Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22307 del 04/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22307 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: SERRAO EUGENIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BENFANTE GIANPAOLO N. IL 09/06/1990
avverso la sentenza n. 1264/2015 TRIBUNALE di PALERMO, del
19/03/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;

Data Udienza: 04/05/2016

Benfante Gianpaolo ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
in epigrafe del Tribunale di Palermo, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc.
pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine ai reati di cui agli
artt.56, 624 bis cod. pen. (capo A) ed all’art.648 cod. pen. (capo B), con la
recidiva specifica infraquinquennale.
L’esponente censura la sentenza per carenza e contraddittorietà della
motivazione in merito all’affermazione di responsabilità, avendo il giudice di
merito ritenuto sussistente il reato di furto, nonostante il bene non fosse mai
uscito dalla sfera di vigilanza del proprietario, e la figura del tentativo,
nonostante la spontanea restituzione del bene.
Il ricorso è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio in
base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i
fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario,
una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata
compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la
pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto;
Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino).
Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza
successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione,
che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la
continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza della Corte regolatrice, nel
solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può
ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni.
Né l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione
censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento
che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del
giudicabile. D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena
pattuita rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue,
come questa Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che
l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che
coinvolgono il patto dal medesimo accettato.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00
in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in data 4 maggio 2016
Il Con
re estensore
Il Presidente

Motivi della decisione

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