccolti e delle considerazioni appena sviluppate”), così
tratteggiandosi in modo completo e con dovizia di riferimenti la figura
dell’indagata. Del resto, la valenza “critica” del provvedimento cautelare si

avendo il G.I.P. disatteso, con riferimento alla ricorrente, la richiesta più
gravosa della custodia in carcere avanzata dal Pubblico ministero. Va escluso,
pertanto, che nel caso di specie la motivazione sia mancante o apparente
ovvero del tutto priva di autonoma motivazione, con la conseguenza che va
riconosciuto all’ordinanza che decide sulla richiesta di riesame la possibilità di
integrare l’eventuale carenza o insufficienza della motivazione di quella adottata
dal primo giudice (in termini, anche a seguito delle modifiche apportate agli
artt. 292 e 309 cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, vedi: Sez. 2,
sentenza n. 12537 del 17/3/2014, Rv. 259554).
3. Parimenti manifestamente inammissibili sono gli ulteriori profili di
censura che attengono al difetto di motivazione in punto di gravità indiziaria.
3.1. La questione controversa concerne quello dell’essere o no la
ricorrente una partecipe della societas sceleris contestata al capo a) della
rubrica e per di più un’organizzatrice della stessa. E ciò posto si censura,
innanzitutto, la motivazione del Tribunale, vuoi per mancanza, vuoi per illogicità
o contraddittorietà, che ha ritenuto l’esistenza di elementi sintomatici, sotto il
profilo della gravità indiziaria, di tale compartecipazione.
3.2. Al riguardo, va innanzitutto precisato che «il sindacato di legittimità
sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla
verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che
deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata
su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o
sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati » (Sez. 4, sentenza n. 48320
del 12/11/2009, Rv. 245880). Tanto precisato, rileva il Collegio che il Tribunale
del riesame di Reggio Calabria, chiamato a valutare i profili dedotti alla sua
cognizione, anche mediante il rinvio al contenuto dell’ordinanza genetica
emessa dal Giudice per le indagini preliminari, ha ampiamente esposto le
ragioni su cui si fonda il provvedimento cautelare impugnato (sulla possibilità
del Tribunale del riesame di recepire le argomentazioni del provvedimento

5

coglie anche con riguardo al profilo della scelta della misura da applicare,

applicativo della misura, perché in tal caso i due atti si integrano
reciprocamente, vedi Sez. 6, sentenza n. 48649 del 6/11/2014, Rv. 261085).
Infatti, dopo aver riprodotto le risultanze di indagine considerate rilevanti nelle
prime 23 pagine del provvedimento gravato, ha poi analiticamente ricostruito
gli indizi relativi alla fattispecie alla ricorrente ascritta, preceduta da una
valutazione complessiva sui reati associativi, con particolare riferimento a quello
di cui al capo a) della rubrica (genesi, struttura, modalità operative e rapporti

risulta logico e coerente anche in ragione delle contestazioni associative elevate
nel procedimento, in quanto non può prescindersi da un esame complessivo
della vicenda, all’interno della quale le condotte poste in essere dalla Parvenza
Serena volgono verso una direzione finalistica unitaria.
Sulla base di tali premesse deve dunque rilevarsi che il Tribunale del
riesame ha dapprima ricostruito nel complesso il materiale istruttorio, indicando
gli indizi di reità a carico della ricorrente in ordine alla partecipazione
all’associazione di cui al capo a), spiegando poi le modalità attraverso le quali
l’associazione mafiosa dì cui al capo c) ha tratto giovamento dell’esistenza
dell’associazione semplice di cui al capo a), il concorso tra le due ipotesi e la
ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203/1991 nella forma
della agevolazione sinallagmatica tra le attività delle due associazioni (pagg. 617); ha, poi, evidenziato specificamente gli indizi a carico dell’indagata con
riguardo al capo di imputazione provvisoria contestato (pagg. 24 – 30),
indicando, infine, le rationes a sostegno delle esigenze cautelari e del tipo di
misura applicata (pagg. 31 – 35).
3.3. Quanto poi alla “solidità” degli indizi su cui poggia il provvedimento
cautelare, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, risulta avere valorizzato il
contenuto di diverse intercettazioni telefoniche alle quali prende parte anche
direttamente l’indagata e nel corso delle quali conversa con il marito Zucco
Marco, anch’egli coindagato come sodale, ovvero con Manti Daniela Giovanna,
moglie di Mario Gennaro, su questioni riferibili all’attività delle società utilizzate
da quest’ultimo per gestire il business dell’attività di gioco e scommesse e dalle
quali ha ricavato come l’indagata fosse a conoscenza delle esatte dinamiche
“commerciali” seguite dal Mario Gennaro e vi fosse direttamente coinvolta
unitamente al coniuge. In materia di intercettazioni telefoniche costituisce
questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito,
l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui
apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti

6

con l’associazione di stampo mafioso di cui al capo c). Tale modus procedendi

della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse
sono recepite (Sez. 2, sentenza n. 35181 del 22/5/2013, Rv. 257784). E
logicamente plausibile – proprio in ragione del contenuto dei dialoghi
intercettati e del chiaro riferimento alle modalità operative dell’intera rete
commerciale dell’organizzazione – è l’affermazione che il Tribunale del riesame
ne ricava allorché afferma che la stesso indagata – al corrente delle attività
illecite dell’organizzazione – abbia ella stessa contribuito concretamente al

compiti da svolgersi tramite la qualità rivestita in seno alla Uniq Group LtD.
A conferma del ruolo di rilievo assunto dalla Parvenza all’interno
dell’associazione e della coerente riconducibilità delle conversazioni captate al
tema di prova oggetto della contestazione, il Tribunale cita altre fonti di prova,
anche a carattere dichiarativo, provenienti dalla coindagata Tavilla Margherita e
da Erredia Michele. In particolare, la prima ha fornito chiarimenti sul ruolo
svolto dai sodali e, quanto alla Parvenza, ha riferito dì come si fosse occupata di
provvedere ai pagamenti, ragione che rende plausibile e logica la riconducibilità
all’alveo associativo ed accusatorio del riferimento a somme di denaro che
emerge da una delle conversazioni intercettate tra la ricorrente ed il marito,
peraltro solo genericamente contestata dalla difesa con il riferimento ad
un’ipotesi alternativa né documentata, né specificata. Il secondo, sentito dalla
polizia giudiziaria, ha riferito una serie di dettagli sul connubio affaristico
Gennaro-Zucco, definiti entrambi proprietari di BetuniQ; sulla espansione
internazionale del gruppo, addirittura fino in Serbia e in Romania; sulla scalata
societaria di Zucco e sui suoi viaggi a Tenerife per conto di BetuniQ; sul tenore
di vita dei coniugi Zucco-Parvenza, proprietari di vari appartamenti a Malta e di
beni di lusso, in termini del tutto compatibili con le ricchezze di origine illecita
sulle quali gli stessi possono fare affidamento in ragione della loro accertata
appartenenza all’associazione del capo a).
Il Tribunale da poi atto di come accertati e documentati siano stati i
contatti tra l’indagata ed altri sodali, quali in particolare il Ripepi Francesco, a
lungo uno dei più stretti collaboratori del Gennaro ed accusato anche di far
parte dell’associazione di stampo mafioso di cui al capo c). Il Tribunale ne
tratteggia la figura di primo piano rivestita all’interno del sodalizio, quale
organizzatore, in qualità di master (responsabile per la diffusione commerciale
dei siti e brand dell’associazione, con il compito di affiliare nuove sale giochi e
scommesse e gestire la successiva relazione operativa con il vertice dirigenziale
dell’associazione), nella provincia di Reggio Calabria e zone limitrofe, per il

7

perseguimento dei fini del sodalizio investigato, mediante l’assolvimento di

brand Betuniq ed altri gestiti dall’organizzazione, nonché lo spessore assunto
nell’ambito della vicenda illecita, rilevando come questi fosse coinvolto nella
diffusione sul territorio calabrese dei siti emersi dalle indagini “Caminiti” ed
“Hernnes” che hanno svelato gli interessi della criminalità organizzata nel
settore dei giochi e delle scommesse a distanza. A conferma dell’intraneità del
Ripepi anche nelle dinamiche proprie del sodalizio di stampo mafioso, il
Tribunale richiama gli esiti investigativi del procedimento “Caminiti” (relativo ad

giochi e scommesse anche on line in Pellaro – volto ad imporgli l’installazione di
software per la promozione e gestione di giochi e scommesse on line illeciti),
ove era emerso che l’indagato avesse reso false dichiarazioni proprio con
l’intento di celare l’intero sistema di commercializzazione illegale dei siti illeciti
per il gioco e le scommesse sponsorizzato dalle cosche di n’drangheta, di cui
quel singolo episodio era un chiaro sintomo.
Né allo stato può escludersi la lettura indiziante che il Tribunale del
riesame offre della telefonata che vede l’indagata attivarsi per sollecitare l’avv.
Sbordoni alla restituzione di una somma di denaro (che il legale custodiva a
garanzia della conclusione di un contratto in cui era parte la Uniq Group LtD),
tenuto conto che il contenuto della telefonata va necessariamente apprezzato
alla luce degli sms che la precedono ed intervenuti, proprio in relazione a tale
vicenda, con il Mario Gennaro, al fine di dimostrare come la gestione della
società facesse capo a tale indagato e l’esistenza dello stretto rapporto che vi
era tra i due.
3.4. Infondate risultano poi le censure mosse al provvedimento impugnato
e volte a dimostrare l’assenza di dolo della ricorrente, la quale avrebbe agito
nella consapevolezza della liceità dell’attività commerciale svolta, per come
avvalorato anche da pronunzie in sede giurisdizionale nazionale ed europea.
3.4.1. Al riguardo, va innanzitutto precisato che l’attività investigativa, di
cui danno compiutamente atto sia l’ordinanza genetica che quella impugnata
(vedi pagg. 19-24), ha consentito di accertare che la raccolta “da banco” dei
giochi e delle scommesse si è concretizzata attraverso una ramificata rete di
agenzie che sono state inquadrate, simulatamente, come meri Centri di
Trasmissione Dati (CTD) collegati a “bookmaker” esteri (autorizzati a operare la
raccolta a distanza in forza di apposite licenze rilasciate dalla competente
Autorità maltese) da un apparente “contratto di prestazioni di servizi”.
Difatti, la raccolta delle giocate – attraverso più siti internet di scommesse “on
line” (sia “.it” che “.com”) ed anche attraverso sale o semplici corner costituiti

8

un tentativo di estorsione ai danni di Caminiti Gaetano – che gestiva una sala

all’interno di esercizi commerciali di altra natura (quali ristoranti, bar,
cartolerie) che operavano sotto le mentite spoglie di CED o CTD – non è
avvenuta attraverso una transazione on line, in quanto le poste dei giocatori
sono state acquisite in contanti o tramite assegni direttamente consegnati al
gestore del punto commerciale dislocato sul territorio. Questi provvedeva, poi,
anche a ricaricare i conti di gioco ovvero a mettere a disposizioni di altri membri
dell’associazione conti di gioco intestati ad altre persone, su cui venivano

giocare in qualsiasi momento e per qualsiasi cifra, anche grazie al fido che
l’organizzazione garantiva alle diverse “agenzie”. E il tutto al di fuori di qualsiasi
circuito di controllo degli organi a ciò deputati cui lo specifico settore per la
evidente rilevanza pubblicistica viene per legge ad essere sottoposto. Il
contratto di gioco e scommessa, perciò, si perfezionava interamente sul
territorio dello Stato e veniva direttamente gestito dal punto commerciale
affiliato all’associazione criminale, che poi trasferiva le somme, anche brevi
manu

compensando le perdite con le vincite e al netto della propria

provvigione – alla direzione amministrativa dell’associazione, allocata all’estero,
con evasione della relativa imposta e successivo reimpiego per l’acquisizione
anche di ulteriori imprese e licenze estere per l’esercizio ancora più esteso e
profittevole delle attività censurate.
Tale illecito modus operandi rende, dunque, non continente la questione
posta nei motivi di ricorso che, semmai, attiene alla diversa ipotesi della
raccolta di scommesse da parte di soggetto, esclusivamente e realmente CED o
CTD, che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia stata
negata per illegittima esclusione dai bandi di gare e/o mancata partecipazione,
a causa dell’asserita non conformità, nell’interpretazione della Corte di Giustizia
CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato.
3.4.2. Ad ogni buon conto, anche il profilo relativo alla dedotta liceità

accettate le giocate in contanti da parte della clientela, la quale, così, poteva

dell’attività commerciale svolta, in conseguenza dell’affermata discriminazione
alla quale risulterebbe sottoposto l’operatore estero, risulta infondato. Al
riguardo, ritiene il Collegio che possa farsi integrale riferimento all’indirizzo già
adottato su analoga questione da altro Collegio di questa Sezione con
riferimento alla posizione di altri coindagati

(ex multis Sez. 2, sentenza n.
[

11987 del 18/2/2016 dep. 22/3/2016) relativamente all’operato della società
maltese Betsolution4u.
Costituisce ius receptum che l’attività legata alle scommesse lecite è
soggetta a concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli

[

di Stato (A.A.M.S.) e, una volta ottenuta tale autorizzazione, deve essere
rilasciata la licenza di pubblica Sicurezza di cui all’art. 88 del TULPS con la
conseguenza che il reato di cui alla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, comma
4 bis (svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche
per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) risulta
integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si
eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi del R.D. 18

funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando
l’esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso (Sez. Un., sent. n. 23271 del
26/04/2004, Corsi, Rv. 227726).
3.4.3. A seguito di diversi interventi dei Giudici europei (in particolare
sentenza Placanica e sentenza Costa – Cifone), che hanno esaminato funditus la
normativa interna per verificarne la compatibilità con quella comunitaria, la
giurisprudenza di questa Corte si è attestata nel senso di ritenere che integra il
reato previsto dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, la raccolta di
scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di
intermediazione per conto di un allibratore straniero privo di concessione.
Qualora il bookmaker estero sia provvisto di concessione, la precedente
condotta è ugualmente sussumibile nel modello legale descritto dalla L. n. 401
del 1989, art. 4, in mancanza del preventivo rilascio della prescritta licenza di
pubblica sicurezza richiesta ai sensi dell’art. 88 T.U.L.P.S..
3.4.4. Tuttavia, poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate
unicamente ai titolari di una concessione, irregolarità commesse nell’ambito
della procedura di concessione di queste ultime vizierebbero anche la procedura
di rilascio di autorizzazioni di polizia, la cui mancanza non potrà perciò essere
addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il
fatto che il rilascio di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una
concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione
del diritto dell’Unione (sentenza Placanica, punto 67).
3.4.5. Ne consegue che, in mancanza della concessione e della licenza,
per escludere la configurabilità della fattispecie incriminatrice, occorre la
dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie
concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3,
sentenza n. 40865 del 20/09/2012, Maiorana, Rv. 253367) o per effetto di un
comportamento comunque discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei
confronti dell’operatore comunitario. In siffatti casi, il giudice nazionale, anche a

10

giugno 1931, n. 773, art. 88 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), una

seguito della vincolante interpretazione data alle norme del trattato dalla Corte
di giustizia CE, dovrà disapplicare la normativa interna per contrasto con quella
comunitaria. Ed infatti, non integra il reato di cui alla legge n. 401/1989, art. 4,
la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di
soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia
stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata
partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di

(Sez. 3, sentenza n. 28413 del 10/07/2012, Cifone, Rv. 253241).
3.4.6. I giudici europei, dopo aver delineato il contesto normativo italiano
e riassunto le questioni riguardanti i procedimenti principali da scrutinare e le
questioni pregiudiziali sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia, hanno
affermato, per quanto qui interessa, che gli articoli 43 CE e 49 CE devono
essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che
imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi
d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una
concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti
il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono
in possesso di una simile concessione e, con ciò, legittimando il contesto
normativo interno fondato sul criterio doppio binario.
In altri termini, è stata ritenuta compatibile con le norme del Trattato CE
la disciplina prevista dall’art. 88 T.U.L.P.S., alla stregua della quale “la licenza
per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti
concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge
riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a
soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza
della stessa concessione o autorizzazione” e dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, art.
2, comma 1 ter, convertito con L. n. 73/2010, in base al quale “l’articolo 88 del
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n.
773, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che la licenza ivi
prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l’esercizio e
la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a
seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per
l’esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell’economia e delle
finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato”. La Corte di
Giustizia è pervenuta a tale conclusione (punti 21 e 23) sul rilievo che
l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo è

11

giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE

idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da una
normativa nazionale contenente il divieto, penalmente sanzionato, di esercitare
attività in tale settore, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia
rilasciata dallo Stato, purché tali restrizioni, siccome comportano limitazioni alla
libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Placanica,
punto 42), soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi
impiegati siano coerenti e sistematici (v., in tal senso, sentenze Placanica e a.,

“Pertanto, il fatto che un operatore debba disporre sia di una concessione
sia di un’autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi
non è, in sè, sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore
nazionale, ossia quello della lotta alla criminalità collegata ai giochi d’azzardo”
(punto 27 della sentenza Biasci).
3.4.7. Sulla stessa linea, la Corte Europea ha anche affermato, risolvendo
altra questione pregiudiziale, che negli artt. 43 CE e 49 CE devono essere
interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la
circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di
un’autorizzazione che gli consente di offrire giochi d’azzardo non osta a che un
altro Stato membro, nel rispetto degli obblighi posti dal diritto dell’Unione,
subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la
possibilità, per un tale operatore, di offrire siffatti servizi a consumatori che si
trovino nel suo territorio” (punto 43 sentenza Biasci).
Va ricordato come, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia
Europea del 12 febbraio 2012, Costa e Cifone, cause riunite C-72/10 e C-77/10,
questa Corte abbia riaffermato (Sez. 3, sentenza n. 19462 del 27/03/2014) che
non vi è incompatibilità assoluta tra fattispecie incriminatrice ed i principi di
libertà di stabilimento e di libera circolazione dei servizi in ambito comunitario
(artt. 43 e 49 Trattato CE). In particolare, non sussiste incompatibilità, ed è
quindi passibile di rilevanza penale, l’attività del soggetto che non abbia
richiesto la concessione e la licenza in Italia o di chi, già abilitato all’estero alla
raccolta di scommesse, agisca in Italia tramite collaboratori o rappresentanti
che non hanno chiesto alle autorità nazionali le necessarie autorizzazioni (Sez.
2, sentenza n. 24656 del 09/03/2012, P.M. in proc. De Simone, Rv. 252828).
3.4.8. La Suprema Corte (Sez. 3, sent. n. 28413 del 10/07/2012, cit.) ha
ribadito che, sulla base dei principi affermati dalla sentenza della Corte di
Giustizia, è possibile formulare un quadro interpretativo della disciplina
conte.nuta nel Trattato (e qui riassunto per quanto di interesse) che

12

punti da 52 a 55, nonché Costa e Cifone, punti da 61 a 63).

contribuisce a definire l’applicazione della disciplina domestica in materia di
scommesse su eventi sportivi, presupposto della fattispecie penale, nel senso
che:
1) le libertà di insediamento e di prestazione dei servizi costituiscono per il
diritto dell’Unione principi fondamentali di cui gli operatori economici devono
poter usufruire indipendentemente dal Paese membro in cui sono insediati;
2) tali principi possono conoscere restrizioni nel campo delle attività

esclusivamente quando si tratta di limiti, anche consistenti nella previsione di
un regime concessorio e di controlli di pubblica sicurezza, che sono fondati su
“motivi imperativi di interesse generale” e che rispondono a principi di
proporzionalità, non discriminazione, trasparenza e chiarezza;
3) qualora le restrizioni non rispondano ai requisiti ora ricordati, le libertà
previste dagli artt. 43 e 49 del Trattato conservano piena espansione e la
disciplina nazionale in contrasto con esse deve essere disapplicata.
Per procedere alla disapplicazione della normativa interna anche nei confronti
degli operatori comunitari, sarebbe stato necessario allora dimostrare rispetto a
quali gare si fosse dispiegato il comportamento discriminatorio nei confronti
delle predette società sotto il profilo o di un’arbitraria esclusione oppure di un
impedimento a partecipare (nonostante la manifestata volontà) in condizione di
parità con gli altri concorrenti oppure individuare un comportamento comunque
discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei loro confronti.
3.4.9. E così, la mancanza di concessione rilasciata dall’A.A.M.S. comporta
l’impossibilità per l’operatore italiano o straniero di ottenere la licenza di
pubblica sicurezza di cui all’art. 88 T.U.L.P.S. ed ha, quale conseguenza,
l’esercizio abusivo del gioco di scommesse, derivando da ciò che il soggetto,
che riceve le scommesse e versa le vincite, pone in essere un’attività
commerciale in forma organizzata soggetta ad imposizione fiscale.
3.4.10. Fermo quanto precede, va comunque osservato come la dedotta
discriminazione sia stata soltanto affermata, non risultando che la suddetta
società abbia impugnato il bando e non essendo certo sufficiente la mera
contestazione della sua legittimità e che comunque la discriminazione potrebbe
tutt’al più riguardare i giochi oggetto della concessione non il poker ed i giochi
casinò comunque offerti con il suffisso .com mediante terminali resi disponibili
ai giocatori in luoghi fisici.
3.4.11. Infine, va ricordato che, secondo l’insegnamento della
giurisprudenza di legittimità, con riferimento all’elemento soggettivo del reato,

13

commerciali connesse ai giochi telematici e alle scommesse su eventi sportivi

la semplice esistenza di una situazione di incertezza interpretativa o applicativa
di una norma “non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva
d’ignoranza inevitabile della legge penale; al contrario, il dubbio sulla liceità o
meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè,
secondo quanto emerge dalla sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale,
all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte,
permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio,

inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità” (cfr., Sez. 2, sent. n.
46669 del 23/11/2011, dep. 19/12/2011, P.G. in proc. De Masi e altri, Rv.
252197).
3.4.12 Inoltre, va anche rimarcato, attenendo al profilo della sussistenza
del dolo di partecipazione nel reato associativo, che l’ipotesi accusatoria muove
anche dalla plurale e concorrente partecipazione delle cosche di `ndrangheta al
sistema del gioco e delle scommesse on line, essendosi evidenziato dal giudice
della misura e dal Tribunale del riesame come partecipassero al sodalizio
mafioso di cui al capo c), diretto ed organizzato da Mario Gennaro, già partecipe
della cosca Tegano, alcuni soggetti legati a sodalizi mafiosi egemoni nei diversi
territori della provincia reggina, risultando sistematico l’utilizzo del

metus

mafioso nella distribuzione dei prodotti commercializzati dal gruppo criminale di
cui al capo a). Riduttiva, pertanto, alla luce del contesto fattuale di riferimento
per come specificatamente ricostruito dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria
ed avallato dal Tribunale del riesame, risulta, allo stato delle indagini, una
lettura, quale quella prospettata dalla difesa, di carattere “parcellizzato” delle
implicazioni societarie in cui è coinvolta l’indagata che faccia leva sull’asserita
ed esclusiva liceità – peraltro in contestazione – dell’attività svolta dalle società
di cui egli è socia o risulta operare.
3.5. Fermo quanto precede, il Tribunale evidenzia come dalle
conversazioni telefoniche captate fosse emerso come la Parvenza Serena sia
stata, anche tramite il coniuge, non solo al corrente delle dinamiche intraprese
dal Mario Gennaro, ma che a tali illeciti si sia prestata, arrivando a ricoprire
ruoli di rilievo evidentemente ritenuta dal predetto persona di assoluta fiducia.
4. Infondata risulta anche la censura relativa alla insussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991.
4.1. Adeguata risulta, innanzitutto, la motivazione spesa sul punto dal
Tribunale. Al riguardo giova rilevare che la circostanza è contestata dal Pubblico
ministero nella forma della agevolazione funzionale sinallagmatica da parte

14

non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è

dell’associazione a delinquere semplice rispetto a quella mafiosa. A tale
proposito pare corretto ritenere aggravato (cfr. pag. 12 dell’ordinanza
impugnata) “.. il comportamento del partecipe all’associazione di cui al capo A)
nel momento in cui la condotta commessa (ovvero l’aver svolto compiti di
diffusione dei siti e dei brand dell’associazione e l’aver gestito centri di
scommesse on line), che si nutre anche della forza intimidatrice scaturente dal
sodalizio mafioso collegato, consente, in modo chiaro ed evidente, la

reimpiego e riciclaggio della stessa, la schermatura del vertice del sodalizio …
così andando indirettamente, con la sua operatività, a favorire l’intera
associazione criminosa di cui al capo C)”; azione di “favoreggiamento” del tutto
consapevole in capo ai sodali o, comunque, nello specifico con riferimento alla
Parvenza, di ignoranza colpevole, e perciò rimproverabile ex art. 59, comma 2
cod. pen.
Peraltro, quand’anche si volesse ritenere che l’associazione di cui al capo
A) abbia perseguito anche un proprio autonomo interesse, nondimeno non può
ritenersi – per ciò solo – venuta meno la configurabilità dell’aggravante de qua,
atteso che la medesima si realizza anche nel caso in cui l’agente persegua
l’ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso, purché ad
esso si accompagni, come indiscutibile nella fattispecie, la consapevolezza di
favorire l’interesse della cosca beneficiata (cfr., Sez. 5, sentenza n. 11101 del
04/02/2015, Rv. 262713).
4.2. Tanto premesso, i giudici del riesame hanno infatti innanzitutto
evidenziato – mediante anche il richiamo nella parte iniziale dell’ordinanza alla
genesi dell’indagine e ai risultati investigativi che hanno portato a svelare
l’interesse della criminalità organizzata nel business dell’attività in esame come l’associazione criminale di cui al capo a) e quella di stampo mafioso di cui
al capo c) appaiano strettamente collegate, in virtù del fatto che il sodalizio di
cui al capo c) si è infiltrato nel settore di mercato dei giochi e delle scommesse
a distanza per il tramite dell’associazione di cui al capo a), risultata compagine
del tutto servente rispetto al fine precipuo di consentire all’associazione mafiosa
l’infiltrazione in un contesto estremamente remunerativo in termini di vantaggi
economici ed opportunità di occultamento e riciclaggio di risorse illecite. Si sono
poi soffermati sul ruolo di primo piano e di cerniera svolto tra le due
organizzazioni dal Mario Gennaro, partecipe della cosca di n’drangheta Tegano e
del metodo anche mafioso impiegato per la diffusione commerciale della rete,
nonché sulla incerta provenienza sia delle ingenti risorse inizialmente utilizzatq

15

preservazione della ricchezza illecita accumulata dal gruppo mafioso, il

per l’avvio del lucroso investimento sia dei capitali necessari per il
funzionamento dell’attività di gioco.
In tale contesto fattuale, risulta coerente e logica la configurabilità
dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991 quantomeno nella declinazione
della finalità, in quanto la rete commerciale creata e di cui dispone il sodalizio di
cui al capo a) è funzionale ad agevolare sinallagmaticamente le attività
dell’associazione di stampo mafioso descritta al capo c) della rubrica. Quanto

richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui essa ha natura
oggettiva, riguardando una modalità dell’azione rivolta ad agevolare
un’associazione di tipo mafioso, e si trasmette a tutti i concorrenti nel reato, ivi
compreso il soggetto affiliato all’organizzazione criminale, che risulti essere
stato favorito dalla condotta agevolatrice (Sez. 6, sentenza n. 19802 del
22/1/2009, Rv. 244261 e Sez. V, sentenza n. 10966 dell’8/11/2012, Rv.
255206) e, dall’altro, ha comunque evidenziato, proprio in ragione del ruolo di
primo piano svolto dall’indagata e del rapporto di fiducia col Mario Gennaro, un
profilo di rimproverabilità per colpa, ravvisabile anche nel non aver
diligentemente verificato e accertato l’origine dei soggetti e delle provviste
necessarie costitutive della rete commerciale.
5.

Manifestamente infondata è l’eccezione di nullità dell’ordinanza

applicativa della misura cautelare, sotto il profilo della violazione dell’art. 292,
comma 2, lett. c) cod. proc. pen., che la ricorrente ripropone in questa sede
“ribadendo l’eccepita nullità dell’impugnata ordinanza in ordine all’assenza di
motivazione riguardo le esigenze cautelari”. Trattasi, invero, di motivo del tutto
generico ed aspecifico, in quanto la ricorrente omette di confrontarsi con le
specifiche rationes in forza delle quali il Tribunale del riesame ha rigettato la
relativa eccezione, ritenendo che la lamentata lacuna motivazionale non
sussistesse, avendo comunque il G.I.P. operato un’autonoma valutazione delle
specifiche esigenze cautelari relative alla posizione della Parvenza Serena (sulla
declaratoria di inammissibilità riguardo le impugnazioni prive della necessaria
specificità, vedi ex multis Sez. 1 n. 5044 del 22/4/1997, Pace, Rv. 207648).
6. Infondato è infine l’ultimo motivo di ricorso in tema di sussistenza delle
esigenze cautelari ed adeguatezza e proporzionalità della misura degli arresti
domiciliari applicata. Il Tribunale rende adeguata motivazione sia in punto di
valutazione della ricorrenza delle esigenze cautelari che in ordine alla scelta
della misura applicata.

16

all’estensibilità dell’aggravante alla ricorrente, il Tribunale, da un lato, ha

6.1.

Quanto all’esigenza cautelare di cui alla lett. c) dell’art. 274

cod. proc. peri., anche in punto di scelta della misura, il Tribunale ha escluso, in
relazione alla specifica posizione di rilievo rivestita dall’indagata all’interno
dell’associazione, l’idoneità di misure diverse da quella comunque restrittiva (sia
pure applicata nella gradata forma domiciliare) a preservare utilmente le
esigenze di cautela. Il Tribunale ha rilevato, infatti, la permanenza attuale di un
fondato pericolo di reiterazione della condotta criminosa, e ciò in considerazione

ragione delle sue specifiche competenze ed abilità nel settore) e dei rapporti
privilegiati con il Mario Gennaro, considerato il vertice assoluto delle
associazioni criminali descritte ai capi a) e c) dell’imputazione provvisoria,
nonché di Ripepi Francesco, a lungo uomo di fiducia del Gennaro e partecipe di
entrambe le associazioni a delinquere contestate. E proprio in virtù dell’apporto
di carattere funzionale e decisivo fornito all’operatività dell’associazione ne ha
dedotto il particolare allarme sociale, peraltro avvalorato anche e soprattutto
dal contesto in cui si inseriscono i contributi forniti da ciascun associato in
quanto volti anche ad agevolare l’attività dell’associazione mafiosa di cui al capo
c). A tale riguardo, va, infatti, evidenziato come in tema di valutazione delle
esigenze cautelari e di adeguatezza e proporzionalità della misura, riguardo a
condotte partecipative di associazioni criminali di elevato spessore (economico
territoriale), non può “parcellizzarsi” la condotta tenuta da ciascun sodale
svincolandola dal contesto di riferimento, ma occorre una necessaria lettura di
insieme e di sistema di quel contributo, valutandosi, con estremo rigore, i
risultati che un tale comportamento determina in favore dell’associazione. Nel
caso in esame, si è anche evidenziato l’attualità delle condotte per come
emerso dalle recenti captazioni (datate 2015), dal rapporto di coniugio con
Zucco Marco, considerato personaggio di spicco della recente fase di espansione
del gruppo facente capo al Mario Gennaro dopo la “scissione” con quello del
Lagrotteria e dall’espansione (in corso) di Uniq su scala europea (in Serbia,
Romania, ove il Gennaro ha inviato il marito dell’indagata, in Spagna).
6.2. Anche con riferimento all’addotta irrilevanza della gravità del titolo di
reato ai fini del giudizio sul concreto pericolo di recidivazione alla stregua delle
previsioni normative introdotte con la I. n. 47/2015, la motivazione del
provvedimento impugnato si rileva del tutto congrua e priva di vizi logicogiuridici.
6.2.1. Come è noto, gli articoli 1 e 2 della legge n. 47/2015 hanno
modificato l’art. 274 del codice di rito con un duplice e “simmetrico” intervento

17

dell’infungibile ruolo ricoperto dall’indagata in seno all’associazione (anche in

sulle lettere b) (pericolo di fuga) e c) (pericolo di commissione di gravi delitti o
di delitti della stessa specie), certamente ispirato dall’intento di condizionare
l’applicazione delle misure cautelari ad una più rigorosa e stringente valutazione
delle predette esigenze.
La “simmetria” riguarda, in primo luogo, il fatto che, per effetto della
novella, è necessaria la sussistenza di un pericolo non più solo “concreto”, ma
anche “attuale” sia quanto all’esigenza di cui alla lett. b), sia quanto a quella di

Suprema Corte, in varie occasioni, aveva affermato che,

“ai fini della

valutazione del pericolo che l’imputato commetta delitti della stessa specie, il
requisito della concretezza non si identifica con quello dell’attualità, derivante
dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di
nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali
è possibile affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa
specie di quello per cui si procede, e cioè che offendano lo stesso bene
giuridico” (così ad es., Sez. 6, sentenza n. 28618 del 05/04/2013, Rv. 255857;
in senso analogo, Sez. 4, sentenza n. 18851 del 10/04/2012, Rv. 253864; Sez.
1, sentenza n. 25214 del 3/06/2009, Rv. 244829).
In buona sostanza, la giurisprudenza aveva correlato la configurabilità del
pericolo di reiterazione di cui alla lett. c dell’art. 274 cod. proc. pen. “alla sola
condizione, necessaria e sufficiente, che esistano elementi “concreti” (cioè non
meramente congetturali)” idonei a consentire una prognosi di commissione di
ulteriori delitti analoghi (così, da ultimo, Sez. 5, sentenza n. 24051
dell’11/05/2014, Rv. 260143).
In tale prospettiva, si era anche sostenuto che la concretezza del pericolo
in questione “può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in
quanto la stessa, considerata alla luce delle modalità della condotta
concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive
al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta e quindi anche nel
caso in cui essa sia risalente nel tempo” (cfr., Sez. 3, sentenza n. 3661 del
17/12/2013, Rv. 258053; nello stesso senso, cfr. Sez. 5, sentenza n. 45950 del
16/11/2005, Rv. 233222).
L’intervento simmetricamente effettuato, dagli artt.

1 e 2 della legge n.

47/2015, sulle disposizioni di cui alle lett. b) e c) dell’art. 274 cod. proc. pen., è
consistito nell’inserimento della seguente proposizione conclusiva: “le situazioni
di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte dalla gravità del

18

cui alla lett. c) dell’art. 274. Con riferimento al pericolo di reiterazione, la

titolo di reato per il quale si procede” (nella lett. c, si precisa che tale
preclusione valutativa opera “anche in relazione alla personalità dell’imputato”).
La nuova previsione normativa lascia pertanto chiaramente intendere la
necessità di superare l’indirizzo interpretativo secondo cui gli elementi
apprezzabili per la configurabilità del pericolo di reiterazione “possono essere
tratti anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella
loro obiettività, giacché la valutazione negativa della personalità dell’indagato

tra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto reato” (Sez. 2,
sentenza n. 51843 del 16/10/2013, Rv. 258070; in senso analogo, cfr., tra le
altre, Sez. 4, sentenza n. 11179 del 09/01/2005, Rv. 231583; nel senso invece
della impossibilità di valutare la personalità dell’imputato unicamente in base
alle modalità e circostanze del fatto, v. Sez. 4, sentenza n. 37566 del
1°/04/2004, Rv. 229141).
Ne consegue che, in relazione alla valutazione del pericolo di reiterazione,
si rende ormai imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti
necessariamente considerati nell’attualità, dal momento che i parametri
individuati dalla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen. (“specifiche modalità e
circostanze del fatto”;

personalità dell’imputato o indagato

“desunta da

comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali”) hanno la specifica
funzione di evitare che la valutazione in ordine alla sussistenza delle esigenze
cautelari possa essere correlata, astrattamente, al solo titolo di reato
contestato.
Fermo quanto precede, la lettura della norma proposta dalla difesa non
appare aderente al dato esegetico che, lungi dal deprivare di specifica
concludenza cautelare le modalità del fatto, ne impone la valutazione nella
pregnante prospettiva dell’incidenza sulla concretezza del rischio di recidivanza:
non v’è dubbio, infatti, che, il legislatore, con il riferimento normativo alla
“gravità del titolo di reato per cui si procede”, abbia inteso riferirsi alla sola
fattispecie incriminatrice astratta contestata nel procedimento, rimanendo del
tutto consentita – per non dire, risultando del tutto doverosa – la valutazione in
concreto della gravità della specifica condotta. E, in una simile prospettiva, il
Tribunale valorizza il concreto pericolo di recidivanza evidenziando come, per le
ragioni dinanzi esposte “… 11 pericolo della condotta criminosa appaia … attuale
e concreto …” dal momento che, se l’indagata non venisse attinta da misura
detentiva domiciliare, potrebbe agevolmente intraprendere nuove iniziative
delittuose della stessa specie di quelle per cui si procede, in ragione dei

19

può desumersi dai criteri oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 cod. per”.

molteplici elementi fattuali che coinvolgono l’indagata e di cui l’ordinanza
impugnata dà atto anche mediante il richiamo dell’ordinanza genetica (pagg.
490-502).
6.3. Posta, quindi, la concreta sussistenza delle esigenze di cui alla lett. c)
dell’art. 274 cod. proc. pen., manifestamente infondate risultano le ulteriori
eccezioni sollevate con riferimento alla sussistenza delle ulteriori condizioni
fondanti la cautela. Quanto al pericolo di fuga, il Tribunale risulta avere

di pericolosità richiesto dalla lett. b) dell’art. 274 cod. proc. pen. (presenza
dell’indagata all’estero al momento dell’esecuzione della misura, coinvolgimento
nell’attività di espansione su scala europea del sodalizio ed esistenza di una rete
internazionale commerciale a supporto della struttura associativa). Peraltro, la
ricorrente si è limitata ad indicare soltanto gli elementi in ipotesi favorevoli ad
escludere il pericolo di fuga (assenza di un patrimonio e di rapporti con
organizzazioni mafiose di supporto), smentiti dalle emergenze richiamate dal
Tribunale nell’ordinanza impugnata e omettendo di censurare la valenza di
quelli positivi apprezzati dal Tribunale.
6.3.1. Parimenti inammissibile è la deduzione sul pericolo di inquinamento
probatorio, non risultando detta esigenza posta a fondamento dell’ordinanza di
custodia domiciliare applicata.
7. Va, pertanto, rigettato il ricorso. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 27/04/2016

declinato una molteplicità di elementi fattuali idonei a fondare anche il giudizio

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA