Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22309 del 04/05/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 22309 Anno 2018
Presidente: MOGINI STEFANO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto dalla parte civile:

Gnidica Fabio, nato a Trieste il 13/06/1959
nel procedimento a carico di:

Arnaboldi Magda, nata a Brescia il 15/06/1965

avverso la sentenza del 28/04/2017 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo l’annullamento della
sentenza impugnata con rinvio al giudice di appello;
udito il difensore della parte civile, avv. Fernanda Portulano, in qualità di
sostituto processuale dell’avv. Carlo Mussa, che ha depositato conclusioni e nota
spese ed ha richiesto l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 04/05/2018

udito il difensore dell’imputata, avv. Anna Clorinda Ronfani, che ha chiesto il
rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Torino, in riforma della
sentenza emessa in data 18 febbraio 2013 dal Tribunale di Torino, ha assolto
l’imputata Magda Arnaboldi dal reato a lei ascritto perché il fatto non sussiste.

per aver incolpato, con querela presentata in data 28 marzo 2007 presso la
Procura della Repubblica di Torino, sapendolo innocente, l’ex coniuge

Fabio

Gnidica del reato di cui all’art. 486 cod. pen. ed, in particolare, di avere abusato
di un foglio dalla stessa firmato in bianco, redigendo un atto produttivo di effetti
giuridici, recante la data del 14 aprile 1998, nel quale si attestava che
l’abitazione coniugale, benché intestata alla

Arnaboldi, era stata in realtà

acquistata e pagata dallo Gnidica.
2. L’avv. Carlo Mussa, difensore della parte civile costituita Fabio Gnidica,
ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo, con unico
motivo, la erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 368 cod. pen. ed in relazione
all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
La Corte di appello di Torino aveva, infatti, assolto la Arnaboldi in quanto il
procedimento penale aperto per effetto della sua querela era stato archiviato per
tardività della stessa, obliterando, tuttavia, che tale declaratoria di
improcedibilità era stata pronunciata solo all’esito di complesse indagini
preliminari.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere accolto in quanto è fondato.

2. Il ricorrente, con unico motivo, deduce la erronea applicazione della
legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con
riferimento all’art. 368 cod. pen. ed in relazione all’art. 129, comma 2, cod. proc.
pen.
La Corte di appello di Torino aveva, infatti, assolto la

Arnaboldi per

insussistenza del fatto, in quanto il procedimento penale aperto per effetto della
sua querela era stato archiviato per tardività della stessa.

2

La Arnaboldi é imputata del delitto di calunnia di cui all’art. 368 cod. pen.,

Nella sentenza impugnata era, tuttavia, stata erroneamente equiparata la
fattispecie della insussistenza del delitto di calunnia per mancata presentazione
della querela a quella della insussistenza del medesimo delitto per effetto di
presentazione di una querela tardiva.
Il delitto di calunnia, tuttavia, nella specie sussisteva, in quanto la
improcedibilità della querela per tardività non era rilevabile ictu °cui”, ma era
stata dichiarata solo all’esito di complesse indagini, durate peraltro due anni.

La Corte di appello di Torino ha posto a fondamento delle proprie
statuizioni assolutorie il consolidato principio di diritto secondo il quale la
calunnia è un reato di pericolo che si consuma con l’insorgere della astratta
possibilità che si instauri un procedimento penale a carico della persona
falsamente incolpata, ma ha fatto cattivo governo dello stesso.
La Corte di appello, infatti, muovendo da un obiter díctum della sentenza n.
7729 del 10/2/2016 della Sesta Sezione Penale, ha equiparato, sotto il profilo
della insussistenza del delitto di calunnia, l’ipotesi della mancata presentazione
della querela, quando il reato oggetto di incolpazione richieda tale condizione di
procedibilità, a quella della tardiva presentazione della stessa.
Tale generalizzata equiparazione è, tuttavia, errata.
Il delitto di cui all’art. 368 cod. pen. ha, infatti, come oggetto giuridico
l’interesse al normale funzionamento della giustizia e presuppone la possibilità
giuridica della insorgenza di un procedimento penale, indipendentemente dalla
sua apertura, quale effetto della falsa accusa d’un reato ad una persona che si sa
innocente.
La condotta del reato previsto dall’art. 368 cod. pen. consiste, infatti, nel
portare a conoscenza dell’autorità giudiziaria o di altra autorità che a quella
abbia obbligo di riferire, circostanze idonee ad indicare taluno come colpevole di
un fatto costituente reato in forme tali da rendere possibile (e ciò è sufficiente,
integrando la calunnia una fattispecie di reato di pericolo) l’espletamento delle
indagini (Sez. 6, n. 2389 del 20/11/1991, dep. 1992, Castelli, Rv. 189284).
La possibilità dell’inizio di un procedimento penale costituisce, pertanto,
requisito implicito del delitto di calunnia, ancorché non sia espressamente
contemplata dal legislatore penale, a differenza di quanto previsto nella
fattispecie della simulazione di reato.

4. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità,
dal quale non vi è motivo per discostarsi, ai fini della configurabilità del reato di
calunnia, non è, pertanto, necessario l’inizio di un procedimento penale a carico

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3. Tale censura merita accoglimento.

del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli
elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di
una persona univocamente e agevolmente individuabile (ex plurimis: Sez. 6, n.
10282 del 22/01/2014, Romeo, Rv. 259268; Sez. 6, n. 32325 del 04/05/2010,
Grazioso, Rv. 248079).
Ove, tuttavia, non sussista la possibilità giuridica della apertura di un
procedimento penale contro l’incolpato, non vi è lesione dell’interesse tutelato, in
quanto il soggetto calunniato non si trova esposto a rischi di sorta e l’organo

Pertanto, nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si
compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter
ragionevolmente adombrare – perché in contrasto con i più elementari principi
della logica e del buon senso – la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è
da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia (ex plurimis:
Sez. 6, n. 10282 del 22/01/2014, Serpico, Rv. 259268; Sez. 6, n. 32325 del
04/05/2010, Grazioso, Rv. 248079; Sez. 6, n. 26177 del 17/03/2009, Vassura,
Rv. 244357; Sez. 6, n. 3983 del 31/01/1996, Ferretti, Rv. 204651), in quanto
l’accertamento della infondatezza della accusa non abbisogna di alcuna indagine.
Analogamente, il delitto di calunnia non è configurabile se il reato oggetto
della falsa incolpazione sia punibile a querela, richiesta o istanza e questa
manchi, nonché in ogni altro caso in cui la falsa incolpazione sfocerebbe in una
declaratoria di improcedibilità, come nel caso di mancanza di autorizzazione a
procedere o là dove operi l’effetto preclusivo derivante dalla decisione
irrevocabile di un precedente giudizio sugli stessi fatti (Sez. 2, n. 15559 del
24/11/2005 (dep. 04/05/2006), Spadaro, Rv. 234340).
Quanto al difetto della querela, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità
opera un fondamentale distinguo, a secondo che lo stesso sia idoneo o meno a
precludere in astratto la possibilità di inizio di un procedimento penale.
Non è, infatti, configurabile il delitto di calunnia allorché la falsa accusa
abbia ad oggetto fattispecie integranti reati procedibili a querela e questa non sia
presentata (Sez. 6, n. 18116 del 05/05/2011, D’Angelo; Sez. 6, n. 35800 del
29/03/2007, Acefalo, Rv. 237421) ovvero sia invalida atteso che, in siffatta
ipotesi, la condotta risulta di per sé inidonea a determinare l’avvio di un
procedimento penale (Sez. 6, n. 335 del 29/11/2017, Pagnoni, Rv. 272156,
fattispecie relativa a querela priva di autenticazione della sottoscrizione).
In tali ipotesi, infatti, l’esercizio dell’azione penale è paralizzato dal difetto
di una condizione di procedibilità e tale difetto, essendo evidente, esclude
immediatamente la possibilità di un seguito alla notizia di reato (Sez. 6, n.
18359 del 17/02/2003, Parise, Rv. 225222).

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inquirente non ha modo di svolgere indagini.

A conclusioni diverse in ordine alla configurabilità del delitto di calunnia
deve, tuttavia, addivenirsi quando la causa di improcedibilità emerga da un
accertamento che postuli più o meno complesse indagini (Sez. 6, n. 2715 del
10/01/1997, Marchetti, Rv. 207167) o quando successive indagini inducano a
modificare la configurazione del fatto, oggetto della falsa incolpazione, come
punibile a querela (Sez. 6, n. 2415 del 20/12/1971 (dep. 17/04/1972), Andriollo,
Rv. 120765); in tali casi, infatti, un procedimento penale è pur sempre iniziato,
ancorché non possa essere proseguito.

necessarie indagini al fine di valutare se ricorra la procedibilità di parte o di
ufficio o, come nella specie, al fine di valutare se la querela sia stata presentata
tempestivamente o meno.

5. Per quanto risulta dalla sentenza impugnata, infatti, un procedimento
penale nei confronti dello Gnidica è stato aperto e la querela è stata dichiarata
improcedibile per tardività solo all’esito delle indagini preliminari.
La improcedibilità della querela non è, pertanto, emersa ictu ocu/i, ma solo
all’esito del compimento delle indagini necessarie all’esatto inquadramento degli
elementi di fatto, quali la data del commesso reato e quella in cui l’offeso ne
aveva acquisito piena conoscenza.
Dalla denuncia-querela presentata dalla Arnaboldi in data 28 marzo 2007
è, dunque, derivata non solo la possibilità astratta dell’inizio di un procedimento
penale nei confronti dello

Gritlica, ma anche l’inizio concreto di tale

procedimento.
Errato si rivela, da ultimo, l’assunto della Corte di appello di Torino secondo
il quale la tardività della querela elide la sussistenza del delitto di calunnia, in
quanto tale declaratoria opera

“ex tunc

sin dalla sua presentazione”,

consentendo di equiparare, sul piano degli effetti e, segnatamente, della comune
“originaria improcedibilità”, la ipotesi della querela tardiva a quella della mancata
presentazione della stessa.
Tale rilievo, infatti, oblitera che, come già rilevato, il delitto di calunnia è un
reato di pericolo e, quindi, è sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo una
falsa accusa che, essendo astrattamente configurabile come notitia criminis in
quanto a prima vista non manifestamente inverosimile, sia pertanto idonea
all’apertura delle indagini preliminari, risultando del tutto irrilevante il fatto che
le stesse si siano successivamente concluse con un decreto di archiviazione (Sez.
6, n. 48525 del 5/11/2003 n. 48525, Grimaldi, Rv. 228542)
Nessun rilievo può, del resto, assumere in proposito la intervenuta
depenalizzazione del delitto di falsità in foglio firmato in bianco di cui all’art. 486

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Il delitto di calunnia è, pertanto, sempre configurabile quando si rendono

cod. pen., in quanto la punibilità del delitto di calunnia permane anche se, per
intervento legislativo, il reato oggetto della incolpazione sia stato medio tempore
depenalizzato (Sez. 6, n. 12655 del 26/02/2016, Galletti, Rv. 255591; Sez. 6, n.
12673 del 21/11/1988, Caronna, Rv. 180011; Sez. 6, n. 13881 del 26/09/1986,
Dotto, Rv. 174543).

6. Alla stregua di tali rilievi la sentenza impugnata deve essere annullata e,
pertanto, essendosi medio tempore il delitto di calunnia per cui si procedere

giudice civile competente per valore in grado di appello.
Nessun provvedimento in ordine alla richiesta di liquidazione delle spese
sostenute dalla parte civile deve essere allo stato adottato.
La parte civile non può, infatti, ottenere la rifusione delle spese processuali
all’esito del giudizio di legittimità che si è concluso con l’annullamento con rinvio,
ma può far valere le proprie pretese nel corso ulteriore del processo, in cui il
giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico dell’imputato,
dell’obbligo della rifusione delle spese giudiziali in base al principio della
soccombenza, con riferimento all’esito del gravame

(ex plurimis: Sez. 5, n.

25469 del 23/04/2014, Greco, Rv. 262561; Sez. 2, n. 32440 del 10/07/2003,
Larnè, Rv. 226260).

P.Q. M.
Annulla ai soli effetti civili la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile
competente per valore in grado di appello.

Così deciso il 04/05/2018.
Il Consigliere estensore
Fabrizio D’Arcangelo

prescritto, deve essere disposto il rinvio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., al

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