Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 224 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 224 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da Micalizzi Giovanni, nato a Messina il 29.8.1976, e
da Zaccone Francesco, nato a Messina 1’1.3.1985;
avverso l’ordinanza emessa il 20 aprile 2012 dal tribunale del riesame di
Messina;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’Il dicembre 2012 la
relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Messina confermò
l’ordinanza emessa il 28 marzo 2012 dal Gip del tribunale di Messina, che
aveva applicato a Micalizzi Giovanni e Zaccone Francesco la misura cautelare
degli arresti domiciliari in relazione ai reati di acquisto e detenzione a fine di
spaccio di cocaina.
Micalizzi Giovanni, a mezzo dell’avv. Francesco Traclò, propone ricorso
per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 273 cod. proc. pen., 73 e 80, comma 1, lett. a),
d.p.R. 309 del 1990; mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al reato di cui al capo 46. Osserva che in relazione a questo capo la motivazione della ordinanza impugnata è meramente apparente perché, dopo aver affermato che l’intercettazione aveva consentito di appurare la consegna di un
imprecisato quantitativo di cocaina da Isaja e Formica al Micalizzi, poi inspiegabilmente sostiene il concorso di quest’ultimo nella detenzione a fini di spaccio della sostanza nella disponibilità dei due coindagati. E’ poi erroneo ritenere
che la condotta del Micalizzi avrebbe rilevanza penale dovendo essere inquadrata in un concorso nella consegna a soggetto minore. Nella specie, infatti, la

Data Udienza: 11/12/2012

droga non era destinata al minore, che aveva svolto solo un ruolo di tramite
senza nemmeno essere a conoscenza del contenuto del pacchetto consegnatogli,
bensì era destinata allo stesso Micalizzi che la aveva appunto prelevata tramite
il minore figlio della convivente.
2) violazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 73 d.p.R. 309 del 1990; mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo 50). Osserva che dalla stessa ordinanza impositiva e dalla ordinanza impugnata emerge che si trattava solo di consumo di gruppo in quanto il Micalizzi
aveva acquistato lo stupefacente insieme all’Isaja anche per conto del Formica e
su esplicita richiesta di questi e lo aveva consumato insieme ad essi.
3) violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. e mancanza o manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla configurabilità di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione. Lamenta che il tribunale non ha considerato che egli aveva tenuto rapporti solo con l’Isaja e con il Formica per consumare insieme la sostanza stupefacente e che i fatti risalgono al lontano 2008. L’ordinanza
impugnata non indica elementi concludenti atti a dimostrare l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione.
Zaccone Francesco, a mezzo dell’avv. Francesco Traclò, propone ricorso
per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. e mancanza o manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla configurabilità di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione. Lamenta che il tribunale non ha considerato che egli aveva tenuto rapporti solo con l’Isaja e con il Formica per consumare insieme la sostanza stupefacente e che i fatti risalgono al lontano 2008. L’ordinanza
impugnata non indica elementi concludenti atti a dimostrare l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso del Micalizzi — concernente i gravi indizi di
colpevolezza per il reato di cui al capo 46) – è fondato. L’ordinanza impugnata
ha ritenuto accertato che Isaja e Formica, dopo avere preparato la sostanza stupefacente, contattarono il Micalizzi per mandare qualcuno a prenderla presso la
sala biliardi. L’attuale ricorrente quindi mandò a ritirarla il figlio minore della
sua convivente, al quale la droga fu dai due consegnata verso pagamento del
prezzo. A quel che si comprende (dal momento che l’ordinanza impugnata non
riporta nemmeno il capo di imputazione) al Micalizzi viene contestato di avere
concorso con i due nella consegna della droga al minore, con l’aggravante di cui
all’art. 80, comma 1, lett. a), d.p.R. 309 del 1990, per essere stato appunto lo
stupefacente consegnato a minore.
Ora la motivazione è innanzitutto assolutamente mancante sulla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 80 cit. Secondo la giurisprudenza di questa
Corte, invero, «L’aggravante della consegna delle sostanze stupefacenti a persona di età minore … è configurabile anche nel caso di semplice dazione al minorenne, indipendentemente dalla diversa destinazione che la droga possa eventualmente avere a meno che non sia accertata la mera funzione di tramite del
minore, invero, la ragione dell’aggravante risiede proprio nel fatto che un minore entri in possesso dello stupefacente e possa dunque assumerne» (Sez. VI,

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23.6.1987, n. 8584, Sparolo, m. 176443). Nella specie la stessa ordinanza impugnata dà invece atto che il minore si era limitato a prelevare dall’Isaja
l’involucro in cui era presuntivamente avvolta la sostanza stupefacente, senza
conoscerne il contenuto e al solo fine di consegnarlo al Micalizzi. Ma
l’ordinanza impugnata è altresì totalmente mancante di motivazione sulla sussistenza del reato ipotizzato a carico di quest’ultimo non risultando dal testo della
stessa alcun elemento da cui possa desumersi una successiva cessione della
droga stessa da parte dell’indagato a terzi, mente non è ovviamente configurabile il reato qualora l’acquisto fosse stato fatto, per tramite del minore, per uso esclusivamente personale.
E’ fondato anche il secondo motivo del Micalizzi, relativo al reato di cui al
capo 50). Su tale ipotesi di reato, infatti, l’ordinanza impugnata si limita ad affermare che il Micalizzi e l’Isaja avevano acquistato della droga che, dopo essere stata preparata per l’assunzione nella sala biliardi dell’Isaja, veniva ceduta e
consumata anche dal Formica. L’ordinanza impugnata ha quindi totalmente omesso di motivare sull’assunto difensivo secondo cui, come risulterebbe anche
dall’ordinanza impositiva, si sarebbe trattato di un consumo di gruppo, in quanto il Formica, adducendo di avere avuto spese extra, aveva chiesto al Micalizzi
di anticipargli il denaro per l’acquisto. Secondo la difesa, pertanto, sussistevano
tutti gli elementi per l’ipotesi dell’uso di gruppo, e precisamente: – l’esistenza di
un previo mandato all’acquisto dello stupefacente nei confronti del Micalizzi e
dell’Isaja da parte del Formica; – la certezza della identità degli appartenenti al
gruppo di consumatori sin dall’acquisto; – la manifesta e condivisa volontà di
procurarsi la sostanza per destinarla al consumo personale. La difesa aveva anche ricordato l’irrilevanza del fatto che il Micalizzi, su esplicita richiesta del
Formica, si era reso disponibile all’acquisto della sostanza stupefacente da destinare ad uso personale di gruppo. Sulla configurabilità di tale ipotesi — fondata
dalla difesa sugli stessi elementi emergenti dalla ordinanza impositiva — il tribunale del riesame ha totalmente omesso di motivare.
Sono fondati anche il terzo motivo del Micalizzi e l’unico motivo dello
Zaccone, relativi alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza
della misura applicata.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il principio
di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di
commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel
caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze
che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor
compressione possibile della libertà personale» (Sez. Un., 31.3.2011, n. 16085,
Khalil, m. 249324).
In particolare, per quanto concerne il tempo trascorso dalla commissione
del fatto alla applicazione della misura, il principio enunciato è che «in tema di
misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione
del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c) cod. proc. pen., impone al
giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del sog-

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getto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai
fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari. (Fattispecie di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in relazione a fatti commessi più
di tre anni prima)» (Sez. Un., 24.9.2009, n. 40538, Lattanzi, m. 244377).
Più specificamente, è stato affermato che «in tema di misure coercitive, la
distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché
tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare,
comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia
in relazione alla scelta della misura. (Fattispecie di intervenuta adozione della
custodia cautelare in carcere per fatti risalenti a tre anni prima)» (Sez. VI,
10.6.2009, n. 27865, Scollo, m. 244417); che «In tema di misure cautelari, la disposizione di cui all’art. 292 comma secondo lett. c) cod. proc. pen. – che prevede tra i requisiti dell’ordinanza lo specifico riferimento al “tempo trascorso dalla
commissione del reato” – impone al giudice di motivare circa il punto menzionato sotto il profilo della valutazione della pregnanza della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al “tempus commissi delicti” dovendosi ritenere che
ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponda un affievolimento delle esigenze cautelari» (Sez. Il, 8.5.2008, n. 21564, Mezzatenta, m. 240112); che
«In materia di misure cautelari personali, qualora venga richiesta la custodia in
carcere per reati commessi dall’imputato in epoca non recente, il giudice, nell’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la
misura richiesta ai sensi dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen., deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere, evidenziando il perdurante collegamento dell’imputato con l’ambiente in cui il delitto è
maturato e, quindi, la sua concreta proclività a delinquere» (Sez. VI, 15.1.2003,
n. 10673, Khiar Mohamed Zenab, m. 223967).
Orbene, nella specie, i fatti contestati risalgono al 2008 mentre la misura
cautelare è stata applicata solo il 28 marzo 2012, ossia quasi ben quattro anni
dopo. A fronte di un periodo temporale di quasi quattro anni dai fatti oggetto di
contestazione, il tribunale del riesame ha completamente omesso di compiere la
necessaria e rigorosa valutazione sulla effettiva concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, essendosi limitato a richiamare, del tutto genericamente, per il
Micalizzi l’uso di un linguaggio criptico nelle conversazioni con l’Isaja, deducendo da ciò l’esistenza di uno spaccio svolto in forma non occasionale, e, per
lo Zaccone, la sua collaborazione con il congiunto nella ricezione di forniture di
stupefacente. Ma ciò non configura evidentemente una specifica esaustiva motivazione sulle ragioni per cui permanga dopo il tempo trascorso l’attualità del
pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede,
anche nell’intensità tale da non consentire misure meno gravi, non risultando tra
l’altro in motivazione indicazioni sull’eventuale effettiva attuale permanenza
delle condotte addebitate all’indagato. Non vengono indicati elementi da cui desumere l’attualità e la concretezza di contatti con ambienti criminali, o condotte
specifiche da cui desumere allo stato il rischio di commissione di reati della

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stessa specie. La motivazione è altresì del tutto generica e di mero stile anche in
ordine alla valutazione della scelta della misura cautelare, anche relativamente
alla quale la motivazione deve essere particolarmente rigorosa stante la distanza
temporale dai fatti.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio al tribunale
di Messina per nuovo esame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Messina per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1’1 1
dicembre 2012.

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