Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22443 del 05/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22443 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:
TROVATO GIOVANNI, nato a Messina il 07.03.1960,
MAIORANA MAURO, nato a Messina il 24.02.1969,
TROVATO PIETRO, nato a Messina il 07.03.1988,
TRISCHITTA ANGELO, nato a Messina il 20.09.1974,
avverso la sentenza del 15/05/2015 della Corte di Appello di Messina,
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo l’annullamento
con rinvio nei confronti di Trovato Giovanni, limitatamente all’omessa
motivazione sulla rilevanza della recidiva; rigetto nel resto del ricorso di Trovato
Giovanni; rigetto di tutti gli altri ricorsi;
uditi i difensori:
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Data Udienza: 05/05/2016

avv. Antonino Favazzo, per Giovanni Trovato;
avv. Antonio Salvatore Scordo, per Mauro Maiorana,
che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale del medesimo capoluogo, dichiarava:

capi A), C) e D) della rubrica e del reato di intestazione fittizia di beni di cui al
capo B), esclusa per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/91 e lo
condannava, con la recidiva contestata e ritenuta la continuazione, alla pena di
anni undici, mesi sei di reclusione ed euro 3.500,00 di multa;
– Maiorana Mauro, colpevole del reato di estorsione di cui al capo A) e,
concessegli le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni
tre, mesi sei di reclusione ed euro 1.200,00 di multa;
– Trischitta Angelo e Trovato Pietro colpevoli del reato di intestazione fittizia di
beni loro contestato al capo B) e, concesse al Trischitta le circostanze attenuanti
generiche, condannava quest’ultimo alla pena di anni due di reclusione ed il
Trovato Pietro a quella di anni tre di reclusione.
2. La Corte di Appello, sulla base di variegato compendio probatorio, riteneva
provato che il Trovato Giovanni, forte della sua personalità prevaricatrice e della
sua notoria caratura criminale, avesse imposto ai fratelli Francesco ed Antonino
Capone – titolari della società GI.CAP s.p.a., che effettuava forniture di generi
alimentari ad altri esercizi commerciali – di intrattenere rapporti contrattuali, a
condizioni svantaggiose per i medesimi, con la società S.T s.r.I., gestita dal
medesimo Trovato Giovanni ma fittiziamente intestata, per eludere le misure di
prevenzione che su di lui gravavano, al figlio Pietro Trovato ed al proprio cognato
Trischitta Angelo, secondo quanto a costoro contestato al capo B) della rubrica.
Per raggiungere il suo scopo, il Trovato Giovanni aveva utilizzato Maiorana
Mauro, altro imprenditore a lui legato, che per un certo periodo aveva assunto
con la sua impresa le funzioni di intermediario nei rapporti commerciali tra la
ditta dei Capone e quella riconducibile al Trovato Giovanni.
Inoltre, allorquando i Capone avevano tentato di chiudere i rapporti commerciali
con quest’ultimo, il Trovato Giovanni aveva posto in essere le condotte di tentata
estorsione nei loro confronti di cui ai capi C) e D), volte a costringerli a
continuare le forniture alla ditta da lui gestita.
3. Ricorrono per cassazione gli imputati, con distinti atti.

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– Trovato Giovanni colpevole dei reati di estorsione consumata e tentata di cui ai

3.1 Giovanni Trovato, con il ricorso proposto nel suo stesso interesse e con
quello a firma del suo difensore, deduce:
1) violazione di legge e nullità del procedimento di secondo grado per essere
stata celebrata l’ultima udienza in assenza dell’imputato detenuto, che non
aveva manifestato la sua volontà di rinunciare all’udienza;
2) violazione di legge in ordine alle modalità di escussione come testimone puro
della persona offesa Capone Francesco, il quale, essendo indagato per reato
connesso o collegato a quelli per cui si procede, avrebbe dovuto essere escusso

l’inutilizzabilità delle sue dichiarazioni;
3)

violazione di legge e vizio della motivazione, in ordine alla ritenuta

responsabilità del ricorrente in relazione all’estorsione di cui al capo A), alla
quale la Corte sarebbe giunta attraverso un acritico richiamo per relationem alla
sentenza di primo grado, sulla sola base delle dichiarazioni delle persone offese e
di una perizia sul contenuto di riprese audiovisive non affidabile, senza
considerare l’assenza di prova in ordine a tutti gli elementi costitutivi dei reati di
estorsione, tenuto conto, quanto al requisito della minaccia, che l’esclusione
dell’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/91, originariamente contestata, non
avrebbe potuto consentire di valorizzare l’ipotizzata minaccia implicita, in
assenza di quella esplicita, riveniente dall’appartenenza del ricorrente ad una
famiglia mafiosa.
Inoltre, secondo il ricorrente, i rapporti commerciali tra la ditta delle persone
offese e quella ricondotta al Trovato Giovanni, si sarebbero snodati secondo
normali prassi commerciali, tanto da non potersi ritenere configurabile né
l’ingiustizia del profitto in favore del ricorrente e neanche il corrispettivo danno
per le vittime, le quali, infatti, si sarebbero risolte a rendere dichiarazioni contro
l’imputato solo per paura di subire lesioni alla propria immagine commerciale
dopo aver saputo dalle forze di polizia delle indagini in corso nei confronti del
ricorrente;
4) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità
del ricorrente per i reati estorsivi di cui ai capi C) e D), tenuto conto che le
condotte ascritte al Trovato Giovanni altro non sarebbero state che una civile
esternazione, priva di contenuti minacciosi, del suo intendimento di convincere i
fratelli Capone a continuare i rapporti commerciali con la sua ditta, dopo che
costoro avevano manifestato la volontà di interromperli; come sarebbe provato
dal fatto che il ricorrente si era subito attivato per coprire le pendenze con i
Capone ed anche attraverso la prova visiva in ordine alla civiltà con la quale
erano state tenute le conversazioni con costoro, secondo la più corretta

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con le garanzie di legge, la mancata adozione delle quali determinerebbe

ricostruzione del contenuto delle videoriprese effettuate, che avrebbero meritato
di essere riesaminate da altro perito;
5) a quest’ultimo proposito e con altro motivo di ricorso, il ricorrente censura la
decisione della Corte di non aver dato luogo alla richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale volta all’effettuazione di nuova perizia, tenuto conto
degli esiti incerti di quella agli atti;
6) in ogni caso, gli episodi estorsivi avrebbero dovuto essere considerati come
unico fatto continuato e non come tre distinti reati;

di cui ai capi C) e D) in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, avuto
riguardo al fatto che il Trovato avrebbe voluto tutelare il suo diritto al preavviso
circa l’interruzione dei rapporti commerciali con la sua ditta decisa dai fratelli
Capone;
8) quanto al reato di intestazione fittizia di beni di cui al capo B), il ricorrente
lamenta l’assenza dei suoi elementi costitutivi, tenuto conto che al figlio Pietro
sarebbe stata trasferita solo l’amministrazione della società, senza alcun intento
fraudolento e senza scopi elusivi delle misure di prevenzione, posto che queste
ultime avrebbero potuto estendersi ai beni del figlio secondo la normativa di
settore.
La presenza del ricorrente nella gestione dei rapporti commerciali della S.T.
s.r.I., acclarata attraverso le intercettazioni, troverebbe giustificazione, del resto,
nel fatto che egli era stato autorizzato dall’autorità giudiziaria ad ivi svolgere
regolare attività lavorativa;
9) Quanto al trattamento sanzionatorio, il ricorrente si duole dell’applicazione
automatica e senza motivazione dell’aumento di due terzi della pena base per
effetto della recidiva, del calcolo della pena base oltre il minimo edittale, del
diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’entità
degli aumenti per la continuazione.
3.2 Mauro Maiorana deduce:
1) violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla questione di
inutilizzabilità delle dichiarazioni di Capone Francesco, estese anche a quelle di
Capone Antonino, per ragioni sovrapponibili a quelle dedotte nei ricorsi di
Trovato Giovanni;
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità
del ricorrente per l’estorsione di cui al capo A), tenuto conto che la Corte
avrebbe ingiustamente esteso la condotta del Maiorana ad epoca successiva al
maggio del 2012, allorquando quest’ultimo, secondo evidenti prove agli atti, era
uscito di scena – in quanto i rapporti commerciali si erano intrecciati
direttamente tra l’impresa dei Capone e quella del Trovato – senza che fino a
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7) con motivo subordinato, il ricorrente lamenta la mancata sussunzione dei reati

quel periodo vi fosse stata alcuna lamentela nei suoi confronti da parte delle
vittime od alcuna minaccia o danno o ingiusto profitto.
Il Maiorana, d’altra parte, sarebbe stato richiesto di mediare i rapporti tra i
Capone ed il Trovato per volere dei primi e nell’esclusivo interesse di costoro, la
qual cosa escluderebbe il suo concorso nel reato estorsivo sub A), non potendo
egli prevedere l’evoluzione negativa degli eventi dopo il maggio del 2012;
3) violazione di legge e vizio della motivazione per non avere la Corte ritenuto
eventualmente riconducibili le condotte del ricorrente al reato di violenza privata,

dalla vicenda.
3.3 Pietro Trovato deduce:
1) violazione di legge e vizio motivazione in ordine al giudizio di responsabilità
per il reato di intestazione fittizia di cui al capo B), per motivi sovrapponibili a
quelli del Trovato Giovanni quanto all’assenza degli elementi costitutivi di tale
fattispecie delittuosa, non rinvenendosi alcun elemento probatorio a sostegno
delle accuse, tale non potendo rivelarsi la successiva vicenda legata al tentativo
di affitto o fornitura di altra società del Trovato Giovanni in amministrazione
giudiziaria.
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze
attenuanti generiche.
3.4 Angelo Trischitta, ribadendo alcune censure svolte dai precedenti ricorrenti in
ordine alla ritenuta sussistenza del reato sub capo B), lamenta:
1) il fatto che la Corte non avrebbe tenuto conto che egli, quale zio del Trovato
Pietro e cognato del Trovato Giovanni in quanto fratello della di lui moglie,
sarebbe effettivamente entrato a far parte dell’impresa dell’affezionato nipote
quale socio di minoranza, conferendo la somma di 10.000,00 euro del tutto
congrua rispetto alle sue dimostrate capacità economiche; circostanze che non
avrebbero dovuto consentire di ritenerlo un mero prestanome assoldato da
Trovato Giovanni;
2) che la Corte di Appello gli avrebbe inflitto una pena superiore al minimo
edittale senza alcuna motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati.
1.1 In relazione al motivo di ricorso del Trovato Giovanni inerente la nullità del
giudizio di appello per mancata partecipazione dell’imputato detenuto non
rinunziante all’udienza nel quale esso si era concluso, deve sottolinearsi che,
come risulta a pag. 3 dello stesso ricorso a firma del ricorrente, la Corte di
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posto che egli non avrebbe comunque percepito alcun vantaggio patrimoniale

Appello ha

disposto che l’udienza avesse luogo in assenza dell’imputato,

interpretando correttamente come rifiuto a presenziarvi la sua rinuncia ad
accedere al mezzo blindato che lo avrebbe dovuto trasportare nell’aula di
udienza, secondo quanto attestato alla medesima Corte, senza altre
specificazioni, con la nota degli agenti di polizia penitenziaria che era stata
trasmessa all’organo giudicante.
Ma anche se la Corte di Appello avesse accertato che il rifiuto era dovuto alla
circostanza che quella mattina la Polizia Penitenziaria non avesse in uso un

avrebbe potuto comportare il rinvio dell’udienza; dal momento che l’uso di tale
mezzo – come si evince anche dal provvedimento allegato al ricorso emesso dal
Tribunale già nel primo grado di giudizio – era rimesso alle opportune valutazioni
della Polizia Penitenziaria e non a quelle della Corte, che con esse non avrebbe
potuto interferire, come si ricava anche dall’ordinanza pronunciata dal giudice di
secondo grado, laddove si precisa anche che alla Polizia Penitenziaria non era
stato imposto l’uso di mezzo particolare da parte della amministrazione di
competenza almeno con riguardo a quel giorno di udienza.
Peraltro, lo stesso ricorrente adduce, a fg. 6 del ricorso citato, che le precedenti
traduzioni con mezzi ordinari non si erano rivelate assolutamente impossibili, ma
avevano soltanto causato dei ritardi per il malessere del detenuto (affetto da
claustrofobia), comunque raggiungendo il loro scopo, a dimostrazione che non vi
era una impossibilità assoluta da parte del Trovato ad effettuare il trasporto con
un normale mezzo in dotazione della Polizia Penitenziaria.
1.2 In ordine alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai fratelli
Capone, essa troverebbe la sua giustificazione nel fatto che il Capone Francesco
ed il Trovato Giovanni, alla data in cui il Capone era stato escusso, erano iscritti
nel registro degli indagati in ordine ad un episodio di violenza privata, consistito
nel fatto che il ricorrente, su istigazione del Capone, avrebbe costretto alcuni
venditori ambulanti ad allontanarsi dalle vicinanze dei locali della ditta dei fratelli
persone offese.
Tale fatto sarebbe connesso o collegato alle estorsioni per cui si procede.
Tuttavia, deve osservarsi, conformemente a quanto sottolineato sul punto dalla
Corte di Appello ai fgg. 17 e 18 della sentenza, che non si ravvisa, in primo
luogo, alcuna connessione probatoria tra quell’episodio ed i reati contestati
nell’odierno procedimento; dal momento che l’esclusione dell’aggravante dell’art.
7 L. n. 203/1991 da parte del giudice di secondo grado, toglie al tema ogni
valenza dimostrativa in punto di prova, che, invece, gli era stata conferita in
primo grado, a simboleggiare l’utilizzo del metodo mafioso da parte del Trovato.

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mezzo più confacente alle esigenze di salute del ricorrente, la circostanza non

Inoltre, dalla motivazione della sentenza impugnata, risulta che il fatto si era
verificato dopo che tra i Capone ed il Trovato aveva avuto luogo la stipula del
negozio illecito a base estorsiva di cui al capo A) della rubrica, individuato come
momento genetico del reato in discorso; sicché, non si può neanche sostenere
che il fatto di violenza privata fosse stato consumato in occasione dell’altro.
Né che per esso il ricorrente intendesse conseguire il profitto del reato estorsivo,
già delineatosi in precedenza e che non avrebbe certo potuto risentire dell’opera
di alcuni venditori ambulanti postisi davanti all’esercizio commerciale di grossi

Infine, la circostanza che ad essere indagato del reato di violenza privata fosse
stato il solo Capone Francesco, esclude la rilevanza dell’eccezione con riguardo
alle dichiarazioni rese dal di lui fratello Antonino, adombrata dal ricorrente
Maiorana con il primo motivo di ricorso, che, per le ragioni fin qui esplicitate,
deve essere ritenuto infondato al pari di quello del Trovato Giovanni.
1.3 Superate le questioni formali e prima di passare alle censure inerenti al
giudizio di responsabilità del ricorrente, occorre sottolineare che quest’ultimo è
stato condannato in entrambi i gradi di merito con motivazione conforme
(eccezion fatta per l’esclusione in secondo grado dell’aggravante prima detta,
che non influisce rispetto a quanto si vuole rilevare).
La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le motivazioni
della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda,
confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso
fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i
giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con
criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti
riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della
decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. 2″, n. 1309 del 22 novembre
1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. 3″, n. 13926
del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615).
Si osserva, ancora, che la doppia conformità della decisione di condanna
dell’imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in
cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dal ricorrente con
qualche censura.
E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può essere
dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme,
sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute
nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo
giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del
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imprenditori all’ingrosso come i fratelli Capone.

merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in
termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di
entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel
contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n.
44765 del 22/10/2013, Buonfine).
Nessun vizio di macroscopica evidenza logico-giuridica, rilevabile in questa

sostegno dei suoi assunti, confrontandosi in modo autonomo con le risultanze
processuali, senza alcun acritico recepimento della decisione di primo grado.
Per quanto riguarda la sussistenza del reato estorsivo di cui al capo A) della
rubrica, la Corte di Appello, con dovizia di argomentazioni, sottolineava come le
dichiarazioni delle persone offese Francesco ed Antonino Capone,
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, avessero tratteggiato
ampiamente il fatto che le vittime si fossero risolte ad effettuare forniture di
generi alimentari alla ditta gestita dall’imputato solo perché temevano ritorsioni
se ciò non avessero fatto, tenuto conto non soltanto della circostanza che era a
loro nota la sua caratura criminale, ma anche perché, come precisato dalla
Corte riportando le parole del Capone Antonino che riferiva quelle del di lui
fratello, egli era un “pazzo, capace di tutto”.
Le migliori dimostrazioni della veridicità di tale assunto delle parti lese, la Corte
di Appello rinveniva sia nella stessa necessità che a fungere da mediatore nei
rapporti con l’imputato si fosse posto il Maiorana – al quale i Capone
vendevano la merce che poi quest’ultimo rivendeva al Trovato – nonostante lo
stesso Maiorana non trattasse generi alimentari; ciò, per evitare ai Capone ogni
contatto, anche fisico, con il Trovato.
Sia, in fin dei conti, per la reazione di quest’ultimo all’intenzione dei Capone di
interrompere le forniture, culminata nelle vicende descritte ai capi C) e D), più
avanti trattate, che davano ragione all’assunto del Capone Antonino, riportato a
fg. 19 della sentenza impugnata, secondo il quale “con il sig. Trovato avrei
avuto difficoltà a dire domani mattina non ti fornisco più merce, tanto è vero
che quando l’abbiamo tentato sono successe le cose che sono successe”.
Di entrambe queste decisive circostanze, in relazione alla prova della
sussistenza dell’elemento costitutivo della minaccia, il ricorrente, non a caso,
non fa menzione in nessuno dei due pur articolati ricorsi.
Come non fa menzione di quella parte delle dichiarazioni delle vittime riportate
a fg. 21 della sentenza, inerenti i concreti comportamenti tracotanti assunti dal
ricorrente nei confronti delle vittime, che andavano ad inserirsi in quel
significativo contesto di riferimento, all’interno del quale dovevano essere
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sede, si rinviene nella decisione impugnata, che ha offerto ampie ragioni a

declinate come minacce implicite, secondo il giudizio di merito espresso dalla
Corte (Capone Francesco era sottoposto a continue pressioni da parte del
ricorrente, che lo aspettava al bar, lo chiamava per parlargli fuori dal negozio,
entrava negli uffici e chiedeva dei titolari con fare arrogante).
I ricorsi, invece, puntano a rappresentare, senza valenza dimostrativa in
ragione di quanto detto, una inesistente contraddizione tra l’esclusione
dell’aggravante dell’art.7 L.n.203/91 e la ritenuta sussistenza della minaccia,

Quanto ai requisiti dell’ingiusto profitto in capo all’agente, con altrui danno per
la vittima, a fg. 20 della sentenza impugnata, si precisava in che maniera essi
si erano realizzati, secondo le dichiarazioni del Capone Antonino poste in
relazione con la giurisprudenza di legittimità che anche il ricorrente ha
mostrato di conoscere in tema di estorsione agita all’interno di un rapporto
commerciale, che la Corte di Appello riportava a fg. 17 della sentenza.
Il Capone Antonino, infatti, aveva precisato che le forniture alla ditta del
Trovato, sorte sotto l’egida di quella impossibilità di dire “no” all’imputato da
parte delle persone offese che si è evidenziata, avevano registrato, al di fuori
delle normali prassi commerciali, insoluti, lunghi tempi di pagamento, pretese
di ricevere indebitamente merce in sconto.
Di quest’ultima modalità, il ricorrente non discute, mentre apporta valutazioni
di puro merito, non deducibili in questa sede, per cercare di sminuire il valore
delle altre modalità, pretendendo una impossibile rivisitazione in fatto della
vicenda sotto un profilo anche squisitamente contabile.
Per il che, tutti gli elementi costitutivi del reato estorsivo, della cui esistenza la
difesa ha dubitato, risultano indicati specificamente dalla Corte.
Che, in altro passaggio della decisione, confutava anche l’altro argomento
riproposto dal ricorrente, secondo cui i Capone si sarebbero risolti a rendere
dichiarazioni contro l’imputato non perché avessero avuto un danno economico,
ma perché a ciò spinti dalle forze dell’ordine che li avevano informati delle
indagini nei confronti del Trovato e per evitare di venirne coinvolti.
Semmai, come affermava la Corte, ciò aveva avuto l’effetto, ammesso dalle
vittime, di dare loro il coraggio di recidere il rapporto estorsivo che le
opprimeva, adottando quella strategia di chiusura che provocherà le condotte
sub capi C) e D) contestate al ricorrente.
1.4 Anche con riguardo a questi ultimi reati, la Corte puntualmente evidenziava
gli elementi dimostrativi della responsabilità del ricorrente, con parte dei quali
quest’ultimo non ha inteso confrontarsi, dimostrando anche la genericità dei
suoi argomenti a difesa.

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come si vede fondata su altri elementi dimostrativi.

In particolare, si vuole fare riferimento, in ordine al capo C), a quanto
contenuto a fg. 26 della sentenza impugnata, secondo cui, a tenore delle
dichiarazioni di Capone Francesco, 1″imputato dopo aver saputo dell’intenzione
dei due imprenditori di interrompere le forniture alla ditta da lui gestita ed
intestata al figlio, si era recato presso i locali dei Capone e con atteggiamento
aggressivo aveva affrontato il Francesco, dicendogli anche che se avesse
intrapreso questa strada, avrebbero “chiuso” tutti i suoi riforniti e non soltanto
la S.T..

Atteggiamento ancora più violento aveva assunto l’imputato il successivo 12
novembre, allorquando si era ripresentato presso la ditta dei Capone,
minacciandoli anche con l’aiuto della presenza fisica del coimputato non
ricorrente D’Andrea (cfr. fgg.28,29 della sentenza) e schiaffeggiando anche un
soggetto a nome Saia che si trovava presente e si era intromesso, riuscendo ad
estorcere anche la disponibilità del Capone Antonino a rinunziare ai crediti
verso la S.T.; affermazione, quest’ultima, proferita dalla vittima e rimasta
trascritta nel segnale audio delle riprese delle telecamere, a conferma delle
dichiarazioni del Capone, su cui non vi era contrasto tra l’elaborato peritale e
quello del consulente di parte.
La Corte, inoltre, a fronte di simili risultanze, specificamente non dava peso alla
circostanza, valorizzata in ricorso, che l’imputato avesse provveduto a sanare
parte (e non tutte) le pendenze con la GICAP dei Capone, una volta conosciuto
l’intendimento di costoro di interrompere le forniture.
Ciò, infatti, era avvenuto prima degli interventi minacciosi e non li aveva
impediti, come si evidenziava a fg. 25 della sentenza impugnata.
1.5 Oltre che idonei a giustificare la sussistenza dei reati sub capi C) e D), le
superiori considerazioni consentivano alla Corte di motivare, con coerente
costrutto, il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
per effettuare altra perizia sulle riprese audio-video, del cui diniego il ricorrente
si duole ingiustamente, non soltanto in relazione a quanto appena precisato,
ma anche perché si vorrebbe introdurre, attraverso il motivo di ricorso, una
richiesta dall’esito incerto e, dunque, in astratto, non decisivo in favore della
difesa, non potendosi prevedere quale esito potrebbe avere una nuova perizia.
1.6 Quanto alla deduzione difensiva circa l’unicità del fatto estorsivo, alla luce
di quella stessa giurisprudenza di legittimità citata dal ricorrente ai fgg. 32 e 33
del ricorso proposto nel suo stesso interesse, la Corte di Appello, con
insindacabile giudizio di merito, riteneva la reciproca autonomia tra i due reati,
avuto riguardo alla diverse risoluzioni criminose che li avevano determinati
(anche, qui si osserva, attraverso un comportamento non prevedibile posto in
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Con il che, esplicitamente minacciando di ritorsioni la vittima.

essere dai Capone ad un certo punto del loro rapporto con il Trovato, che
aveva generato le sue reazioni), nonché alle diverse circostanze fattuali in cui
si erano realizzate le condotte.
1.7 La Corte, inoltre, espressamente confutava l’argomentazione difensiva,
ripresa con i ricorsi, della eventuale possibilità di sussumere la condotta di cui
ai capi C) e D) in esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Essa, infatti, nella prospettazione del ricorrente, impone logicamente di ritenere
lecita la condotta fino a quel momento tenuta dal Trovato, mentre, invece, la

sussistente l’estorsione di cui al capo A), in ordine alle modalità contrattuali
illecite del rapporto con l’imputato; che avevano generato le condotte reattive
successive descritte negli altri capi di imputazione, la cui causale era, dunque,
altrettanto illecita.
Le superiori argomentazioni assorbono ogni altra deduzione difensiva volta a
contestare il giudizio di responsabilità del Trovato Giovanni per le tre estorsioni
contestategli.
1.8 E, quanto fin qui detto, serve ad illustrare la poca valenza dimostrativa
delle censure difensive volte a sostenere la mancanza degli elementi costitutivi
del reato di cui all’art. 12 quinquies L. n 356 del 1992 contestato al capo B).
Non fosse altro che per il fatto che tali pesanti ingerenze, anche illecite, del
Trovato Giovanni in questioni pertinenti ai rapporti commerciali della S.T.,
dimostrano che egli era il vero dominus della società intestata al figlio per la
maggior parte (non si trattava, infatti, come sostiene la difesa, di mera
attribuzione di compiti di amministrazione al Trovato Pietro, ma di formale
attribuzione di quote sociali di maggioranza, quelle di minoranza essendo
detenute dal Trischitta Angelo, cognato del Trovato Giovanni perché fratello
della di lui moglie).
Del resto, in proposito, proprio le affermazioni del coniuge dell’imputato,
riportate a fg. 15 della sentenza impugnata – delle quali nei due ricorsi non si è
fatto il minimo cenno – danno contezza di tale assunto, poiché la moglie del
Trovato Giovanni si rivolgeva al marito, con riguardo a forniture della S.T.,
dicendogli che egli era “il padrone di tutto”; precisazione che vanifica ogni
diversa ricostruzione difensiva della vicenda – quale quella che il ricorrente si
fosse limitato a lavorare presso l’azienda – e che si affianca alla constatazione,
tratta da altre intercettazioni, di nuovo dimenticate dal ricorrente, secondo cui
il di lui figlio, presunto amministratore unico, era schiacciato a tal punto
dall’autorità paterna da essere titubante pure su decisioni del tutto marginali
inerenti la gestione aziendale, come la scelta dei soggetti che dovevano

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Corte, come si è visto, spiegava le ragioni che l’avevano portata a ritenere

dedicarsi al volantinaggio pubblicitario voluto dal Trovato Giovanni (fg. 15 della
sentenza).
Rispetto alla contestazione di reato in esame, la Corte di Appello aggiungeva
che il Trovato aveva uno specifico interesse a schermare il suo patrimonio,
dovuto al fatto di avere subito dei procedimenti ablativi in sede di misure di
prevenzione (come il sequestro della società Sicilmarket) e di non poter
dimostrare alcuna compatibilità tra reddito ed attività economiche, cosicché
definiva un vero e proprio escamotage quello di inserire nella compagine

monitorate attività commerciali della S.T..
D’altra parte, sulla sussistenza di tale elemento costitutivo del reato l’interesse dell’agente ad eludere le misure di prevenzione, sul quale le difese
hanno sostanzialmente sorvolato – basti dire che all’epoca dei fatti, come
emerge dalle due sentenze di merito, il Trovato Giovanni si trovava già
sottoposto a misura di prevenzione e risultava nullatenente, sicché ogni attività
economica a lui riconducibile sarebbe presumibilmente finita sotto sospetto.
1.9 Quanto ai motivi di ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio, tutti i
perspicui riferimenti alla caratura criminale del ricorrente, ed al suo ruolo
protagonistico nella vicenda, giustificano la fissazione della pena in misura
(peraltro marginalmente) superiore al minimo edittale, nonché gli aumenti di
pena per la continuazione ed il diniego della concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
Dovendosi rammentare che, da una parte, la Corte di cassazione ritiene, con
argomenti condivisi dal Collegio, che in tema di determinazione della pena nel
reato continuato, non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti
relativi ai reati satellite, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della
quantificazione della pena base (Sez.5 n.25751 de105/02/2015, Bornice; Sez.2,
n.49007 del 16/09/2014, lussi).
Dall’altra, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a
determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che
attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di
esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti
medesime. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv
204768).
Infine, in tutta la parte motivazionale della sentenza impugnata dedicata al
trattamento sanzionatorio (fgg. 30-32), si rinvengono le ragioni per le quali la
Corte ha ritenuto di aumentare la pena per effetto della recidiva.
12

sociale anche il cognato Trischitta, mai evidenziatosi in nessun momento delle

Non in modo automatico, come sostiene il ricorrente, ma in ragione della
“caratura criminale” del ricorrente, delle modalità della condotta, del ruolo di
dominus delle condotte illecite, “portate avanti con non comune determinazione
ed arroganza”, tanto da essere definito dalle vittime come “un pazzo, capace di
tutto…, privo di freni nella sua aggressività”.
Tali dati convincevano la Corte della “attuale pericolosità sociale” del Trovato
Giovanni, rispetto alla quale era consequenziale irrogare l’aumento per la
recidiva, siccome supportato da quanto precisato.

sussistenza del reato di intestazione fittizia di beni di cui al capo B) della
rubrica, servono a confutare ed assorbire le censure proposte dai ricorrenti
Trovato Pietro e Trischitta Angelo.
Infatti, esse tendono a rappresentare l’insussistenza degli elementi costitutivi
del reato per ragioni sovrapponibili a quelle addotte dal ricorrente Trovato
Giovanni e che la Corte di Appello, per quanto fin qui detto, svalorizzava con
argomentazioni immuni da censure logico-giuridiche.
Dovendosi ulteriormente sottolineare l’assenza di rilievo di ogni vicenda
successiva alla data di consumazione del reato, fatta coincidere con la
costituzione della società S.T. in capo al Trovato Pietro ed al Trischitta.
Mentre, le intercettazioni citate nel ricorso del Trovato non sono quelle sulle
quali si è fondato il giudizio della Corte.
Allo stesso modo, irrilevanti e di puro merito risultano le precisazioni del
Trischitta sul fatto che egli vantasse una capacità economica tale da
consentirgli di sborsare la somma che gli era servita per entrare quale socio di
minoranza nella S.T,; dal momento che la Corte specificava come egli dovesse
essere considerato un prestanome del cognato, così come lo era il Trovato
Pietro, non avendo mai assunto alcun ruolo all’interno della società se non
quello meramente formale appena detto, rimanendo assente in qualunque
frangente della vita quotidiana della S.T., circostanza che la difesa non ha
potuto smentire nei gradi di merito con allegazioni contrarie.
Infine, a fronte di un reato a forma libera come quello contestato, l’aver
attribuito una qualunque utilità al figlio – nel caso specifico la titolarità della
società – da parte del Trovato Giovanni, integra oggettivamente la fattispecie
contestata, sia per il dante che per l’avente causa consapevoli.
A nulla valendo, come bene precisava la Corte di Appello a fg. 14 della
sentenza, che i beni avrebbero potuto essere appresi in sede di misure di
prevenzione, dal momento che, qui si osseerva, la norma incriminatrice
prevede che il soggetto passivo dell’intestazione fittizia possa essere chiunque
“altro” rispetto al dante causa, ivi compresi, dunque, i suoi familiari, i quali,
13

2. Passando oltre, tutte le argomentazioni sviluppate con riguardo alla

peraltro, costituiscono, a motivo della loro affidabilità per l’agente, i più
frequenti destinatari degli intenti dissimulatori di quest’ultimo, come insegna la
prassi giudiziaria.
2.1 Le residue censure dei ricorrenti in ordine al trattamento sanzionatorio
sono del pari infondate, avendo la Corte giustificato la mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche al Trovato Pietro, avuto riguardo al
precedente penale a suo carico ed alle modalità della condotta che lo vedeva
come (co)fruitore dei benefici economici ricavati dalla S.T., fissando la pena in

gravità della condotta comunque posta in essere.
I ricorsi di Trovato Pietro e Trischitta Angelo devono, pertanto, essere rigettati.
3. Anche il ricorso di Maiorana Mauro si rivela infondato.
3.1 Quanto al primo motivo, inerente l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei
fratelli Capone, si rinvia a quanto detto a proposito dell’analoga censura
dedotta da Trovato Giovanni.
2.1 Quanto al secondo motivo, il ricorrente oblitera del tutto la pur cospicua
parte della decisione della Corte volta a rappresentare, con dovizia di citazioni
anche di elementi oggettivi tratti da conversazioni intercettate, come il
Maiorana fosse intervenuto nella vicenda estorsiva iniziata a decorrere
dall’aprile del 2012, anche in epoca successiva al maggio di quell’anno, anche
dopo, cioè, che egli aveva smesso di esercitare quel ruolo di mediazione
commerciale tra l’impresa dei Capone e quella del Trovato Giovanni.
Ponendosi a fianco di quest’ultimo, e non nell’interesse delle vittime, come
sostenuto in ricorso, per la perpetrazione del disegno criminoso del Trovato di
lucrare in danno delle parti offese, circostanza che esclude ogni rilevanza
giuridica, a mente di quanto previsto dall’art. 629 cod. pen. (“per sé o per
altri”), alla eventualità che il Maiorana non avesse personalmente avuto
vantaggi economici dall’intera operazione, tenuto conto che tale ingiusto
profitto era stato percepito dal suo concorrente.
Fra tutte le specificazioni della Corte, ignorate dal ricorrente, ciò è
rappresentato emblematicamente dalla conversazione tra i due imputati
dell’agosto del 2012 (fg. 24 della sentenza impugnata), nella quale il Maiorana
mostrava di gestire insieme al Trovato, tra le tante cose, anche la cadenza dei
pagamenti da questi dovuti alla ditta dei Capone, suggerendogli di postergarli.
D’altra parte, la Corte citava come altrettanto emblematica della collocazione
del Maiorana accanto al Trovato e non alle persone offese, il fatto che costoro
avessero troncato anche con lui i rapporti commerciali in contemporanea con
l’analoga deliberazione assunta nei confronti del Trovato.

14

misura di poco superiore al minimo edittale per il Trischitta avuto riguardo alla

Con il che, la Corte d’Appello dava conto, superandoli, dei differenti rilievi
espressi dalla Corte di cassazione in sede cautelare, valorizzati dalla difesa, che
non aveva però potuto tenuto conto di siffatti elementi di merito emersi dalla
successiva istruttoria dibattimentale, invece decisivi ai fini del giudizio di
responsabilità dell’imputato, quale concorrente del Trovato; attraverso la sua
consapevole opera volta alla concreta perpetrazione della pretesa estorsiva di
quest’ultimo nel primo periodo in cui si era posto quale intermediario nelle
operazioni commerciali e, poi, dimostrando di essere al fianco del Trovato,

rivenienti proprio dalle relazioni commerciali con i fratelli Capone, che
rivelavano la sua piena consapevolezza del disegno criminoso del coimputato e
la sua adesione ad esso.
Tali argomentazioni assorbono ogni altra censura difensiva di diverso segno,
tendente, peraltro, ad una rivalutazione nel merito, non consentita in questa
sede, di alcuni, e solo di alcuni, elementi di fatto citati in ricorso.
Ne rimane travolta, dalla prova del concorso del Maiorana nella perpetrazione
dell’estorsione da parte del Trovato, la possibilità di una diversa qualificazione
della sua condotta ai sensi dell’art. 610 cod. pen., ancora presupponente una
supposta cessazione delle sue interferenze nella vicenda al maggio del 2012
prima di ogni sviluppo estorsivo, evenienza invece esclusa dalla Corte di
Appello con ineccepibile motivazione esente da qualunque critica.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 05.05.2016.
Il consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

imAkAnmi

Il Preside te
Antonioyre tipino

quale suo uomo di fiducia, nel gestirne gli interessi ed, in particolare, quelli

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