Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22447 del 18/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22447 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:
1) Buongiovanni Salvatore, nato a Siracusa il 28/05/1976;
2) Di Paola Ernando, nato a Siracusa il 08/07/1967;
3) Ferrara Roberto, nato a Siracusa il 06/11/1954;
4) Midolo Michele, nato a Siracusa il 09/02/1961;
5) Pianeta Francesco, nato a nato a Siracusa il 25/12/1969;
6) Procopio Giuseppe, nato a Augusta (SR) il 13/07/1973;
7) Spinoccia Antonio, nato a Siracusa il 03/05/1952;
8) Spinoccia Gerardo, nato a Siracusa il 12/02/1952;
avverso la sentenza del 17/04/2014 della Corte di Appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Mario Maria Stefano Pinelli, che ha concluso chiedendo che la sentenza
impugnata sia annullata senza rinvio nei confronti di Midolo Michele
limitatamente alle pene accessorie, con rigetto del ricorso del predetto nel resto,
e che tutti i residui ricorsi siano rigettati;
uditi per gli imputati:

Data Udienza: 18/05/2016

Bongiovanni Salvatore e Midolo Michele l’Avv. Sebastiano Troia, anche in
sostituzione dell’Avv. Francesco Favi;
Di Paola Ernando l’Avv. Luca Enrico Blasi;
Ferrara Roberto e Spinoccia Antonio l’Avv. Luca Brandino;
Pianeta Francesco l’Avv. Marco Maria Monaco;
Spinoccia Gerardo l’Avv. Paolo Germano;
i quali hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

1. Con sentenza in data 17/4/2014, la Corte d’Appello di Catania, in
riforma della sentenza del Tribunale di Siracusa del 23/5/2011, tra l’altro,
previa dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di:
Bongiovanni Salvatore in ordine al reato allo stesso ascritto al capo
U), perché estinto per prescrizione;
Cassia Sebastiano in ordine ai reati allo stesso ascritti ai capi C), D),
E), L), N), P), R), U), V), Al) ed A5), perché estinti per prescrizione;
Ferrara Roberto in ordine ai reati allo stesso ascritti ai capi V) e Al),
perché estinti per prescrizione;
Midolo Michele in ordine al reato allo stesso ascritto al capo A5),
perché estinto per prescrizione;
Spinoccia Antonio e Spinoccia Gerardo in ordine ai reati
rispettivamente ascritti ai capi E), N) e P) dell’imputazione, perché estinti
per prescrizione;
rideterminava la pena:
per Bongiovanni Salvatore, limitatamente ai delitti allo stesso ascritti
ai capi B), T) e Z), in anni quattro e mesi otto di reclusione;
per Ferrara Roberto, limitatamente ai delitti ascritti ai capi B), T) e Z)
allo stesso ascritti, in anni quattro e mesi otto di reclusione;
per Midolo Michele, limitatamente al delitto allo stesso ascritto al capo
A), a titolo di aumento per la continuazione con i fatti di cui alla sentenza
della Corte d’Assise di Siracusa del 22/7/1996 – irrevocabile il 19/6/2001, in
anni uno e mesi quattro di reclusione;
per Pianeta Francesco, limitatamente ai delitti allo stesso ascritti ai
capi B), H) ed M), in anni quattro e mesi otto di reclusione;
per Spinoccia Gerardo e Spinoccia Antonio, limitatamente ai delitti
rispettivamente ascritti ai capi B), F), G), M), Q) ed A3) in anni sette e mesi

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RITENUTO IN FATTO

otto di reclusione ed euro 2.500,00 di multa ciascuno;
infliggeva a Cassia Sebastiano, ritenuta la continuazione fra i reati di
cui ai capi A), F), G), H), M), Q), S), T), Z) ed A3) allo stesso ascritti ed i
reati di cui alle sentenze emesse dalla Corte d’Appello di Catania il
26/11/2009 irrevocabile il 5/11/2010 ed il 27/7/2011 irrevocabile il
19/12/2012, ritenuto più grave il reato di cui alla sentenza della Corte
d’Appello di Catania del 26/11/2009, a titolo di continuazione per i reati
oggetto del presente procedimento, la pena di anni cinque di reclusione ed

reclusione ed euro 5.700,00 di multa;
modificava da perpetua in temporanea per la durata di anni cinque la
pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici applicata nei confronti di
Bongiovanni Salvatore, Ferrara Roberto e Pianeta Francesco, revocando nei
confronti dei predetti la sanzione accessoria dell’interdizione legale e della
sospensione della potestà di genitori;
confermava nel resto la decisione impugnata con la quale, tra l’altro,
Di Paola Ernando era stato condannato alla pena di anni cinque e
mesi sei di reclusione per il reato allo stesso ascritto al capo A) – 416 bis
cod. pen.;
Procopio Giuseppe era stato condannato alla pena di anni cinque e
mesi quattro di reclusione per i reati allo stesso ascritti di cui ai capi B), T) e
Z), unificati sotto il vincolo della continuazione.

1.1. La Corte d’Appello di Catania respingeva le censure mosse dagli
imputati avverso la decisione di primo grado e segnatamente quelle proposte
da:
Bongiovanni Salvatore in punto di inutilizzabilità della dichiarazioni
rese dai testi di RG. per violazione dell’art. 191 cod. proc. pen. nella parte
relativa al contenuto narrativo di intercettazioni ambientali effettuate presso
l’abitazione del D’Urso e mai trascritte, di assoluzione dal reato di cui al capo
B), per non avere commesso il fatto, di esclusione dell’aggravante di cui
all’art. 7 legge n. 203 del 1991, accogliendole nei termini che precedono,
quanto al reato estinto per prescrizione;
Cassia Sebastiano in punto di nullità dell’ordinanza dichiarativa della
contumacia dell’imputato e quindi del giudizio di primo grado per essere
l’imputato legittimamente impedito alle udienze del 11/7/2003 ed
24/10/2003, di assoluzione dell’imputato dal reato allo stesso ascritto al

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euro 2.300,00 di multa, rideterminando la pena complessiva in anni sedici di

capo A) perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di acquisire
documentazione dell’Istituto Nazionale Dramma Antico (I.N.D.A.), dalla
quale risultava che già nell’anno 1988 l’Istituto affidava a Cassia Sebastiano i
servizi della posa dei cuscini, maschere ed altri servizi che prima erano stati
affidati al padre Cassia Francesco, di assoluzione dal reato di cui al capo A3),
perché il fatto non costituisce reato o di qualificazione del fatto nel reato di
cui ai agli art. 56 e 610 cod. pen., di esclusione dell’aggravante di cui all’art.

attenuanti generiche, accogliendole nei termini che precedono, quanto ai
reati estinti per prescrizione e quanto al riconoscimento del vincolo della
continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Catania
del 26/11/2009 irrevocabile il 5/11/2010;
Ferrara Roberto in punto di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale
per disporre l’audizione dei collaboratori di giustizia, di assoluzione
dell’imputato dal reato allo stesso ascritto al capo B) per non avere
commesso il fatto e di esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203
del 1991;
Di Paola Ernando in punto di assoluzione dell’imputato dal reato allo
stesso ascritto al capo A) per non avere commesso il fatto e di
rideterminazione della pena previa concessione delle attenuanti generiche ed
esclusione dell’aggravante contestata;
Midolo Michele in punto di assoluzione dai reati allo stesso ascritti ai
capi A), A5) per non avere commesso il fatto, di nullità della sentenza
impugnata per violazione del diritto di difesa per essere stata espletata
attività istruttoria nel periodo in cui la posizione dell’imputato era stata
stralciata e di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per sentire dei
testi, accogliendole nei termini che precedono, quanto al reato estinto per
prescrizione;
Pianeta Francesco in punto di assoluzione dai reati allo stesso ascritti
ai capi B), H), L), M), N) per non averli commessi o perché i fatti non
costituiscono reato, di esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203
del 1991 e di estinzione dei reati per prescrizione, di concessione delle
attenuanti generiche e rideterminazione della pena e di limitazione della
condanna al risarcimento dei danni ed al pagamento di una provvisionale
alla quota parte dei danni subiti dall’ente limitatamente all’anno 1996,
oggetto delle contestazioni a carico dell’imputato;

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7 legge n. 203 del 1991, di rideterminazione della pena e concessione delle

Procopio Giuseppe in punto di assoluzione dell’imputato dai reati allo
stesso ascritti ai capi T), Z) e B) per non avere commesso il fatto, di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per escutere i testi indicati in lista
ammessi ma non escussi nel giudizio di primo grado, di rideterminazione
della pena e revoca delle pene accessorie;
Spinoccia Antonio,

in punto di

rinnovazione dell’istruttoria

dibattimentale per disporre l’audizione dei collaboratori di giustizia già sentiti
in primo grado di alcuni testi, di assoluzione dell’imputato dal reato allo

dell’imputato dai reati allo stesso ascritti ai capi E), F), M), N), P), Q), A3),
di esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991,
accogliendole nei termini che precedono, quanto ai reati estinti per
prescrizione;
Spinoccia Gerardo in punto di assoluzione dai reati allo stesso ascritti
ai capi B), A3), E), F), G), M), N), Q), per non avere commesso il fatto, di
esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991, di
rideterminazione della pena nei minimi edittali e concessione delle attenuanti
generiche, accogliendole nei termini che precedono, quanto ai reati estinti
per prescrizione.

2. Avverso tale sentenza propongono separati ricorsi gli imputati,
sollevando i seguenti motivi di gravame:

2.1. Bongiovanni Salvatore, tramite il difensore deduce quanto segue.
2.1.1 Inosservanza od erronea applicazione della legge penale, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81
e 157 cod. pen. con riferimento ai reati di cui ai capi B), T) e Z). Quanto al
capo B), il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. era contestato senza alcun
riferimento all’aggravante dell’associazione armata di cui al comma 4 del
medesimo art. 416 bis cod. pen., per cui il termine di prescrizione era di
dieci anni aumentato della metà ed era decorso fin dal 7/4/2014. Precisa che
la modifica dell’imputazione con contestazione dell’aggravante di cui all’art.
416 bis comma 4 cod. pen. ha riguardato solo il reato di cui al capo A) e del
resto la stessa non poteva applicarsi agli estranei all’associazione quali sono
i concorrenti esterni. Quanto ai reati di cui ai capi T) e Z), eccepisce che
l’aggravante di cui all’art. 112 lett. a) cod. pen., non è stata mai valutata,
motivata ed indicata nella dosimetria dell’aumento di pena a titolo di

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stesso ascritto al capo B) per non avere commesso il fatto, di assoluzione

continuazione; di essa pertanto non può tenersi conto per il calcolo del
termine di prescrizione dei reati. L’aggravante in questione non era stata
neppure contestata per il capo U.
2.1.2. Violazione di legge nonché mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b)
ed e) cod. proc. pen., in relazione agli art. 110 e 416 bis cod. pen. e 7 d.l. n.
152 del 1991 con riferimento ai reati di cui ai capi B), T) e Z). Segnatamente
eccepisce l’insussistenza dei presupposti del concorso esterno in

nella sentenza impugnata, il ricorrente avrebbe avuto, quale unico referente
del clan malavitoso, Cassia Sebastiano, il quale però in quel periodo non
aveva riportato condanne per associazione mafiosa. Analogamente si duole
dell’insussistenza dei presupposti dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152
del 1991, aggravante peraltro contestata solo ad alcuni soggetti e non ad
altri.

2.2. Di Paola Ernando, tramite il difensore deduce quanto segue.
2.2.1. Violazione di legge nonché omessa e contraddittoria
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in
relazione all’art. 416 bis cod. pen. Fa rilevare che dalla lettura degli atti
processuali non è emerso che l’imputato si fosse adoperato per favorire
l’organizzazione malavitosa e non è emerso che si fosse avvalso di politici e
dell’I.N.D.A. per conseguire vantaggi a favore dell’organizzazione criminale e
ciò nonostante che lo stesso per lungo tempo fosse stato sottoposto ad
intercettazioni telefoniche ed ambientali oltre ad osservazioni visive da parte
degli inquirenti; evidenzia che anche i collaboratori di giustizia non hanno
riconosciuto l’imputato come un associato.
2.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 commi 2 e 3
cod. proc. pen. con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia. Segnatamente eccepisce l’estrema genericità delle
dichiarazioni e l’assoluta inesistenza di riscontri individualizzanti,
evidenziando come nessuno dei collaboratori abbia riferito circostanze
specifiche corroborate dai necessari riscontri individualizzanti. Quanto alla
posizione del collaboratore Garofalo, lamenta la mancata valutazione delle
contraddizioni interne ed esterne del narrato e l’assoluta assenza di riscontri;
evidenzia come il collaboratore, quando ha indicato i soggetti che ebbero

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associazione mafiosa. Rappresenta che, secondo la ricostruzione contenuta

rapporti con il presidente dell’I.N.D.A. non fece il nome del Di Paola;
evidenzia poi come le dichiarazioni rese dallo stesso si pongano in contrasto
con quanto riferito dal Trombatore, non essendo possibile un riscontro
reciproco di quanto riferito da entrambi i collaboratori. Rappresenta ancora
che Ricciardetto Massimiliano nulla aveva riferito in ordine al coinvolgimento
del Di Paola nella vicenda I.N.D.A., avendolo solo indicato come
fiancheggiatore, in quanto si accompagnava a soggetti di spicco del clan
Bottaro; che dalle dichiarazioni del Narzisi non era affatto emersa una

collaboratore descritto la condotta ipoteticamente posta in essere
dall’imputato; che le dichiarazioni del suddetto Narzisi erano risultate false
con riferimento alla circostanza che il Di Paola avesse, attraverso il clan,
imposto la fornitura di derrate alimentari a molti esercenti; che le
dichiarazioni di Dell’Arte Antonio non possono essere utilizzate come
riscontro a quanto riferito dagli altri collaboratori, in quanto trattasi per lo
più di notizie generiche, apprese de relato e le circostanze specifiche dallo
stesso riferite non hanno trovato riscontro in alcun atto processuale; che le
dichiarazioni di Cassia Concetto non possono considerarsi attendibili e non si
prestano ad essere utilizzate come riscontro alle altre delazioni; che anche le
dichiarazioni di Caruso Carmelo non possono essere utilizzate come riscontro
di quanto riferito dagli altri collaboratori, in quanto lo stesso ha dichiarato di
non avere fatto parte del gruppo Urso – Bottaro, di non sapere di
implicazioni del gruppo all’interno degli affari I.N.D.A. e di non sapere del
coinvolgimento del Di Paola; che le dichiarazioni rese dai testi di RG. non
sono risultate in concreto idonee a completare il quadro indiziario; che non è
stata considerata la dichiarazione di Corrado Basite. In definitiva rileva come
il narrato dei collaboratori fosse caratterizzato da estrema genericità, non
essendo possibile un reciproco riscontro di quanto dagli stessi riferito, attesa
anche l’assoluta assenza di riscontri individualizzanti.
2.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt.
416 bis comma 4 e 59 cod. pen. per essere stata ritenuta sussistente
l’aggravante dell’associazione armata, laddove da nessun elemento
processuale è emersa la consapevolezza o la conoscibilità da parte del
ricorrente della disponibilità di armi da parte dell’associazione.
2.2.4. Manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 62 bis
cod. pen. sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.

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partecipazione del Di Paola al clan Urso – Bottaro, non avendo il

2.3. Ferrara Roberto, tramite il difensore, deduce quanto segue.
2.3.1. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 letto. b)
cod. proc. pen., in relazione all’art. 157 cod. pen. Lamenta la mancanza di
qualsiasi elemento caratterizzante il reato di concorso esterno in
associazione mafiosa ed eccepisce che, per calcolare il termine di
prescrizione, erroneamente si è fatto riferimento al reato di cui al capo A)
ove era contestato l’art. 416 bis comma 4 cod. pen., mentre in relazione al
capo B) non era contestata alcuna aggravante, del resto non applicabile al

della disciplina previgente, è di anni quindici, termine già decorso,
considerando anche i periodi di sospensione, alla data della pronuncia della
sentenza impugnata.
2.3.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., con
riguardo alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per
sentire il teste Trombatore Antonino ed i collaboratori Ricciardetto
Massimiliano, Oddo Salvatore, Cassia Concetto e Dell’Arte Antonio in ordine
al ruolo svolto dal ricorrente nelle organizzazioni criminali di cui gli stessi
facevano parte. Quanto al collaboratore Oddo Salvatore evidenzia l’errore in
cui è incorsa la Corte territoriale nell’affermare che il suddetto abbia
contribuito a corroborare la tesi accusatoria, laddove lo stesso nel giudizio di
primo grado si è avvalso della facoltà di non rispondere.
2.3.3. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 81 e 157 cod. pen. con riguardo ai reati di
cui ai capi T) e Z). Lamenta che in relazione ai suddetti reati l’aggravante di
cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 non è stata mai valutata, motivata e
indicata nella dosimetria dell’aumento di pena a titolo di continuazione, come
anche lamenta l’assenza di una motivazione esplicita o implicita
sull’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 112 comma 1 lett. a) cod.
pen., eccependo che, escluse le aggravanti, i reati erano già prescritti
all’epoca della pronuncia della sentenza impugnata, tenendo conto dei
periodi di sospensione della prescrizione.
2.3.4. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 letto. e) cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen. per la mancata concessione delle
attenuanti generiche.

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concorrente esterno, per cui il termine massimo di prescrizione, sulla base

2.4. Midolo Michele, tramite il difensore, deduce quanto segue.
2.4.1. Violazione di legge nonché motivazione contraddittoria e logica,
ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli
artt. 192 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen. con riguardo alle specifiche
doglianze contenute nel primo motivo di appello. Rappresenta che con
riferimento alla permanenza ed alla continuazione del vincolo associativo nel
periodo compreso fra il 22/7/1996 ed il 31/12/1997 non è emerso nessun
elemento di prova in ordine alla partecipazione del ricorrente al sodalizio

riferimento a periodi diversi da quello sopra indicato e che sono totalmente
inesistenti i riscontri esterni. Quanto allo specifico ruolo di organizzatore
attribuito al ricorrente, lamenta la mancanza assoluta di ogni riferimento a
tale ruolo nel periodo di detenzione.
2.4.2. Violazione di legge nonché motivazione contraddittoria e logica,
ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli
artt. 416 bis, 32 e 29 cod. pen. con riguardo all’applicazione delle pene
accessorie per insussistenza dei presupposti di legge, lamentando la
mancanza di motivazione da parte della Corte territoriale nonostante la
doglianza avesse formato oggetto di uno specifico motivo di gravame.

2.5. Pianeta Francesco, tramite il difensore, deduce quanto segue.
2.5.1. Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., con
riferimento alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui agli artt.
110 416 bis cod. pen. Rileva che nella sentenza impugnata non è indicato
alcun elemento probatorio dal quale possa anche in astratto desumersi un
collegamento fra il Pianeta ed i soggetti legati all’associazione.
Segnatamente, quanto all’episodio relativo alla tentata estorsione ai danni
del Messina, riferito a pag. 76 della sentenza, è carente l’indicazione di un
qualsiasi elemento dal quale evincere un coinvolgimento diretto del Pianeta,
se non un mero rinvio all’uso di presunto documenti alterati o contraffatti,
privo di qualsiasi riscontro processuale e che non vale ad integrare il
contributo causale ed il dolo del concorrente; quanto al riferimento alle
perquisizioni effettuate in data 30/3/1999, di cui si dà atto a pag. 78 della
sentenza, dalle quali è emerso esclusivamente che la Universal Service
s.a.s. fu aggiudicataria di vari appalti, dalle stesse non emerge che il Pianeta
abbia concorso nel reato associativo; quanto al riferimento alle dichiarazioni

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criminoso, evidenziandosi che le dichiarazioni dei collaboratori hanno fatto

di Corso Salvatore ed ai presunti collegamenti del Pianeta con Cassia
Sebastiano, di cui si dà atto a pag. 87 della sentenza, rappresenta che Corso
non ha mai subito un’estorsione collegata ad un appalto cui ebbe a
partecipare la Universal service s.a.s. di Pianeta Francesco ed evidenzia che
sul punto la sentenza di primo grado aveva dato atto che il Corso nella sua
deposizione si era riferito ad altra gara, non avendo mai presentato alcuna
domanda per il servizio maschere cui era interessata la Universal Service
s.a.s.; eccepisce in proposito la contraddittorietà della motivazione, in

oggetto del capo A3) un significato ed un valore diverso rispetto a quanto
emerso nel corso del dibattimento di primo grado. Quanto poi al riferimento
agli intrecci economico bancari di cui a pag. 87 della sentenza, rappresenta
che gli accertamenti bancari non indicano alcun movimento bancario o
contabile fra il Pianeta o la Universal Service ed i soggetti legati
all’organizzazione. Rappresenta ancora che nella sentenza impugnata non
sono stati indicati quali comportamenti concreti avrebbe posto in essere il
ricorrente attraverso i quali avrebbe agevolato il sodalizio criminale, né sono
stati indicati gli elementi dai quali potrebbe desumersi un atteggiamento
psicologico del Pianeta diretto a concludere un patto stabile con
l’organizzazione criminale ovvero la volontà della stessa di includere il
Pianeta nella propria struttura.
2.5.2.

manifesta illogicità della

Mancanza, contraddittorietà,

motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., con
riferimento alla dichiarazione di responsabilità dell’imputato per i reati di cui
ai capi H) ed M), per l’insussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui
agli artt. 110, 353 e 479 cod. pen. Rileva che nella sentenza impugnata non
è stata accertata la cooperazione materiale ovvero la determinazione o
istigazione alla commissione dei singoli reati che sarebbe stata offerta dal
Pianeta in qualità di concorrente

extraneus;

viene omesso qualsiasi

riferimento a quel quid pluris richiesto dalla giurisprudenza che avrebbe in
concreto rafforzato ed agevolato il proposito criminoso degli intranei.
2.5.3. Omessa motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 letto. e)
cod. proc. pen., con riferimento alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art.
7 legge n. 203 del 1991, mancando nella sentenza qualsiasi motivazione
circa la coscienza e volontà del Pianeta di agevolare l’associazione mafiosa.
2.5.4. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 63, 157 e 160 cod. pen. così come formulati

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quanto la Corte territoriale ha attribuito alle dichiarazioni del Corso ed ai fatti

prima della legge n. 251 del 2005. Quanto al reato dei cui al capo B),
eccepisce che, per calcolare il termine di prescrizione, erroneamente si è
fatto riferimento al reato di cui al capo A) ove era contestato l’art. 416 bis
comma 4 cod. pen., mentre in relazione al capo B) non era contestata alcuna
aggravante, per cui il termine massimo di prescrizione, sulla base della
disciplina previgente, è di anni quindici, termine già decorso, considerando
anche i periodi di sospensione, alla data della pronuncia della sentenza
impugnata. Quanto al reato di cui all’art. 353 cod. pen. contestato ai capi H)

determinare la pena ai fini del calcolo del termine massimo di prescrizione,
rilevando che, all’esito di una corretta applicazione dell’art. 63 comma 3 cod.
pen., il termine massimo di prescrizione va calcolato in anni quindici,
interamente decorso alla data della pronuncia della sentenza impugnata.
2.5.5. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 letto. c) cod. proc. pen., in relazione agli artt.
178, 179 e 601 cod. proc. pen. Eccepisce, al riguardo, l’omessa notifica
presso il domicilio eletto del decreto di citazione per il giudizio di appello,
notifica tentata presso un indirizzo ove l’imputato non viveva da anni e
presso il quale non aveva mai ricevuto le notifiche relative a questo
processo, rappresentando altresì che l’imputato sin dalle indagini preliminari
aveva eletto domicilio presso lo studio del proprio difensore.

2.6. Procopio Giuseppe, tramite il difensore, deduce quanto segue.
2.6.1. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione ai reati contestati ai capi B), T) e Z). Quanto al reato
di concorso esterno in associazione mafiosa di cui al capo B), evidenzia come
dagli atti processuali non sia emerso che fra il Cassia ed il Procopio,
quest’ultimo definito socio del primo, vi fosse un rapporto di natura criminale
cioè diretto alla realizzazione di reati finalizzati a favorire l’associazione di
stampo mafioso Urso – Bottaro. Quanto ai reati di cui ai capi T) e Z),
rappresenta che, secondo quanto emerso nel processo, le ditte da invitare
per le trattative per l’aggiudicazione degli appalti erano indicate
esclusivamente da Cassia Sebastiano con la connivenza dei vertici
dell’I.N.D.A. preposti a tale attività. Contesta che la responsabilità
dell’imputato per i reati ascrittigli sia stata fatta derivare da una missiva
dell’istituto I.N.D.A. spedita al Procopio e, secondo costui, mai ricevuta,
perché la firma di accettazione non è autentica, con la quale si invitava detto

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ed M) eccepisce l’erroneità del calcolo effettuato dalla Corte territoriale per

soggetto alla partecipazione all’asta, mentre in realtà nessuna richiesta di
partecipazione è stata fatta dal Procopio stesso. Rileva inoltre che non è
stato dimostrato che il Procopio fosse a conoscenza di eventuali legami fra il
Cassia e l’associazione mafiosa e quindi, al più, il suo comportamento si
risolverebbe in un favoreggiamento personale nei confronti di un soggetto
che conosceva, in quanto entrambi erano soci della Nottola e del circolo
ricreativo Ortigia. Rappresenta che nessun vantaggio economico è stato
accertato a favore di Procopio Giuseppe, definito superficialmente socio

dalle altre ditte partecipanti.
2.6.2. Vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e)
cod. proc. pen. con riferimento alla contraddittorietà del dispositivo della
sentenza d’appello, nel senso che, da un lato, in riforma della sentenza di
primo grado, è stata rideterminata la pena nei confronti degli imputati
Bongiovanni Salvatore e Ferrara Roberto, coimputati del Procopio e chiamati
a rispondere degli stessi reati di cui ai capi B), T) e Z) ascritti a quest’ultimo
e da un altro lato è stata confermata, relativamente al Procopio, la decisione
di primo grado. Si duole che non sia stata differenziata la posizione del
ricorrente rispetto a quella dei coimputati Bongiovanni Salvatore e Ferrara
Roberto, ritenendosi anzi più grave la posizione del primo rispetto a quella
dei secondi. Contesta, quindi la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7
legge n. 203 del 1991 in relazione ai reati di cui ai capi T) e Z), i quali,
esclusa l’aggravante, sarebbero prescritti.
2.6.3. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione all’art. 157 cod. pen. Quanto al reato dei cui al capo
B), eccepisce che, per calcolare il termine di prescrizione, erroneamente si è
fatto riferimento al reato di cui al capo A) ove era contestato l’art. 416 bis
comma 4 cod. pen., mentre in relazione al capo B) non era contestata alcuna
aggravante, per cui il termine di prescrizione, sulla base della disciplina
previgente, è di anni quindici, termine già decorso, considerando anche i
periodi di sospensione, alla data della pronuncia della sentenza impugnata.
2.6.4. Mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. d) cod. proc. pen., con riferimento alla mancata rinnovazione
del dibattimento per procedere all’audizione dei testi a discolpa indicati ed
ammessi e poi di fatto non esaminati prima della chiusura del dibattimento,
evidenziandosi che non vi era stata nessuna rinunzia all’esame dei testi
ammessi, né un’ordinanza di revoca della loro ammissione.

12

occulto di Cassia, pur non avendo percepito alcuna somma da quest’ultimo o

2.7. Spinoccia Antonio, tramite il difensore, deduce quanto segue.
2.7.1. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., in
relazione all’art. 603 comma 1 cod. proc. pen. per non avere la Corte
territoriale motivato in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale per sentire i testi Trombatore Antonino, considerato reticente,
Messina Sebastiano, Foresta Santo e Paguni Antonio, quest’ultimo di cui la
Corte da atto che è stato sentito, mentre ciò non risulta dagli atti, nonché

Salvatore, Cassia Concetto e Dell’Arte Antonio, onde chiarire il ruolo svolto
dall’imputato nell’interesse delle organizzazioni criminali di cui gli stessi
facevano parte; evidenzia l’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello
nell’affermare che il collaboratore di giustizia Oddo Salvatore avesse
contribuito a corroborare la tesi accusatoria, mentre invece le stesso si era
avvalso della facoltà di non rispondere. Evidenzia, quindi, che il ricorrente
era stato socio della cooperativa Nuovo Teatro solo sino al 29/4/1996, data
in cui si era dimissionato per poi essere riammesso il 7/7/1997.
2.7.2. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione all’art. 157 cod. pen. con riferimento al capo B)
dell’imputazione. Rileva che nella sentenza impugnata non è indicato il
contributo concreto che l’imputato abbia dato al clan malavitoso; eccepisce
l’intervenuta prescrizione del reato fin dal 31/12/2013, in quanto in relazione
al reato di cui al capo B) non è stata contestata l’aggravante di cui all’art.
416 bis comma 4 cod. pen. e pertanto il reato secondo la disciplina
previgente alla novella si prescrive in quindici anni.
2.7.3. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 157 e 81 cod. pen. per i reati di cui ai capi
F), G), M), Q) ed A3). Eccepisce la mancanza di motivazione in ordine alla
ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 nonché in
ordine all’aggravante di cui all’art. 112 comma 1 lett. a) cod. pen., per cui, in
mancanza delle suddette aggravanti, i reati sono prescritti già dal 7/4/2014.
2.7.4. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., in
relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
2.7.5. Vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e)
cod. proc. pen., in relazione agli art. 110, 81, 56 629 commi 1 e 2 e 7 legge
n. 203 del 1991 nonché in relazione all’art. 393 cod. pen. con riferimento

13

per sentire i collaboratori di giustizia Ricciardetto Massimiliano, Oddo

alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A3); evidenzia al riguardo
che la condotta dell’imputato era volta soltanto ad ottenere il pagamento di
prestazioni già effettuate

2.8. Spinoccia Gerardo, tramite il difensore, deduce quanto segue.
2.8.1. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione all’art. 416 bis cod. pen. Evidenzia al riguardo che
dagli atti processuale si evince soltanto che il ricorrente agiva nell’interesse

incensurato e che non si conoscevano eventuali legami dello stesso con
l’associazione mafiosa Urso – Bottaro.
2.8.2. Vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e)
cod. proc. pen., in relazione all’art. 416 bis cod. pen. Eccepisce la mancanza
di motivazione circa la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del
reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. Si duole, altresì, della mancanza di
motivazione con riguardo al diniego delle attenuanti generiche.
2.8.3. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione all’art. 157 cod. pen. Eccepisce la prescrizione del
reato di cui al capo B), in quanto l’aggravante dell’associazione armata non è
stata contestata in relazione alla suddetta imputazione, ma solo in relazione
al reato di cui al capo A).
2.8.4. Violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen., in relazione all’art. 629 cod. pen. Evidenzia che dagli atti
processuali era emerso che si trattava della richiesta del pagamento della
somma di circa dieci milioni per l’avanzamento dei lavori espletati dalla
Cooperativa Nuovo Teatro e che il fatto doveva essere inquadrato nel reato
di violenza privata o di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
2.8.5 Violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di
prescrizione dei altri reati di cui ai capi F), G), M), Q) ed A3), esclusa
l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/1991.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Pianeta
Francesco è manifestamente infondato.
Il decreto di citazione per il giudizio di appello, contenente anche
l’avviso al difensore, è stato notificato al difensore di fiducia domiciliatario

14

della propria cooperativa Nuovo Teatro, di cui era socio anche Cassia, allora

Avv. Marco Maria Monaco presso lo studio in Roma via della Conciliazione n.
44 in data 18.4.2013 per l’udienza del 29.5.2013.
Questa Corte ha infatti chiarito che non è nulla, ma meramente
irrituale, la notificazione (nella specie, a mezzo fax) avvenuta mediante
consegna al difensore di fiducia domiciliatario di un’unica copia dell’atto da
notificare, con l’espressa indicazione in esso dei destinatari specificamente
individuati nell’imputato e nel difensore. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 38058

2.

Il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Procopio

Giuseppe è generico.
In tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata
rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri
l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione
impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo
provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero
state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla
riassunzione di determinate prove in appello. (Cass. Sez. 6, Sentenza n.
1256 del 28/11/2013 dep. 14/01/2014 Rv. 258236).
Nel caso in esame nessuna indicazione circa la decisività delle prove
di cui si lamenta la mancata assunzione in primo grado e poi in appello è
svolta nel motivo di ricorso.
Inoltre nel caso in esame si applica l’art. 190 bis comma 1 cod. proc.
pen.

3.

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Ferrara

Roberto ed il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Spinoccia
Antonio sono infondati.
Nella sentenza impugnata è contenuta una esaustiva motivazione in
ordine al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale avanzata dall’imputato Spinoccia Antonio e finalizzata
all’audizione dei collaboratori di giustizia Ricciardetto Massimiliano, Oddo
Salvatore, Cassia Concetto, Dell’Arte Antonino e Trombatore Antonino,
avendo la Corte territoriale adeguatamente argomentato in ordine
all’ultroneità e non rilevanza ai fini della decisione del richiesto supplemento
istruttorio nel giudizio di appello; segnatamente si è fatto riferimento, con
motivazione in fatto che non presente profili di contraddittorietà o di illogicità

15

del 18/07/2014 dep. 17/09/2014 Rv. 260853).

manifesta, al fatto che i predetti collaboratori hanno “… ampiamente chiarito
le attività illecite poste in essere dalle due organizzazioni criminali operanti
nel territorio di Siracusa, le modalità di spartizione del territorio tra le stesse
e delle attività estorsive nell’ambito dello stesso ed in particolare quella nei
confronti dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico”. Con riferimento a
Trombatore Antonino i giudici di appello hanno rilevato come lo stesso fosse
stato sentito più volte in dibattimento e come dalla valutazione delle sue
dichiarazioni, sia pure in presenza di un atteggiamento talvolta reticente, sia

confronti dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico e la ripartizione della
tangente tra i due gruppi criminali operanti nel territorio di Siracusa.
Quanto a Paguni Antonio, nella sentenza impugnata viene dato atto
della completezza ed esaustività delle risultanze processuali, ritenendosi non
necessaria né assolutamente indispensabile per la decisione l’ulteriore
audizione, unitamente agli altri, del teste Paguni Antonio; la circostanza
affermata nel ricorso che lo stesso non sia stato effettivamente sentito
risulta solo genericamente affermata e non adeguatamente documentata dal
ricorrente come sarebbe stato suo onere in forza del principio di
autosufficienza del ricorso (p. 39 sentenza impugnata). In ogni caso si tratta
di apporto probatorio marginale che non incide sulla tenuta logica della
motivazione.
Quanto al denunciato errore in cui è incorsa la Corte territoriale
nell’affermare che il collaboratore di giustizia Oddo Salvatore avesse
contribuito a corroborare la tesi accusatoria, mentre in realtà lo stesso si è
avvalso della facoltà di non rispondere, effettivamente, nella sentenza
impugnata, si dà atto (pag. 38), delle dichiarazioni rese in dibattimento, tra
gli altri, dal suddetto Oddo, mentre lo stesso (all’udienza del 26.10.2009) si
era avvalso della facoltà di non rispondere.
Tuttavia il menzionato errore non inficia la tenuta complessiva della
motivazione, sulla base delle dichiarazioni degli altri collaboratori, sia perché
il richiamo alle dichiarazioni di Oddo Salvatore è generico, sia alla luce della
sentenza di primo grado che aveva correttamente dato atto della scelta di
non rispondere di Oddo Salvatore (p. 97 e 98 sentenza di primo grado).
Rileva il Collegio che nel giudizio d’appello la rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1 cod. proc.
pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine
dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter

16

stato possibile chiarire le modalità di perpetrazione dell’estorsione nei

decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria e tale
accertamento comporta una valutazione rimessa al giudice di merito che, se
correttamente motivata come nel caso in esame, è insindacabile in sede di
legittimità (Cass. sez. 4 n. 18660 del 19/2/2004, Montanari, Rv. 228353;
sez. 3 n. 35372 del 23/5/2007, Panozzo, Rv. 237410; sez. 3 n. 8382 del
22/1/2008, Finazzo, Rv. 239341). Ed infatti la Corte territoriale ha dato
ampia e articolata giustificazione in ordine alla decisione di non accogliere la
richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

sua nuova audizione si appalesava inutile.

4. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti
nell’interesse di Di Paola Ernando ed il primo motivo di ricorso proposto
nell’interesse di Midolo Michele sono infondati e svolgono censure di merito.
La Corte territoriale ha argomentato che l’esistenza dell’associazione
di cui al capo A è stata accertata con numerose sentenze irrevocabili
richiamate e ne ha delineato gli elementi costitutivi (p. da 40 a 45 sentenza
impugnata).
Per quanto riguarda la posizione di Di Paola Ernando ha richiamato le
dichiarazioni di Garofalo Roberto, Ricciardetto Massimiliano, Dell’Arte
Antonio, Cassia Concetto e Narzisi Luigi; lo ha qualificato come affiliato
esterno indicandone le attività anche quale canale di Trombatore Antonino,
disattendendo le doglianze della difesa (p. da 45 a 52 sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha poi ulteriormente sviluppato tali argomenti
trattando delle doglianze svolte con i motivi di appello (p. da 99 a 112
sentenza impugnata).
Non è decisiva la doglianza relativa alla non utilizzabilità delle
dichiarazioni di Caruso Carmelo quale riscontro, giacché la convergenza di
altri elementi rende le stesse superflue.
Quanto all’aggravante dell’essere l’associazione armata la Corte di
merito ha ritenuto la piena consapevolezza in capo ai partecipi (e quindi
anche a Di Paola, stante la sua presenza alla c.d. strage di S. Marco) della
disponibilità di armi.
A fronte di tali argomentazioni i motivi di ricorso proposti
nell’interesse del Di Paola si limitano a rilevare che dalla lettura degli atti
processuali non è emerso che l’imputato si fosse adoperato per favorire
l’organizzazione malavitosa e non è emerso che si fosse avvalso di politici e

17

Peraltro, a fronte della scelta di non rispondere di Oddo Salvatore la

dell’I.N.D.A. per conseguire vantaggi a favore dell’organizzazione criminale e
ciò nonostante che lo stesso per lungo tempo fosse stato sottoposto ad
intercettazioni telefoniche ed ambientali oltre ad osservazioni visive da parte
degli inquirenti; evidenzia che anche i collaboratori di giustizia non hanno
riconosciuto l’imputato come un associato. Si contesta che le dichiarazioni
dei collaboratori non sarebbero specifiche e che mancherebbero i riscontri.
Ancora si assume che la consapevolezza dell’essere l’associazione armata
non emergerebbe da alcun atto.

questa sede, che propongono una lettura alternativa delle risultanze e che
neppure tengono conto della convergenza del molteplice sul mero assunto
della asserita genericità delle dichiarazioni e del riferimento alla sua
presenza alla c.d. strage di S. Marco con conseguente piena consapevolezza
della disponibilità di armi.
In ordine alla posizione di Midolo Michele la Corte territoriale ha
motivato sulla sua qualità di referente per tutti gli associati richiamando le
dichiarazioni di Narzisi Luigi, Ricciardetto Massimiliano, Garofalo Roberto,
Dell’Arte Antonio ed i riscontri derivanti dalle assunzioni effettuate e nelle
intercettazioni (p. da 52 a 61 sentenza impugnata).
La Corte di merito ha poi esaminato e disatteso i motivi di appello (p.
da 113 a 121 sentenza impugnata).
Nel primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Midolo si
prospettano solo doglianze circa il periodo 22/7/1996 – 31/12/1997,
trascurando l’intero arco temporale esaminato dai giudici di merito e la
natura permanente del reato di associazione di tipo mafioso.

5. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Bongiovanni
Salvatore, il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Ferrara
Roberto, il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti
nell’interesse di Pianeta Francesco, il primo ed il secondo motivo di ricorso
proposti nell’interesse di Procopio Giuseppe, il secondo ed il terzo motivo di
ricorso proposti nell’interesse di Spinoccia Antonio, il primo ed il secondo
motivo di ricorso proposti nell’interesse di Spinoccia Gerardo sono infondati e
svolgono in parte censure di merito.
Nella sentenza impugnata, richiamando la prima pronunzia, è stata
svolta una premessa sulla fattispecie del concorso esterno in associazione
mafiosa, quale delineatasi all’esito delle note sentenze di questa Corte di

18

Si tratta all’evidenza di una censura di merito non consentita in

legittimità, alla quale segue una analisi in ordine alla condotta concorsuale
accertata a carico dei soggetti chiamati a rispondere del reato di cui al capo
B), fra i quali, in particolare, i ricorrenti sopra indicati.
Segnatamente si è fatto riferimento al contributo stabile e protratto
nel tempo che è stato recato dai suddetti soggetti al perseguimento delle
finalità del clan mafioso Urso – Bottaro ed in particolare “… della finalità di
acquisire in modo diretto ed indiretto la gestione ed il controllo di attività
economiche, di appalti e servizi pubblici e di conseguire profitti e vantaggi

legate … a Cassia Sebastiano, pienamente inserito in detto sodalizio, alle
gare indette” dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico (p. 71 sentenza
impugnata).
La Corte territoriale ha poi dato conto degli elementi di fatto sui quali
ha basato tale giudizio, richiamando gli accertamenti di polizia giudiziaria e
le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché il contenuto delle
intercettazioni (p. da 72 a 91 sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha motivato, sulla scorta delle richiamate
risultanze di fatto e con riferimento alla giurisprudenza di legittimità, anche
la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 legge n.
203/1991 (p. 92 – 93 sentenza impugnata).
La Corte di merito ha poi ampiamente esaminato le doglianze svolte
nei motivi di appello sia trattando della posizione di Cassia (p. 126 – 248
sentenza impugnata), sia esaminando le posizioni degli imputati ricorrenti
(p. 249 – 359 sentenza impugnata).
In particolare per Bongiovanni Salvatore, Ferrara Roberto e Procopio
Giuseppe la Corte territoriale ha richiamato quanto esposto in generale sul
concorso esterno nell’associazione (p. 309 sentenza impugnata), così come
per Planeta (p. 355 e ss sentenza impugnata) e per Spinoccia Antonio e
Spinoccia Gerardo (p. 249 sentenza impugnata).
La Corte territoriale ha evidenziato come le condotte poste in essere
dall’imputato Spinoccia Antonio erano state finalizzate all’agevolazione
dell’associazione di stampo mafioso Urso – Bottaro, richiamandosi, al
riguardo, le risultanze istruttorie costituite dalle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia Ricciardetto, Garofalo, Narzisi e Trombatore ed i
riscontri acquisiti in ordine alla riconosciuta attendibilità di quanto dagli
stessi riferito. Ed inoltre si è anche diffusamente soffermata sul profilo
relativo alla consapevolezza da parte dell’imputato di agevolare la predetta

19

\,

ingiusti mediante la partecipazione, con ditte individuali o societarie, tutte

associazione mafiosa, evidenziando come fosse risultato evidente che, non
solo il Cassia, ma tutti coloro che partecipavano alle gare truccate fossero a
conoscenza che il meccanismo era posto in essere per agevolare il clan
mafioso, al quale andavano una parte dei proventi: segnatamente ciò
avveniva attraverso la partecipazione diretta del Cassia o la cessione allo
stesso del 51% dei guadagni, con successiva devoluzione delle somme alle
famiglie dei detenuti.
Il riferimento alla commissione dei suddetti reati da parte di più di

evidenziato nell’ambito della sentenza impugnata con riferimento alle diverse
condotte poste in essere dai vari coimputati esclude la denunciata mancanza
di motivazione in ordine alla ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 112 cod.
pen.
Quanto poi ai capi T e Z la sentenza impugnata ha argomentato che
la trattativa era solo simulata, che sussistevano i falsi nel verbale di
aggiudicazione della gara (p. 311 e ss.), nonché sulla sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203/1991 (p. 329 e ss; p. 355 e ss).
In tale motivazione non vi è alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
A fronte delle richiamate argomentazioni della Corte territoriale le
doglianze svolte nei motivi di ricorso sono in larga parte reiterative dei
motivi di appello (o si limitano a criticare la parte della sentenza che
richiama quella di primo grado) e svolgono comunque censure di merito
proponendo una diversa ricostruzione dei fatti,.
Quanto all’eccepita estinzione del reato di cui al capo B) per
intervenuta prescrizione, dalla lettura del capo B) dell’imputazione emerge
che il reato contestato è quello di cui agli artt. 110 416 bis cod. pen. per
avere consapevolmente fornito, mediante l’attività illecita di cui ai capi
successivi, un contributo stabile e protratto nel tempo al perseguimento
della finalità dell’associazione di stampo mafioso denominata Urso – Bottaro
ed in particolare della finalità di acquisire in modo diretto ed indiretto la
gestione ed il controllo di attività economiche, di appalti e di servizi pubblici
e di conseguire profitti e vantaggi ingiusti, reato commesso in Siracusa dal
1996 fino al 1998.
Il riferimento è quindi all’associazione di cui al capo A), compresa
l’aggravante dell’essere l’associazione armata, contestata in tale capo.
Quanto alla conoscibilità della circostanza aggravante in capo anche

20

cinque persone in concorso tra loro, come contestato nell’imputazione ed

ai concorrenti esterni, la stessa è implicitamente affermata nella motivazione
relativa al capo A laddove si fa riferimento ad un episodio eclatante come la
c.d. strage di S. Marco (p. 62 sentenza impugnata, p. 76 – 77 sentenza di
primo grado).
L’aggravante pertanto è stata correttamente ritenuta a carico dei
ricorrenti in quanto in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, la
circostanza aggravante di cui all’art. 416

bis, comma sesto, cod. pen.,

concernente l’illecito finanziamento di attività economiche, ha natura

ne consegue che essa è valutabile, anche in difetto di formale contestazione,
a carico di tutti i componenti del sodalizio mafioso, ed anche al concorrente
esterno consapevole dei fatti oggetto della predetta aggravante o che per
colpa li ignori. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 52094 del 30/09/2014 dep.
15/12/2014 Rv. 261334).
Non vi sono ragioni per assumere una diversa valutazione rispetto
all’aggravante dell’essere l’associazione armata.

5.1. In sede di discussione è stata prospettata, anche richiamando la
sentenza Contrada della Corte EDU, la non configurabilità del concorso
esterno in associazione di tipo mafioso all’epoca dei fatti contestati, con la
conseguente necessità di motivare in ordine all’elemento psicologico., o – in
subordine – eccepita la illegittimità costituzionale degli art. 110 – 416 bis
cod. pen. per violazione dell’art. 25 comma 2 e 117 Cost. sull’assunto che
tale reato sarebbe di creazione giurisprudenziale.
Questa Sezione ha affrontato dettagliatamente e risolto la questione
proposta con la sentenza n. 34147 del 30.4.2015 (dep. il 4.8.2015,
Presidente Esposito A. Rei. Beltrani S.) di cui si riporta la trattazione
dell’argomento:

“8. Le difese degli imputati CHIRIACO (che si è anche riportata alle note
depositate all’udienza 21 aprile 2015) e PEREGO hanno sollevato questione
di legittimità costituzionale degli artt. 110 e 416-bis c.p. (nella parte in cui,
secondo l’interpretazione giurisprudenziale in atto dominante, incriminano il
c.d. “concorso esterno” in associazioni di tipo mafioso), per asserito
contrasto con l’art., 25, comma 2, della Costituzione e con gli artt. 117 della
Costituzione e 7 della Convenzione EDU, per violazione del principio di
legalità.

21

\1/4

oggettiva ed è, pertanto, riferibile all’attività dell’associazione in quanto tale;

A fondamento dell’incidente di costituzionalità è stato essenzialmente
posto il rilievo che la Corte EDU, nella sentenza del 14 aprile 2015, Contrada
c. Italia, avrebbe affermato che il citato “concorso esterno” nei reati
associativi costituirebbe istituto di creazione giurisprudenziale.

8.1. Nel § 66 della predetta sentenza, la Corte EDU ha premesso che
«non è oggetto di contestazione tra le parti il fatto che il concorso esterno
in associazione di tipo mafioso costituisca un reato di origine

Tanto bastava alla Corte di Strasburgo, in applicazione del suo
regolamento esecutivo (che non accoglie il principio jura novit curia, ma
rimette al principio dispositivo la ricostruzione del quadro normativo e dei
relativi orientamenti giurisprudenziali di volta in volta rilevanti) ai fini della
ricostruzione del “diritto interno”, costituente base dalla quale partire per le
ulteriori determinazioni inerenti al caso specificamente esaminato.

8.1.1. Tuttavia il predetto consenso della parti, pur vincolante per la
Corte EDU ai fini della decisione cui essa era chiamata, tale non è in questa
sede, nella quale deve necessariamente rilevarsi che la relativa affermazione
– se recepita nella sua assolutezza – è, in realtà, giuridicamente inesatta.

8.1.2.

Sotto il profilo tecnico-giuridico, la punibilità del concorso

eventuale di persone nel reato nasce, nel rispetto del principio di legalità,
sancito dall’art. 1 c.p. e dall’art. 25, comma 2, della Costituzione, dalla
combinazione tra le singole norme penali incriminatrici speciali che tipizzano
reati monosoggettivi, e l’art. 110 c.p., principio generale del concorso di
persone applicabile a qualsiasi tipo di reato.
Nel vigente ordinamento, il concorso di persone nel reato è concepito
come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutte le condotte poste
in essere dai concorrenti: proprio in virtù di detta unitarietà strutturale,
l’evento del reato concorsuale deve essere considerato come effetto della
condotta combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che hanno posto in
essere atti privi dei requisiti di tipicità.
In virtù dell’art. 110 c.p. (che ha, dunque, una funzione estensiva
dell’ordinamento penale, portato a coprire fatti altrimenti non punibili, ove
ciascun concorrente abbia posto in essere non l’intera condotta tipica, ma
soltanto una frazione “atipica” di essa), possono, pertanto, assumere

22

giurisprudenziale».

rilevanza penale tutte le condotte, anche se atipiche (ovvero singolarmente
non integranti quella tipizzata dalla norma penale incriminatrice), poste in
essere da soggetti diversi, che, se valutate complessivamente, siano
risultate conformi alla condotta tipica descritta dalla norma incriminatrice, ed
abbiano contribuito causalmente alla produzione dell’evento lesivo da essa
menzionato.

8.1.3. Come per ogni altra ipotesi di reato concorsuale, quindi, anche il

per il solo reato di cui all’art. 416-bis c.p.) trova la sua giustificazione
normativa nella combinazione tra la norma penale incriminatrice (nella
specie, l’art. 416-bis c.p.) e la disposizione generale di cui all’art. 110 c.p.,
ed è caratterizzato dalle diverse modalità concrete in cui la fattispecie è
suscettibile di manifestarsi.
8.1.3.1.

D’altro canto, la stessa Corte costituzionale (sentenza 25

febbraio – 26 marzo 2015, n. 48) ha recentissimamente ribadito che il
“concorso esterno” non è, come postulato dalla Corte EDU nella citata
sentenza Contrada, un reato di creazione giurisprudenziale, ma scaturisce
«dalla combinazione tra la norma incriminatrice di cui all’art. 416-bis cod.
pen. e la disposizione generale in tema di concorso eventuale nel reato di cui
all’art. 110 cod. pen.».
8.1.4.

In realtà, con riguardo alla configurabilità o meno del c.d.

“concorso esterno” (od eventuale, ex art. 110 c.p.) nei delitti associativi, e
quindi, per quanto in questa sede più immediatamente rileva,
nell’associazione per delinquere di tipo mafioso, il problema tradizionalmente
discusso riguardava piuttosto la mera compatibilità dell’estensione

ex art.

110 c.p. con le singole norme incriminatrici di volta in volta in questione
(questo, e non altro, il contrasto devoluto per la prima volta all’esame delle
Sezioni Unite, e risolto dalla sentenza n. 16 del 5 ottobre 1994, Demitry,
CED Cass. n. 199386 ss.:

«La sezione feriale, investita della questione,

rilevata l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza, anche recentissima,
di questa suprema corte sulla compatibilità del concorso eventuale con il
reato associativo, con ordinanza in data 30 agosto 1994 rimetteva il ricorso
alle sezioni unite»).

23

c.d. “concorso esterno” nei reati associativi (il problema non si pone, infatti,

Soltanto in riferimento a tale problema – ferma la matrice
esclusivamente ed inequivocabilmente normativa dell’incriminazione, ove
ritenuta, in difetto di ragioni di incompatibilità, ammissibile – è stato,
pertanto, attribuito rilievo all’esegesi giurisprudenziale.

8.1.4.1. La dottrina.

La dottrina ha tradizionalmente evidenziato

l’insussistenza di astratti ostacoli di tipo dogmatico alla configurabilità del
concorso eventuale nelle fattispecie plurisoggettive necessarie, pur

plurisoggettivo sia compatibile, in concreto, con il concorso eventuale.

Il problema riguardava, in particolare, il solo concorso materiale, poiché
non si era mai dubitato della configurabilità di quello morale.

L’orientamento che ha negato la configurabilità del concorso esterno non
afferma tout court la liceità penale delle condotte ad esso generalmente
riconducibili, ma ritiene che queste ultime siano in ampia parte già
qualificabili come vere e proprie condotte di partecipazione all’associazione.
Si è, infatti, inizialmente sostenuto, che «potranno essere punibili come
associati anche soggetti «esterni» all’associazione criminosa, purché
autori di comportamenti che obiettivamente l’avvantaggiano e purché sia
presente il relativo elemento soggettivo di partecipazione>>;

la stessa

autorevole dottrina ha, solo in seguito, auspicato, per evitare eccessi di
discrezionalità giurisprudenziale,

«un intervento legislativo diretto a

precisare, mediante la configurazione di una o più fattispecie incriminatrici di
parte speciale, le forme di contiguità davvero intollerabili, e perciò meritevoli
di repressione penale».
Altra autorevole dottrina, premesso che la condotta di «partecipazione
all’associazione» richiede:
(a) la permanente messa a disposizione del proprio apporto e …
(h) … l’accettazione da parte dell’associazione, che non richiede forme
espresse o addirittura rituali, ma può aver luogo anche

per facta

concludentia,
ha evidenziato che,

«così intesa la partecipazione all’associazione,

appare chiaro che residua uno spazio per la valutazione di comportamenti
che, per il loro carattere episodico, oppure perché provenienti da parte di
soggetti non inseriti nell’associazione, non possono essere ricondotti al

24

\

ammettendo la necessità di valutare se la struttura del singolo reato

paradigma della partecipazione interna, ma che pure presentano un rilevante
significato per la vita dell’associazione».

Nel medesimo senso, con ineccepibile applicazione dei principi generali
comunemente accolti (ma dei quali non sempre chi è intervenuto nel
dibattito sulla configurabilità del concorso esterno ha tratto le inevitabili
conseguenze dogmatiche), ulteriore autorevole dottrina ha anche osservato
che il c.d. concorso esterno è sicuramente configurabile in presenza dei tre

(a)

<>.

8.1.4.2. La giurisprudenza.

La giurisprudenza è ormai ferma

nell’ammettere la configurabilità del concorso esterno nei reati associativi,
con riguardo alle condotte consapevolmente volte a vantaggio
dell’associazione, ma poste in essere da soggetto che non è, e non vuole
essere, organico ad essa.
A tal fine, si richiede che il concorrente esterno:
(a)

sia privo della affectio societatis e non inserito nella struttura

organizzativa del sodalizio (Sez. un., sentenza n. 22327 del 21 maggio 2003,
Carnevale, CED Cass. n. 224181 s.);
(b)

fornisca, ai fini della conservazione o del rafforzamento

25

\

requisiti essenziali del concorso eventuale ex articolo 110 Cp., ovvero:

dell’associazione, un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario,
a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, dotato di
un’effettiva rilevanza causale, e che quindi si configuri come condizione
necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative
del sodalizio o, per le associazioni operanti su larga scala, di un suo
particolare settore o ramo d’attività, o di una sua articolazione territoriale
(Sez. un., sentenza n. 22327 del 2003 cit.; Sez. un., sentenza n. 33748 del
20 settembre 2005, n. 33748, Mannino, CED Cass. n. 231671 ss., per la

del fatto criminoso collettivo costituisce elemento essenziale e tipizzante
della condotta concorsuale, di natura materiale o morale, e non è sufficiente
una valutazione ex ante del contributo, risolta in termini di mera probabilità
di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un suo
apprezzamento ex post, in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei
comuni canoni di «certezza processuale», l’elevata credibilità razionale
dell’ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della
condotta atipica del concorrente);

(c) si rappresenti, nella forma del dolo diretto, l’utilità del contributo
fornito alla societas sceleris, ai fini della realizzazione anche parziale del
programma criminoso (Sez. un., sentenza n. 22327 del 2003 cit.): non è
necessario, in capo al concorrente esterno, il dolo specifico proprio del
partecipe (consistente nella consapevolezza di far parte dell’associazione e
nella volontà di contribuire a tenerla in vita e farle raggiungere gli obiettivi
prefissati), essendo sufficiente quello generico (che deve investire sia il fatto
tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato
dalla propria condotta alla conservazione od al rafforzamento
dell’associazione, agendo nella consapevolezza e volontà di fornire il proprio
contributo al conseguimento, anche parziale, del programma criminoso
dell’associazione) (Sez. un., sentenze n. 30 del 14 dicembre 1995, Mannino,
CED Cass. n. 202904, e n. 33748 del 2005 cit.: queste ultime hanno anche
evidenziato l’insufficienza del dolo eventuale, inteso come mera accettazione
da parte del concorrente esterno del rischio del verificarsi dell’evento,
ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati
intenzionalmente perseguiti).
8.1.4.3. Questa Sezione (sentenza n. 18797 del 20 aprile 2012, CED
Cass. n. 252827, richiamata anche dalla citata sentenza n. 48 del 2015 della

26

quale, in particolare, l’efficienza causale in merito alla concreta realizzazione

Corte costituzionale) ha così focalizzato la differenza fra il partecipe
all’associazione (íntraneus) ed il concorrente esterno (extraneus):
(a)

sotto il profilo oggettivo, essa va individuata «nel fatto che il

concorrente esterno – benché fornisca un contributo che abbia una rilevanza
causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione non sia inserito nella struttura criminale;

concorrente esterno – differentemente da quello interno il cui dolo consiste
nella coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione
dell’accordo e quindi del programma delittuoso in modo stabile e
permanente- sia privo dell’affectio societatis>>.

Peraltro, nella consapevolezza che detti canoni, astrattamente
ineccepibili, possono in concreto risultare di nebulosa applicazione, si è
condivisibilmente ritenuto di precisare, in relazione all’elemento materiale
del reato associativo, che «l’art. 416 bis c.p. incrimina chiunque partecipi
all’associazione, indipendentemente dalle modalità attraverso le quali entri a
far parte dell’organizzazione criminosa. Infatti, non occorrono atti formali o
prove particolari dell’ingresso nell’associazione che può avvenire nei modi
più diversi. La mancata legalizzazione – cioè l’atto formale di inserimento
nell’ambito dell’organizzazione criminosa – non esclude, pertanto, che il
partecipe sia di fatto in essa inserito e contribuisca con il suo
comportamento ai fini dell’associazione; questa Corte, infatti, da tempo, ha
chiarito che la prova dell’appartenenza, come

intraneus,

al sodalizio

criminoso può essere dato anche attraverso significativi facta concludentia
ove siano idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura
dimostrazione della costante permanenza del vincolo».

Il “prendere parte” al fenomeno associativo implica, quindi, sul piano
fattuale,

«un ruolo dinamico e funzionale in esplicazione del quale

l’interessato fornisca uno stabile contributo rimanendo a disposizione
dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. La suddetta condotta
può assumere forme e contributi diversi e variabili proprio perché, per
raggiungere i fini propri dell’associazione, occorrono diverse competenze e
diverse mansioni ognuna delle quali – svolta da membri diversi contribuisce, in modo sinergico, al raggiungimento del fine comune».

27

(b) sotto il profilo soggettivo, essa va individuata «nel fatto che il

Ne consegue che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 416bis c.p., è necessaria e sufficiente l’adesione (anche non formale o rituale) al
sodalizio, con impegno di mettersi a sua disposizione ricoprendo – in via
tendenzialmente stabile – uno specifico ruolo, da cui promani un costante,
effettivo e concreto contributo (anche atipico, ovvero di qualsiasi forma e
contenuto) finalizzato alla conservazione od al rafforzamento di esso.

Generalmente

«l’attenzione si concentra sull’aspetto più cruento

traffico di stupefacenti ecc.) che vengono assunti ad indice del fenomeno
associativo che sta a monte»; tuttavia, ai fini del raggiungimento degli
scopi associativi, risultano non meno importanti le attività poste in essere da
soggetti in apparenza al di sopra di ogni sospetto, dotati di specifiche
competenze professionali (la c.d. “borghesia mafiosa”), strumentalizzate al
fine di consentire al sodalizio mafioso di “dilagare” nel campo della società
civile per incrementare ulteriormente le propria potenzialità operative:
«questi soggetti – siano essi politici, pubblici funzionali, professionisti o
imprenditori – devono ritenersi far parte a pieno titolo (come concorrenti
interni) all’associazione mafiosa quando rivestano, nell’ambito della
medesima, una precisa e ben definita collocazione, uno specifico e duraturo
ruolo – per lo più connesso e strumentale alle funzioni ufficialmente svolte finalizzato, per la parte di competenza, al soddisfacimento delle esigenze
dell’associazione. In questi casi, ove l’attività svolta da questa particolare
categoria di soggetti presenti i caratteri della specificità e continuità e sia
funzionale agli interessi e alle esigenze dell’associazione alla quale fornisce
un efficiente contributo causale, la partecipazione dev’essere equiparata a
quella di un intraneus tanto più ove il soggetto, per la sua stabile attività,
consegua vantaggi e benefici economici o altre utilità».
Andrà, pertanto, essere considerato a pieno titolo come partecipante
(quanto meno) alla societas sceleris, e non come mero concorrente esterno,
il soggetto (appartenente alle categorie suddette) che si sia messo a
disposizione del sodalizio assumendo stabilmente, nel suo ambito, il ruolo di
elemento di collegamento tra i membri del sodalizio criminale e gli ambienti
istituzionali, politici e imprenditoriali: «il contributo di questi soggetti della
“borghesia mafiosa” è per l’associazione fonte di potere, relazioni, contatti.
Occorre ricordare, in proposito, che le associazioni mafiose sono tali perché
hanno relazioni con la società civile; ed, invero, tali relazioni che uniscono i

28

dell’associazione mafiosa ossia sui reati fine (estorsioni, usura, omicidi,

boss con una rete di politici, pubblici amministratori, professionisti,
imprenditori, uomini delle forze dell’ordine, avvocati e persino magistrati,
costituiscono uno dei fattori che rendono forti le associazioni criminali e che
spiegano perché lo Stato non sia ancora riuscito a sconfiggerle. Basti
pensare che gli infiltrati, “le talpe”, le fughe di notizie riservate e, in casi
ancora più gravi, le collusioni di investigatori, inquirenti o magistrati, con le
cosche mafiose, possono portare al fallimento parziale o totale delle

8.1.4.4. Trattasi di principi ormai pacifici nella giurisprudenza di questa
Corte.
Si è, infatti, osservato che, nei rapporti tra partecipazione ad
associazione mafiosa e mero concorso esterno, la differenza tra il soggetto
intraneus ed il concorrente esterno risiede nel fatto che quest’ultimo, sotto il
profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur fornendo ad
essa un contributo causalmente rilevante ai fini della conservazione o del
rafforzamento dell’associazione, e, sotto il profilo soggettivo, è privo della
affectio societatis, laddove il partecipe intraneus è animato dalla coscienza e
volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo e del
programma delittuoso in modo stabile e permanente (Sez. VI, sentenza n.
49757 del 27 novembre 2012, CED Cass. n. 254112).
Ritornando successivamente ad esaminare la questione, si è poi
osservato che la partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso
esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi fra loro, in quanto
la condotta associativa implica la conclusione di un pactum sceleris fra il
singolo e l’organizzazione criminale, in forza del quale il primo rimane
stabilmente a disposizione della seconda per il perseguimento dello scopo
sociale, con la volontà di appartenere al gruppo, e l’organizzazione lo
riconosce ed include nella propria struttura, anche per facta concludentia e
senza necessità di manifestazioni formali o rituali, mentre il concorrente
esterno è estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo
causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità
operative dell’associazione, ovvero di un suo particolare settore di attività o
articolazione territoriale, e diretto alla realizzazione, anche parziale, del
programma criminoso della medesima (Sez. VI, sentenza n. 16958 del 16
aprile 2014, CED Cass. n. 261475)
Si è, infine, chiarito che la condotta di partecipazione è riferibile a colui
che si trova in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto
29

indagini».

organizzativo della associazione criminale, tale da implicare, più che uno
status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del
quale l’interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a
disposizione del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi; ne
consegue che è da considerare intraneus – e non semplice “concorrente
esterno” – il soggetto che, consapevolmente, accetti i voti dell’associazione
mafiosa e che, una volta eletto a cariche pubbliche, diventi il punto di
riferimento della cosca mettendosi a disposizione, in modo stabile e

proprio operato (Sez. II, sentenza n. 53675 del 10 dicembre 2014, CED
Cass. n. 261620).

8.1.4.5. Nei medesimi termini la distinzione tra le due figure è stata
focalizzata dalla Corte costituzionale con la già citata sentenza n. 48 del
2015: a parere del Giudice delle leggi, infatti,

«La differenza tra il

partecipante “intraneus” all’associazione mafiosa e il concorrente esterno
risiede (..) nel fatto che il secondo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito
nella struttura criminale, pur offrendo un apporto causalmente rilevante alla
sua conservazione o al suo rafforzamento, e, sotto il profilo soggettivo, è
privo dell’<>, laddove invece l’ “intraneus” è animato
dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione
dell’accordo e del programma criminoso in modo stabile e permanente (..).
Dunque, se il soggetto che delinque con “metodo mafioso” o per agevolare
l’attività di una associazione mafiosa (..) può, a seconda dei casi,
appartenere o meno all’associazione stessa, il concorrente esterno è, per
definizione, un soggetto che non fa parte del sodalizio: diversamente,
perderebbe tale qualifica, trasformandosi in un «associato>>. Nei
confronti del concorrente esterno non è, quindi, in nessun caso ravvisabile
quel vincolo di «adesione permanente>> al gruppo criminale (..)».

8.1.5. Conclusioni. In conclusione, il contributo adesivo del partecipe
all’associazione mafiosa deve, oggettivamente, configurarsi come
tendenzialmente stabile e durevole, ovvero concretizzarsi nella continuativa
disponibilità, per apprezzabile lasso di tempo, del proprio apporto, e, sotto il
profilo soggettivo, essere connotato dalla coscienza e volontà di entrare a far
parte stabilmente ed organicamente dell’associazione ed operare per il
raggiungimento delle finalità della stessa.

30

\,,

continuativo, di tutti gli affiliati della consorteria, alla quale rende conto del

Appare, di conseguenza, evidente che le condotte che si concretizzano in
un ausilio occasionale all’associazione, poste in essere senza entrare a farne
parte stabilmente, senza essersi messi più o meno durevolmente a
disposizione del sodalizio, senza assumere all’interno di esso un ruolo od una
funzione ben determinati, non possono rilevare come condotte di
partecipazione ex articolo 416-bis Cp, perché atipiche rispetto alla previsione
tassativa della predetta norma incriminatrice.
La

ratio

della rilevanza penale da attribuire al c.d. concorso

dogmatico) va, pertanto, rinvenuta, senza alcun dubbio, nell’esigenza di
attrarre nell’ambito del “penalmente rilevante” anche le condotte di chi, pur
non essendo organico all’associazione (non facendone stabilmente parte),
abbia fornito – anche solo occasionalmente – un contributo causalmente
rilevante alla esistenza ed operatività di essa, ovvero al raggiungimento delle
sue finalità, con ciò esponendo ugualmente a pericolo di lesione il bene
protetto, l’ordine pubblico.
Deve aggiungersi che la distinzione tra le due figure non è meramente
quantitativa: andrebbe qualificato senza dubbio come contributo di
partecipazione quello del soggetto cui, nell’ambito del sodalizio, sia stato
attribuito un ruolo, pur se non abbia mai avuto occasione di attivarsi (si
pensi all’appartenente alle forze dell’ordine incaricato di riferire le notizie
riservate di interesse del sodalizio, che non si sia in concreto attivato perché
nell’ambito territoriale di sua competenza non abbia mai avuto conoscenza di
simili notizie); al contrario, andrebbe qualificato, ancora una volta senza
dubbio, come contributo concorsuale “esterno” quello del soggetto
extraneus, sulla cui disponibilità il sodalizio non possa contare, ma che sia
stato in più occasioni contattato per indurlo a tenere determinate condotte
agevolative, di volta in volta concordate sulla base di autonome
determinazioni (si pensi all’appartenente alle forze dell’ordine con il quale sia
stata, in più occasioni, ma con autonome determinazioni, negoziata la
rivelazione di singole notizie riservate).

8.1.6. Gli indici testuali. Conferme testuali della configurabilità del
concorso materiale esterno nei reati associativi (talora frettolosamente
dimenticate dagli interpreti) sono fornite dallo stesso legislatore: invero, sia
l’art. 307 c.p. (assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata) che
l’art. 418 c.p. (assistenza agli associati

ex artt. 416 e 416

31

bis c.p.)

«esterno» (come detto, pacificamente configurabile dal punto di vista

contengono una iniziale clausola di riserva («fuori dei casi di concorso nel
reato») che ammette inequivocabilmente la possibilità di un mero concorso
eventuale,

«esterno»,

nei reati associativi, lasciando all’interprete

soltanto il compito di stabilire in quali casi un tal concorso sia configurabile,
ovvero consentendo all’interprete unicamente la valutazione del

quomodo,

non anche dell’an, del concorso esterno nel reato associativo.

8.1.6.1. L’orientamento che svaluta la rilevanza dei predetti riferimenti

l’espressione «al di fuori dei casi di concorso nel reato» si riferirebbe al
solo concorso necessario e non anche al concorso eventuale (l’espressione è
interpretata come se dicesse «al di fuori dei casi di concorso
necessario»); peraltro, nell’ambito del medesimo orientamento, l’identica
espressione adoperata dal primo comma dell’art. 307 è interpretata come se
si riferisse al “concorso morale”, ovvero ad escludere l’applicabilità della
norma nel caso di concorso eventuale morale.
Detta immotivata discrasia appare di per sé idonea ad “indebolire”
l’orientamento, rendendolo già al suo interno non univoco.

8.1.6.2. Autorevole dottrina ha già osservato (con argomentazioni già
condivise e recepite dalle Sezioni Unite di questa Corte: sentenza n. 16 del
1994 cit.) che nel primo comma dell’art. 418 c.p.

«si trovano due

espressioni differenti, rappresentate dalle locuzioni “concorso nel reato” e
“persone che partecipano all’associazione” che richiamano necessariamente
due realtà differenti»; «pare, infatti, logico supporre che se il legislatore
avesse voluto fare riferimento, all’interno dello stesso comma, per due volte
alla stessa fattispecie, avrebbe utilizzato la medesima espressione e non due
diverse locuzioni»; «si deve dedurre, quindi, che “concorso nel reato”
non significhi partecipazione allo stesso, ma concorso eventuale esterno nel
reato associativo; è da ritenersi, pertanto, che il legislatore abbia inteso
ammettere esplicitamente la configurabilità di un concorso eventuale nei
confronti della associazione».

8.1.6.3. Ed, in proposito, osserva il collegio che il dato letterale, ovvero
le diverse espressioni adoperate nel medesimo contesto (esse confluiscono,
infatti, nello stesso comma della norma

de qua),

rivela la trasparente

intenzione del Legislatore di fare riferimento a due fattispecie diverse: in

32

testuali, ed in particolare del riferimento di cui all’art. 418 c.p., ritiene che

caso contrario, sarebbe davvero incomprensibile l’impiego, in una stessa
norma, di due distinti termini per evocare il medesimo concetto.

8.1.6.4. Rilievo a parere del collegio decisivo va, sul punto, attribuito
anche a quanto osservato nella Relazione ministeriale sul progetto del codice
penale.
La Relazione, nell’illustrare la disciplina dettata dall’art. 418 c.p., osserva
che «questa figura criminosa è tenuta distinta dai casi di concorso nel

sollevato se l’inciso “fuori dei casi di concorso nel reato o di
favoreggiamento” si debba riferire al reato d’associazione o al reato-fine che
gli associati si propongono di commettere, apparendo chiaro che il
riferimento va fatto al reato di associazione per delinquere, oggetto della
speciale previsione».
Come già ritenuto dalla citata sentenza Demitry, quindi, per la Relazione
ministeriale non possono esservi dubbi sulla configurabilità del concorso
eventuale, in tutte le sue forme, nei reati associativi (all’epoca, il riferimento
riguardava tendenzialmente il reato di cui all’art. 416 c.p.), visto che la
stessa si premura di precisare che il concorso di cui si parla nell’art. 418 non
è il concorso degli esterni rispetto al reato-fine che gli associati si
propongono di commettere, bensì il concorso rispetto al reato di
associazione, che, per la distinzione, per il parallelo che la Relazione fa tra
quest’ultimo concorso ed il concorso esterno nel reato-fine, non può non
essere, anch’esso, il concorso esterno, degli esterni, nel reato di
associazione.
E, dopo aver chiarito il significato delle espressioni «dare rifugio o
fornire vitto», la Relazione ministeriale aggiunge, ribadendo il concetto,
che la disposizione penale in questione è stata resa rigorosa, ma che «il
maggior rigore si è reso necessario» anche «per la esigenza di non
confondere questa speciale figura delittuosa – che, non v’è dubbio, punisce
un certo contributo esterno prestato agli associati, ai partecipanti – con il
concorso nell’associazione per delinquere».

8.1.7. Il contributo del «concorrente eventuale od esterno» al reato
associativo rileva, pertanto, come accade ordinariamente per ogni altra
fattispecie tipica di reato, in forza dell’art. 110 c.p. (che ha la funzione di
estendere l’ambito dell’illecito penale, onde ricomprendervi i contributi

33

reato o di favoreggiamento», ed evidenzia che «infondato è il dubbio

atipici), e deve necessariamente accedere ad una

societas sceleris

preesistente od anche solo contemporaneamente costituita da terzi.

8.2. In proposito, va, conclusivamente, affermato il seguente principio di
diritto:

«E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 110 e 416-bis c.p. (nella parte in cui, secondo l’interpretazione

associazioni di tipo mafioso), sollevata per asserito contrasto con l’art., 25,
comma 2, della Costituzione e con gli artt. 117 della Costituzione e 7 della
Convenzione EDU, per violazione del principio di legalità. Il c. d. “concorso
esterno” in associazioni di tipo mafioso non è un istituto di (non consentita,
perché in violazione del principio di legalità) creazione giurisprudenziale, ma
è incriminato in forza della generale (perché astrattamente riferibile a tutte
le norme penali incriminatrici) funzione incriminatrice dell’art. 110 c.p., che
estende l’ambito delle fattispecie penalmente rilevanti, ricomprendendovi
quelle nelle quali un soggetto non abbia posto in essere la condotta tipica,
ma abbia fornito un contributo atipico, causalmente rilevante e consapevole,
alla condotta tipica posta in essere da uno o più concorrenti, secondo una
tecnica normativa ricorrente; la sua matrice legislativa trova una conferma
testuale nella disposizione di cui all’art. 418, comma 1, c.p.».”.

Il Collegio condivide integralmente le valutazioni espresse da questa
Sezione e ritiene di dover ribadire l’orientamento nomofilattico contenuto
nella menzionata sentenza n. 34147/2015.
Ne consegue la manifesta infondatezza dell’eccezione di legittimità
costituzionale prospettata e la infondatezza della doglianza relativa alla non
configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa.

6. Il quinto motivo di ricorso proposto da Spinoccia Antonio ed il
quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Spinoccia Gerardo sono
manifestamente infondati e svolgono censure di merito.
La Corte territoriale ha fatto riferimento al reato di estorsione
aggravata di cui al capo A3) accertato a carico di Spinoccia Antonio,
Spinoccia Gerardo e Cassia Sebastiano nonché ai ruoli ricoperti all’interno
della società Nuovo Teatro Soc. Coop. a r.I., ditta di servizio ritenuta affiliata
al clan Urso – Bottaro, tramite la quale “… lo stesso gestiva i servizi che

34

giurisprudenziale in atto dominante, incriminano il c.d. “concorso esterno” in

ruotavano attorno al teatro …”.
I giudici di appello hanno evidenziato come i ricorrenti, unitamente al
coimputato Cassia Sebastiano, abbiano esercitato sulla persona offesa delle
pressioni gravi ed indebite, compiendo violenza fisica e minacciando azioni
ritorsive idonee a costringere quest’ultima ad accettare passivamente le loro
richieste nell’interesse della Cooperativa in parola, ed in particolare ad
assumere un numero di operatori di scena doppio rispetto a quello
necessario, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla loro

Sul punto è stata richiamata la giurisprudenza di questa Corte in base
alla quale la minaccia dall’esteriore apparente legalità formulata, come
avvenuto nel caso di specie, non con l’intenzione di esercitare un diritto, ma
con lo scopo di coartare l’altrui volontà e conseguire così risultati non
conformi a giustizia può costituire un’illecita intimidazione valida ad integrare
il delitto di cui all’art. 629 cod. pen.
Infatti questa Corte ha chiarito che, in tema di estorsione, la minaccia
di adire le vie legali, pur avendo un’esteriore apparenza di legalità, può
integrare l’elemento costitutivo del delitto di cui all’art 629 cod. pen. quando
sia formulata non con l’intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di
coartare l’altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia. (Cass.
Sez. 2, Sentenza n. 36365 del 07/05/2013 dep. 05/09/2013 Rv. 256874).
A ciò si aggiunga che la Corte territoriale ha ritenuto sussistente
anche l’ingiusto profitto, come spiegato dalla sentenza impugnata (a p. 302
e 303). Inoltre, per quanto riguarda Spinoccia Antonio è specificato (a p.
301) che la sua presenza non può considerarsi meramente passiva.

7. Il quarto motivo proposto nell’interesse di Di Paola Ernando, il
quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Ferrara Roberto, il quarto
motivo di ricorso proposto nell’interesse di Spinoccia Antonio ed il secondo
motivo di ricorso proposto nell’interesse di Spinoccia Gerardo (per la parte
relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche) sono
manifestamente infondati e svolgono censure di merito.
La Corte territoriale ha fatto riferimento alla particolare gravità dei
fatti con riguardo alle modalità della condotta, consistita nell’avere
consapevolmente fornito un contributo stabile e protratto nel tempo al
sodalizio mafioso Urso – Bottaro ed alla pericolosità sociale degli imputati,
derivante dalla reiterazione della condotta illecita nel tempo.

35

volontà.

Conformemente all’orientamento espresso più volte da questa Corte,
deve rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi
dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere
esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti
della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e
non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione neppure quando
difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori
attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. Sez. 6 n. 42688 del

249163). Ed ancora, nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli
altri da tale valutazione (Cass. Sez.6 n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv.
248244).

8. Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Procopio
Giuseppe, per la parte riguardante la pena, è manifestamente infondato e
svolge censure di merito.
La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in
relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata
l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di
ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha
considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati
nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi
d’appello (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv
181825. Conf. mass. n. 155508; n. 148766; n. 117242).

9.

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Midolo

Michele è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha specificamente motivato sulle doglianze svolte
nei motivi di appello relativi alle pene accessorie, rilevando che la
determinazione della pena era avvenuta a titolo di continuazione su quella

36

\

24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; sez. 2 n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv.

determinata nella sentenza della Corte d’assise di Siracusa del 22.7.1996,
rispetto alla quale sussistevano i presupposti per l’applicazione delle pene
accessorie.
Nel caso di pluralità di reati – unificati dal vincolo della continuazione
– la durata della pena accessoria secondo il criterio fissato dall’art. 37 cod.
pen. va determinata con riferimento alla pena principale inflitta per la
violazione più grave, con l’eccezione dell’ipotesi di continuazione fra reati
omogenei, nella quale l’identità dei reati unificati comporta necessariamente

durata complessiva va commisurata all’intera pena principale inflitta con la
condanna, ivi compreso l’aumento per la continuazione. (Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 29746 del 05/06/2014 dep. 08/07/2014 Rv. 261512).

10. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Bongiovanni
Salvatore, il primo ed il terzo motivo di ricorso proposti nell’interesse di
Ferrara Roberto, il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Pianeta
Francesco, il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Procopio
Giuseppe, il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti nell’interesse di
Spinoccia Antonio, il terzo e l’ultimo motivo di ricorso proposti nell’interesse
di Spinoccia Gerardo sono manifestamente infondati.
Fermo quanto già esposto a proposito della corretta applicazione delle
circostanze aggravanti da parte della Corte territoriale, in relazione all’essere
il capo B riferito al concorso nell’associazione di cui al capo A, con la relativa
aggravante dell’essere l’associazione armata, alle circostanze aggravanti di
cui all’art. 7 legge n. 203/1991 e di cui all’art. 112 n. 1 cod. pen. va rilevato
che la sentenza impugnata ha correttamente motivato ricordando che si
applicano i termini di prescrizione antecedenti la modifica di cui alla legge n.
251/2005 più favorevoli (p. 360 – 362).
In particolare la Corte d’appello ha ricordato che per il reato di cui al
capo B la prescrizione maturerà nel novembre 2020, a cui deve essere
aggiunto il periodo di sospensione di mesi 3 giorni 7 in conseguenza di rinvii
richiesti dalle difese.
Per quanto attiene ai capi H, M, T e Z nessuna prescrizione è
maturata, così come per il capo A3 (computo a p. 361 e 362 sentenza
impugnata).

11. I ricorsi devono pertanto essere rigettati.

37

la applicazione di una pena accessoria per ciascuno di essi, di modo che la

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati
al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Così deciso il 18 maggio 2015

Il Consigliere relatore

Il Presidente

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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