Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22330 del 16/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22330 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
VUTHA3 ADNAND nato il 22/04/1991 a MILOT

avverso la sentenza del 30/10/2015 del TRIBUNALE di CUNEO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE
ROBERTO MARIA;

Data Udienza: 16/05/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Il TRIBUNALE di CUNEO, con sentenza in data 30/10/2015, applicava nei confronti di VUTHAJ
ADNAND la pena concordata dalle parti ex art. 444 c.p.p., in relazione al reato di cui all’ art. 628
c.p.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo: violazione di legge e vizio
di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato, alla mancata esclusione
dell’aggravante del fatto commesso in luogo di provata dimora e alla qualificazione giuridica dei
fatti.
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato ovvero non consentito.
giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al citato art. 129 c.p.p. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle
parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo,
invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle legge e che non ricorrono le
condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995,
Serafino, Rv. 202270; da ultimo, Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622). Nel caso
di specie la sentenza impugnata si è attenuta correttamente al suddetto principio escludendo
espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129 c.p.p.
Inoltre, per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, di recente ribadito dalle Sezioni
Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/ 2013, dep. 06/02/2014, in motivazione), in tema di
patteggiannento, il ricorso per cassazione può denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del
fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione
giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di
diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. Nondimeno, l’errore sul
nomen iuris deve essere manifesto, secondo il predetto orientamento, che ne ammette la
deducibilità nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo
sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini
di opinabilità. Nel caso di specie, la deducibilità dell’invocato errore deve essere esclusa, non
risultando prima facie erronea o strumentale la qualificazione giuridica dei fatti, così come proposta
dalle parti e positivamente delibata dal giudice a quo. Analogo discorso vale per quanto concerne al
ritenuta sussistenza dell’aggravante censurata, dovendosi, per di più, aggiungere che, poiché la
richiesta consensuale di applicazione della pena si traduce in una scelta processuale che implica la
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa mediante un atto dispositivo con cui
l’interessato abdica all’esercizio del diritto alla prova, l’intervenuto patteggiamento preclude la
possibilità di contestare, con i motivi di impugnazione, i termini fattuali dell’imputazione (Sez. U, n.
20 del 27/10/1999 – dep. 03/12/1999, Fraccari, Rv. 214637).

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e

Difatti è principio costantemente affermato dalla Suprema Corte, in tema di patteggiamento, che il

della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.

Così deciso il 16/05/2016

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