Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22424 del 19/05/2015

Penale Sent. Sez. 4 Num. 22424 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 706/2014 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
27/02/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udito il Procuratore Generale in persona della Dott.ssa MARILIA DI NARDO
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile il difensore Avv. ALESSANDRA CASARI del Foro di
Bologna che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21/6/2011 il Tribunale di Rimini assolveva
A.A. dai reati di cui agli artt. 610 e 582, comma primo, cod. pen. a lui
ascritti rispettivamente: a) per aver aggredito con violenza la moglie
S.S., impedendole di allontanarsi dall’abitazione per andare a
comprare le sigarette e successivamente strappandole il telefono di mano per
impedirle di telefonare al 112; b) per aver in tale occasione cagionato alla
predetta, colpendola con un pugno al volto, lesioni personali guaribili in giorni
otto: fatti commessi il 28/1/2007.

1

Data Udienza: 19/05/2015

Secondo la versione dei fatti fornita dalla S.S., costituitasi parte civile, la
stessa, per sottrarsi al comportamento offensivo e aggressivo del coniuge,
decideva di allontanarsi da casa per andare ad acquistare delle sigarette ed
entrava nella vettura 4e( in uso, parcheggiata sul viottolo di accesso alla casa; il
A.A. la seguiva e, dopo che era entrata nella vettura, le teneva aperta la
portiera, dicendo che non avrebbe potuto allontanarsi prima di aver terminato la
discussione con lui; la S.S. accendeva il motore della vettura, rimanendo
ferma sul posto; a quel punto il A.A. la colpiva con un pugno al volto e le

chiamare il 112.
L’imputato sosteneva invece che la moglie aveva tentato di investirlo con
l’auto e per questo si era infilato dentro il veicolo per prendere le chiavi,
colpendo involontariamente la donna.
Il primo giudice riteneva di non poter fare completo affidamento sulla
deposizione della parte offesa, in ragione di alcune discrasie tra le dichiarazioni
rese all’operatore del 112 e quelle successivamente rese nel corso della
deposizione dibattimentale. Assolveva, pertanto, l’imputato da entrambi i reati
ascrittigli, perché il fatto non costituisce reato, ritenendo insufficiente la prova
della contestata violenza privata e della volontarietà delle lesioni cagionate alla
donna.

2. In parziale accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile, la Corte
d’appello di Bologna, con sentenza del 27/2/2014 dichiarava, ai soli fini civili, la
responsabilità del A.A. nei confronti della parte civile in ordine al reato di
lesioni colpose e condannava conseguentemente il predetto al risarcimento del
danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
Reputava, infatti, la Corte che, pur accedendo alla versione dei fatti resa
dall’imputato, da questa emergeva che le lesioni subite dalla donna,
documentalmente riscontrate in atti, erano state cagionate dall’uomo con colpa e
in assenza di qualsivoglia esimente: infatti – osservava il collegio – se il tentativo
di investimento vi era stato, per sfuggirne sarebbe stato sufficiente all’imputato
allontanarsi dai luoghi ed eventualmente chiamare le forze dell’ordine, non
sussistendo invece necessità alcuna di entrare nel veicolo per disinnescare il
quadro e prendere le chiavi; inoltre, decidendo di operare nel modo descritto, il
A.A. avrebbe dovuto evitare di cagionare lesioni alla donna, agendo con le
dovute necessarie cautele.

3.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il A.A.,

personalmente, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione.

2

t endeva le chiavi della macchina e la borsa; la S.S. riusciva alla fine a

Lamenta che la qualificazione operata dalla Corte è frutto di forzature e
inesattezze nella ricostruzione della vicenda, in particolare per quel che attiene
all’elemento psicologico del reato.
Sostiene, infatti, che essa è basata sull’erroneo presupposto che la condotta
dell’imputato abbia avuto luogo in un momento successivo al tentato
investimento, ciò invece non potendosi desumere in alcun modo dagli atti
processuali, dai quali si evincerebbe al contrario che egli era stato costretto ad
agire in quel modo durante il tentativo di investimento, mentre si trovava

alternativa per salvare sé stesso dal pericolo attuale e concreto di un danno
grave alla persona.
Avuto riguardo a tale più corretta ricostruzione del contesto fattuale andava
esclusa, secondo il ricorrente, la prevedibilità dell’evento nonché l’esistenza
stessa di un rapporto causale tra l’azione e il danno e avrebbero dovuto piuttosto
ravvisarsi i presupposti dell’esimente di cui all’art. 54 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è manifestamente infondato.
Le argomentazioni che ne sono a fondamento si risolvono infatti in una serie
di censure in punto di fatto, implicanti una ricostruzione degli eventi diversa da
quella fatta propria dai giudici di merito.
Come tali esse sono inammissibili in questa sede.
Occorre al riguardo rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di
merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter
logico seguito (v. ex plurimis Sez. 2, n. 38803 del 01/10/2008, Geminiani, non
mass. sul punto). Quindi non possono avere rilevanza le censure che si limitano
ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il
sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di
legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non
può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite.
La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la
migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Sez. 6, n. 36546

3

incastrato tra lo sportello e il corpo della vettura in movimento, non avendo altra

del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007,
Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716).
È poi appena il caso di soggiungere che, nel contesto fattuale accertato dal
giudice a quo, sulla base di una lineare e coerente valutazione degli elementi di
prova, come tale insindacabile, destituito di fondamento si appalesa il richiamo
alla scriminante di cui all’art. 54 cod. pen. (stato di necessità), questa
presupponendo che il pericolo da cui l’agente ha inteso salvare se stesso non sia
stata volontariamente da lui stesso causato, né fosse altrimenti evitabile,

di specie alla luce della accertata possibilità dell’imputato di sfuggire altrimenti al
pericolo medesimo nei modi indicati nella sentenza impugnata.

5. Ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso deve essere
pertanto dichiarato inammissibile.
Ne discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché, non essendovi motivo di ritenere
che esso abbia «proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità»

(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186), della

somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di
sanzione pecuniaria.
Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute per il
presente giudizio dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e a quello della somma di C 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile,
S.S., nel presente giudizio, liquidate in euro 2.500,00, oltre
accessori come per legge.
Così deciso il 19/5/2015

condizioni delle quali quantomeno l’ultima non è certamente ravvisabile nel caso

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