Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22422 del 27/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 22422 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: ARIOLLI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AGLIERI RINELLA FRANCESCO N. IL 07/01/1991
avverso la sentenza n. 4353/2014 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 24/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. d.,,,z;
che ha concluso per ,e er,m~e22,,kepti; Ar„«..40

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. &-v.Pegm, C2,254

7r.e.

deP

,

Data Udienza: 27/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30/7/2014 il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Palermo dichiarava Aglieri Rinella Francesco e Bono Bernardo
colpevoli dei delitti di tentata estorsione aggravata da più persone riunite
(capo A) e lesioni aggravate in concorso (capo B), nonché il solo Bono
Bernardo del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, condannandoli, con la

giorni dieci di reclusione ed euro 3.200,00 di multa, il secondo, tenuto conto
della recidiva contestata, ad anni cinque mesi sei giorni venti di reclusione ed
euro 5.000,00 di multa, oltre alle pene accessorie di legge e in solido al
risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite Lombardo
Gianfranco, Lombardo Lorena, Tay Ben Henia Mhanned Walid e Mancuso
Giuseppe.
2. Avverso

la

predetta

decisione

gli

imputati

proponevano

impugnazione. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 24/4/2015, in
parziale riforma della sentenza impugnata, assolveva Bono Bernardo dai reati
di tentata estorsione e lesioni per non aver commesso il fatto, escludendo le
aggravanti contestate riguardo le lesioni (vincolo teleologico e gravità della
lesione cagionata) e riducendo la pena ad anni uno di reclusione. Al contempo
e per l’effetto, eliminava le pene accessorie e revocava le statuizioni civili
pronunziate nei suoi confronti; riduceva, altresì, ad anni tre mesi due di
reclusione ed euro 3.000,00 di multa la pena inflitta all’Aglieri Rinella
Francesco. Sull’appello delle parti civili (Lombardo Gianfranco, Lombardo
Lorena, Tay Ben Nenia Mhamed Walid e Mancuso Giuseppe) liquidava in
favore di Lombardo Gianfranco e Lombardo Lorena una provvisionale di euro
5.000,00 ciascuno. Dichiarava inammissibili gli appelli proposti dalle parti civili
Tay Ben Nenia Mhamed Walid e Mancuso Giuseppe. Condannava l’Aglieri alle
spese di costituzione e lite del grado sostenute dalle parti civili Lombardo
Gianfranco e Lombardo Lorena, confermando nel resto la sentenza di primo
grado.
3. Ricorre per cassazione il difensore di Aglieri Rinella Francesco,
nell’interesse dell’imputato, deducendo: I) “Violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. ed
all’art. 603 codice di rito”. In particolare, il ricorrente lamenta la mancata
acquisizione da parte del giudice di prime cure dell’integrazione probatoria
richiesta, nella specie l’esame dei due denunzianti Tay Ben Nenia Mhanned

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diminuente per il rito abbreviato, il primo alla pena di anni tre mesi cinque e

Walid e Lombardo Gianfranco, sul rilievo che in un primo momento le
dichiarazioni da costoro rese sono state convogliate in verbali tra loro del tutto
coincidenti, salvo poi in tempo successivo acquisire un secondo verbale,
trasmesso dalla polizia giudiziaria, che sarebbe stato redatto in quel
medesimo contesto ed inopinatamente sostituito con quello che aveva
sollevato le perplessità difensive. Peraltro, la necessità dell’integrazione
probatoria richiesta poggiava anche sull’esigenza di acquisire al giudizio dati

disinteressate fonti processuali. Parimenti censurabile era anche l’ordinanza
con cui la Corte di appello aveva rigettato l’istanza di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale volta ad ottenere l’esame proprio di quelle fonti
di prova vanamente chiesto in

prime cure; II) “Violazione dell’art. 606,

comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 80, 81, 538, 541 e 546
cod. proc. pen”. In particolare, il ricorrente precisa di avere dedotto con i
motivi di appello che il Giudice dell’udienza preliminare non avrebbe dovuto
ammettere la costituzione di parte civile di Mancuso Giuseppe e Tay Ben
Henia Mhamed Walid e di averne pertanto chiesto l’esclusione con la revoca
delle statuizioni civili; che la Corte d’appello ha accolto il motivo ma, pur
dando atto in motivazione che la costituzione non poteva ritenersi valida ed
efficace e che dovevano essere revocate le statuizioni civili emesse dal primo
giudice in favore del Mancuso e del Tay Ben Mhamed Walid, ha omesso di
darne contezza nel dispositivo, ove è stata dichiarata soltanto l’inammissibilità
delle impugnazioni essendo state proposte da soggetti non legittimati; che,
pertanto, si è determinato un vizio di nullità della sentenza per
contraddittorietà tra motivazione e dispositivo (da risolversi in favore della
prima), vizio tuttavia non emendabile con la procedura di correzione degli
errori materiali, preclusa nel caso di modifiche essenziali di una decisione
presa, né con l’applicazione del principio della prevalenza della motivazione
sul dispositivo; III) “Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c), d) ed e)
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, 546, comma 1 lett. e), 192 e 530
cod. proc. pen. e agli artt. 110, 56 e 629, comma 2, 582 e 585 cod. pen”. Il
ricorrente censura la decisione impugnata sotto il profilo motivazionale per
non avere la Corte territoriale adeguatamente valutato le allegazioni ed i
rilievi difensivi in ordine alla corretta ricostruzione delle vicende contestate
che avrebbe dovuto portare all’assoluzione dell’imputato, travisando anche le
prove acquisite (con particolare riguardo all’univocità ed attendibilità delle
propalazioni dei testi ed alla certa individuazione dell’imputato quale autore

3

chiari e non contrastanti con quanto emergente dal portato di altre,

delle lesioni di cui al capo b della rubrica) ed omettendo di valutare, in
relazione alla posizione del ricorrente, gli esiti favorevoli del proscioglimento
del coimputato. Altri errores in iudicando cui è incorsa la Corte territoriale
sono ravvisabili nell’erronea qualificazione giuridica del fatto di cui al capo a),
da ricondursi nell’ipotesi della minaccia o della tentata violenza privata e
nell’avere escluso che il comportamento dell’imputato, susseguente
all’asserita richiesta di denaro, integrasse la desistenza volontaria; IV)

relazione agli artt. 62 bis, 62 nn. 2 e 3, 114, 132, 133, 629 e 163 cod. pen”.
Si censura la decisione impugnata sia nella parte in cui ha ritenuto di fondare
l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di
tentata estorsione sulle dichiarazioni della persona offesa Lombardo Lorena,
sia in punto di sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite
considerato che il coimputato era distante al momento in cui l’Aglieri avrebbe
proferito la richiesta estorsiva ed è stato poi assolto dall’ipotesi di concorso
nel reato. Apodittica e contraddittoria, infine, sarebbe la motivazione che ha
portato i Giudici di appello ad escludere in favore dell’imputato le invocate
circostanze attenuanti generiche; del tutto omessa invece è la motivazione
sulla richiesta di concessione delle attenuanti comuni di cui all’artt. 62 n. 2 e
n. 3 cod. pen.; V) “Violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e) cod. proc.
pen. in relazione agli artt. 125, 546 e 539 cod. proc. pen”. In particolare, la
Corte d’appello ha assegnato alla parti civili una provvisionale pur avendo al
contempo: a) rilevato la carenza in atti di elementi adeguati per procedere
alla liquidazione dei danni; b) escluso la sussistenza dei presupposti per la
liquidazione del danno patrimoniale invocato dalla parte civile Lombardo, non
essendo stata specificatamente contestata all’imputato nel presente
procedimento la condotta di danneggiamento; c) rilevato, altresì, come le
scarne indicazioni dei referti medici non consentano la compiuta liquidazione
dei danni patrimoniali patiti dal Lombardo Gianfranco. Il riconoscimento della
provvisionale si pone, pertanto, sul piano motivazionale, in aperta
contraddizione con quanto dalla stessa Corte precisato in termini di assenza di
validi elementi quantificativi di danno ed è comunque illegittimo perché
avvenuto in carenza di una specifica richiesta della parte civile. Infine, non
rientrando l’importo nell’ambito e nei limiti del danno prevedibile, la Corte
d’appello avrebbe dovuto spiegare le ragioni di una tale elevata
quantificazione con apposita motivazione, del tutto omessa nel caso di specie.

4

“Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
1.1. L’avvenuta acquisizione dell’originale della denunzia sporta dal
Lombardo e l’accertamento che ad un errore materiale, nella specie di
stampa, si doveva la coincidenza delle dichiarazioni da costui rilasciate con
quelle di altra persona offesa, rendeva certamente superfluo l’esame dei due

formazione della prova.
1.2. Né la richiesta di sentire, in sede di integrazione probatoria ex art.
438, comma 5, cod. proc. pen., le persone offese può di per sé ammettersi
sul rilievo, peraltro generico, della mancanza di univocità del quadro
probatorio stante il contrasto con altre fonti di causa, posto che la richiesta di
giudizio abbreviato condizionata ad un’integrazione probatoria, quando ha ad
oggetto la rinnovazione dell’esame di una persona che ha già reso
dichiarazioni in fase di indagini, deve contenere, a pena di improponibilità, la
specificazione dei temi e delle circostanze di fatto da verificare, che debbono
differenziarsi da quelli oggetto delle informazioni già rese, in quanto la
formulazione testuale del quinto comma dell’art. 438 cod. proc. pen., postula
che l’attività istruttoria abbia carattere integrativo, ossia vada a completare gli
elementi informativi acquisiti, in quanto parziali o insufficienti e non, invece,
soltanto a rinnovarli nel contraddittorio delle parti (Sez. 1, sentenza n. 50891
del 13/11/2013, Rv. 257879). Altrimenti finendo per corrispondere
l’integrazione richiesta, contrariamente anche ai principi di economia
processuale che la caratterizzano, ad esigenze di pieno “contraddittorio” sulla
prova, da soddisfarsi con il ricorso al rito dibattimentale e non speciale.
1.3. Posta, dunque, la non necessarietà dell’integrazione probatoria
richiesta, corretta risulta la decisione della Corte territoriale che ha respinto
l’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale fondata proprio
sull’esigenza di ammettere le prove che avevano formato oggetto dell’istanza
integrativa disattesa dal primo giudice. In tema di ricorso per cassazione, può
essere censurata la mancata rinnovazione in appello
dell’istruttoria dibattimentale, qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato
motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste
illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti
di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate
provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove

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denunzianti, potendosi escludere qualsiasi patologia nel processo di

in appello (fattispecie in tema di giudizio abbreviato. Sez. 6, sentenza n. 1400
del 22/10/2014, Rv. 261799).
2. Infondato è l’ulteriore motivo di ricorso relativo alla mancata
statuizione nel dispositivo della sentenza impugnata dell’accoglimento del
motivo di appello relativo alla revoca delle statuizioni civili disposte dal primo
giudice in favore di Tay Ben Nenia Mhamed Walid e Mancuso Giuseppe, stante
l’assenza di una valida costituzione di parte civile.

conseguente annullamento con rinvio – posto che tale sanzione, ai sensi
dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., consegue soltanto ed espressamente
ai casi in cui manchi o sia incompleto nei suoi elementi essenziali ovvero
manchi la sottoscrizione del giudice o la motivazione. Inoltre, questa Corte ha
stabilito che il paventato contrasto tra dispositivo e motivazione non
determina nullità della sentenza, e può essere risolto anche con la valutazione
dell’eventuale pregnanza degli elementi, tratti dalla motivazione, significativi
della volontà decisoria del giudice (fattispecie in cui il giudice di appello ha
riconosciuto all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena,
omesso nel dispositivo della sentenza di primo grado e chiaramente enunciato
in motivazione. Cfr. Sez. 5, sentenza n. 42899 del 24/6/2014, Rv. 260788).
2.2. Nel caso di specie, dalla lettura della motivazione della sentenza
impugnata (pagina 4) emerge chiaramente come la Corte d’appello abbia
disposto la revoca delle statuizioni civili emesse dal primo giudice in favore
delle suddette parti civili, sul rilievo che non poteva ritenersi valida la loro
costituzione, stante il difetto di legittimazione del difensore nominato sostituto
processuale che aveva presentato in udienza l’atto di costituzione in assenza
di una procura speciale al medesimo conferita. Per tale ragione, anche gli
appelli, essendo stati proposti da soggetti non legittimati, sono stati dichiarati
inammissibili ai sensi dell’art. 591, comma 1 lett. a), cod. proc. pen., e di ciò
la Corte territoriale dà espressamente atto nel dispositivo. La motivazione,
pertanto, viene ad integrare sul punto il dispositivo, dando giuridico significato
alla declaratoria di inammissibilità, della quale costituisce l’inscindibile
presupposto.
2.3. Ne consegue, quindi, che la dichiarazione di inammissibilità degli
appelli pronunziata nel dispositivo della sentenza impugnata deve intendersi
necessariamente comprensiva della revoca delle statuizioni civili disposte dal
primo giudice in favore dei predetti Tay Ben Henia Mhamed Walid e Mancuso
Giuseppe.

2.1. Non sussiste, innanzitutto, la paventata nullità della sentenza – con

3. Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso con cui si
censura la decisione impugnata in ordine alla valutazione delle prove che
hanno condotto i giudici di merito all’affermazione della penale responsabilità
dell’imputato. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte nel
giudizio di legittimità rimane comunque esclusa la possibilità di una nuova
valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal
giudice di merito (Sez. 2, sentenza n. 31978 del 14/06/2006, Rv. 234910). La

legge n. 46 del 2006, che per la deduzione dei vizi della motivazione consente
il riferimento ad atti del processo specificamente indicati, non ha mutato la
natura del sindacato di legittimità, che non può mai risolversi nella
rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto e che, invece, deve limitarsi alla
mera constatazione dell’eventuale travisamento della prova, che consiste
nell’utilizzazione di una prova inesistente o nell’utilizzazione di un risultato di
prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettività, da quello effettivo
(Sez. 6, sentenza n. 33435 del 4/5/2006, Rv. 234364). Nel caso in esame,
viene prospettata una valutazione delle prove diversa e più favorevole al
ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza di primo grado e confermata
dalla sentenza di appello. In sostanza si ripropongono questioni di mero fatto
che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a
fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi logici; viceversa dalla
lettura della sentenza della Corte territoriale non emergono, nella valutazione
delle prove, evidenti illogicità, risultando, invece, l’esistenza di un logico
apparato argomentativo sulla base del quale si è pervenuti alla conferma della
sentenza di primo grado con riferimento alla responsabilità dell’imputato in
ordine al fatto ascrittogli; in tal senso si è fatto riferimento alle dichiarazioni
delle persone offese la cui attendibilità è stata vagliata dai giudici di merito
alla luce del complesso delle prove acquisite, tra cui anche le dichiarazioni
rese da altre persone informate sui fatti ex art. 391

bis cod. proc. pen. E la

sussistenza di precisi e convergenti elementi di responsabilità nei confronti del
ricorrente è stata direttamente apprezzata dalla Corte territoriale facendo
riferimento ad elementi di carattere individualizzante (che hanno consentito
anche di superare le obiezioni mosse in ragione del suo stato di salute), di tal
ché nessun rilievo ai fini del coinvolgimento dell’imputato nei fatti contestati
assume il disposto proscioglimento del coimputato. Tutto ciò preclude
qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di legittimità (Sez. Un. Sentenza

7

novella dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera dell’art. 8

n. 12 del 31/5/2000, Rv. 216260; Sez. Un., sentenza n. 47289 del 24.9.2003,
Rv. 226074).
3.2. Manifestamente infondata sono anche le censure in punto di
corretta qualificazione giuridica del fatto.
3.2.1 Quanto all’invocata desistenza volontaria, la Corte territoriale ha
precisato che non vi è prova che l’imputato abbia desistito dal proposito
criminoso, peraltro manifestato in due occasioni e seguito dalla devastazione

3.2.2. Analogamente non è dato ravvisare contraddizione alcuna
nell’apparato motivazionale delle sentenza impugnata con riguardo alla
ritenuta idoneità della minaccia, considerato che dalla ricostruzione della
Corte territoriale risulta che le vittime, contrariamente a quanto prospettato
dal ricorrente secondo cui “non avrebbero neppure dato peso alla richiesta”,
tentarono soltanto di sottrarsi alla richiesta estorsiva continuando a svolgere il
proprio lavoro e dando disposizioni per continuare a servire le bevande
alcoliche al gruppo di giovani, proprio al fine di rabbonirli. Peraltro, in punto di
efficienza causale della minaccia, la Corte territoriale ben evidenzia come la
stessa fosse idonea a coartare la volontà del soggetto passivo in relazione alle
circostanze concrete e alle condizioni in cui è stata posta in essere, in ragione
delle condizioni ambientali, essendosi i due correi nella prima occasione
presentatesi come facenti parte di un gruppo di sodali che erano intenti a
consumare le bevande alcoliche, così rafforzando la provenienza di quanto
preteso, e per le modalità minacciose della richiesta di denaro del tutto
svincolata da una giustificazione legittima. La Corte d’appello risulta, quindi,
avere fatto corretta applicazione dei principi enunciati sul tema da questa
Corte secondo cui la minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad
essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita
ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a
coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze
concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e
alle condizioni ambientali in cui questa opera (ex multis Sez. 2, sentenza n.
19724 del 20/5/2010, Rv. 247117). Va, quindi, escluso che nella condotta
dell’imputato fossero ravvisabili i diversi estremi del delitto di violenza privata
o di mera minaccia.
3.2.3. Sussiste, poi, l’aggravante delle persone riunite, a nulla valendo
in punto di esclusione l’avvenuto proscioglimento del coimputato, considerato
che la prima richiesta estorsiva, per come precisato anche dal giudice di primo

del locale allorché i gestori rifiutarono implicitamente di consegnare il denaro.

grado, venne avanzata alla Lombardo da due individui, uno dei quali da
identificarsi nel ricorrente in ragione delle caratteristiche fisiche

(“uno

deambulante con le stampelle..”) ed altro (“uno molto robusto’) certamente
non corrispondente al Bono, ma ad altro soggetto non ancora identificato, i
quali l’avevano subito bloccata affermando che non volevano da bere,
facendole chiaramente intendere che pretendevano del denaro, come
univocamente inteso dal fatto che strofinarono col pollice l’indice. L’avvenuto

processuale sfornito di rilievo ai fini dell’integrazione della circostanza in
esame.
3.3. Manifestamente infondata è la censura in punto di mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche. Difatti il Giudice di appello
ha ritenuto adeguata la pena determinata dal giudice di primo grado
considerandola bene perequata rispetto al reale disvalore del fatto, rilevando
di non potere concedere le attenuanti generiche alla luce dell’assenza di
elementi di segno positivo valutabili in tal senso, nonché in considerazione
della pericolosità sociale dell’imputato valutata sulla base delle modalità della
condotta, al ruolo attivo svolto nella perpetrazione dei fatti criminosi e alla
subalternità degli altri correi. E sul punto, conformemente all’orientamento
espresso più volte da questa Corte, deve rilevarsi che la sussistenza di
circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di
un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata
sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa
motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata
in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per
ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez.
6, sentenza n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419; Sez. 2, sentenza n. 3609
del 18/1/2011, Rv. 249163). Ed ancora, nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda
in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da
tale valutazione (Sez. 6, sentenza n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244).
3.4. Parimenti infondata è l’ulteriore censura con la quale si è dedotta la
mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato in ordine alla omessa
concessione delle attenuanti comuni di cui all’art. 62 n. 2 e n. 3 cod. pen., pur
invocata con l’atto di appello. Invero, nell’atto di appello il difensore si è

proscioglimento del coimputato Bono Bernaptrdo è, pertanto, un fatto

limitato esclusivamente a chiederne la concessione nella titolazione dei motivi
ma nulla è stato poi argomentato sul punto, con conseguente inammissibilità
del motivo dedotto in tale sede e successiva preclusione a riproporlo in sede
di legittimità. In tema d’impugnazioni è, infatti, inammissibile, per carenza
d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che
non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile

“ab

origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della

multis Sez. 6, sentenza n. 47722 del 6/10/2015, Rv. 265878).
4. Infondato è, infine, l’ultimo motivo di ricorso con cui si censura la
decisione impugnata riguardo alla disposta provvisionale, nella misura di euro
5.000,00 ciascuna, in favore delle parti civili Lombardo Gianfranco e
Lombardo Lorena. Innanzitutto va evidenziato che – contrariamente a quanto
dedotto dal ricorrente – entrambi i procuratori speciali delle persone
danneggiate, appellanti, hanno nella comparsa conclusionale chiesto il
riconoscimento della provvisionale. La determinazione del quantum assegnato
risulta poi inferiore al petitum rispettivamente formulato dalle parti civili (euro
10.000,00 per danni patrimoniali e non patrimoniali per Lombardo Gianfranco
ed euro 35.000,00 per Lombardo Lorena a titolo di risarcimento per danni
patrimoniali e non patrimoniali). Infine, sono proprio le ragioni indicate dal
ricorrente che hanno determinato la Corte d’appello, nell’ambito di un giudizio
sommario ed avente natura provvisoria, a liquidare a titolo di provvisionale un
importo di gran lunga inferiore a quello chiesto, imputabile per Lombardo
Lorena al danno non patrimoniale sofferto e per il Lombardo Gianfranco quale
quota parte di un danno non patrimoniale certamente presente (ascrivibile
anche al delitto di lesioni) ma da quantificarsi esattamente nella separata
sede civile. Pertanto, nessuna violazione di legge è ravvisabile nelle statuizioni
civili assunte dal giudice di

seconde cure,

il quale ha fatto corretta

applicazione dei principi stabiliti in tema di liquidazione del danno nel processo
penale. Invero, la somma allo stato riconosciuta appare notoriamente e
logicamente idonea, in ragione dei reati commessi (di particolare gravità) e
delle conseguenze lesive anche del diritto alla salute del Lombardo
Gianfranco, a rientrare nell’ambito del danno prevedibile (Sez. 6, sentenza n.
7092 del 1/4/1997, Rv. 208234, conforme Sez. 6, sentenza n. 49877
dell’11/11/2009, Rv. 245701).

10

doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (ex

5. Va, pertanto, rigettato il ricorso. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.,
consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del

Così deciso il 27/04/2016

procedimento.

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