Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22306 del 19/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22306 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASAMONICA GIUSEPPE nato 11 11/06/1972 a PIETRASANTA

avverso l’ordinanza del 28/03/2017 del TRIBUNALE di SORVEGLIANZA di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Marilia Di Nardo, che ha chiesto annullarsi con rinvio l’ordinanza
impugnata.

Data Udienza: 19/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1.

Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma

confermava quella emessa il 12 dicembre 2016 dal locale Magistrato di
sorveglianza, che aveva rigettato l’istanza presentata dal condannato Giuseppe
Casamonica, volta ad ottenere, ai sensi degli artt. 35-bis, 35-ter e 69, comma 6,
lett. b), Ord. pen., la riparazione del pregiudizio derivante dalle condizioni
inumane e degradanti della sua detenzione, in relazione a svariati periodi,

all’agosto 2014.
Il Tribunale negava il ristoro, rilevando, quanto ai periodi di detenzione
antecedenti il 23 agosto 2009, l’intervenuta prescrizione, individuata in
quinquennale, in relazione alla data (23 agosto 2014) di presentazione
dell’istanza; e, quanto ai periodi di detenzione successivi, osservando come
Casamonica avesse sempre avuto a disposizione (nelle carceri di Lanciano,
Rebibbia e Viterbo) uno spazio non inferiore a 3 metri quadrati, «includendo in
esso lo spazio destinato al letto e gli arredi fissi ancorati alle pareti e al netto dei
servizi igienici».
A tale ultimo proposito il Tribunale comunque affermava che – anche ad
ammettere, rispetto a taluni brevi periodi, il mancato rispetto del citato limite di
superficie vitale, per effetto della sottrazione dal computo dello spazio occupato
dal letto a castello – il

vulnus corrispondente avrebbe dovuto ritenersi

compensato da fattori concorrenti, quali l’ampia libertà di movimento concessa,
nonché il libero accesso, per un numero cospicuo di ore giornaliere, all’aria, alla
luce naturale e alle attività trattamentali.

2. Ricorre per cassazione il condannato, tramite il difensore di fiducia,
deducendo duplice violazione di legge.
Da un lato, la decisione sarebbe errata in punto di prescrizione, che secondo
il ricorrente sarebbe dovuta decorrere dal 28 giugno 2014, data di entrata in
vigore dell’art. 35-ter Ord. pen., che aveva introdotto nell’ordinamento il rimedio
azionato.
Quanto al merito, il ricorrente deduceva come dallo spazio minimo vitale a
disposizione del detenuto andassero escluse, al fine di verificare il rispetto
dell’art. 3 CEDU, le dimensioni del letto a castello, e degli arredi fissi in genere, e
come non fosse possibile, in caso di rispetto mancato, compensazione alcuna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

trascorsi in vari istituti di pena, ricompresi nell’arco temporale dal dicembre 1999

1. Il ricorso è fondato in entrambe le sue prospettazioni.

2. La prescrizione del diritto leso dalla detenzione inumana e degradante,
azionabile dal detenuto ai sensi dell’art.

35-ter Ord. pen., decorre – per i

pregiudizi subiti anteriormente all’entrata in vigore del d.l. 26 giugno 2014 n. 92,
conv. dalla legge 11 agosto 2014 n. 117, che ha istituito il relativo rimedio – dal
28 giugno 2014, data dell’entrata in vigore del testo legislativo.
Come infatti chiarito da Sez. U (penali), n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018,

originali ed innovativi, di ordine formale (il detenuto può redigere personalmente
l’istanza, secondo un contenuto minimo descrittivo del fatto e presentarla
direttamente al giudice competente) e contenutistico (in rapporto alle peculiarità
della tutela, incentrata sulla riduzione, in misura predeterminata, della durata
della pena, e solo in subordine su una liquidazione «monetaria», in termini
proporzionali al pregiudizio sofferto), che ne fanno uno strumento pronto ed
effettivo di accesso alla giustizia, messo a disposizione del soggetto leso solo con
la novella legislativa sopra richiamata; onde l’applicazione del generale principio
di cui all’art. 2935 cod. civ., in base al quale la prescrizione decorre soltanto dal
giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Senza contare che l’opposta ipotesi
interpretativa, come esattamente notato dalle Sezioni Unite, restringerebbe
irragionevolmente l’operatività del rimedio stesso, studiato dal legislatore proprio
per ovviare alle criticità, ed al complessivo deficit di tutela, degli strumenti
antecedenti, giudicati da Corte EDU 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia, non
rispondenti ai canoni di effettività e rapidità imposti dalla Convenzione di Roma.
Tale esegesi è stata avallata anche dalle Sezioni Unite civili di questa Corte
che, nella recente sentenza n. 11018 del 08/05/2018, hanno ribadito trattarsi di
rimedio nuovo e distinto da quello desumibile dal contesto ordinamentale
previgente (che aveva portato alle ripetute condanne dello Stato italiano davanti
alla Corte di Strasburgo) e – nel ritenere che tali suoi caratteri non ne escludano
la retroattività, pianamente deducendola dalla lettura della normativa
intertemporale dettata dall’art. 2 della novella, che, disciplinando la materia della
decadenza, fa inequivocabilmente riferimento, sia nel primo che nel secondo
comma, a detenzioni degradanti ed inumane già conclusesi, e quindi anteriori, al
momento della sua entrata in vigore – hanno confermato, quanto alle citate
situazioni di pregiudizio anteriormente sofferto, esaurite o meno, che il termine
di prescrizione decorre da quest’ultimo momento, che segna l’introduzione della
tutela nel sistema (ferma l’operatività della decadenza semestrale, di cui all’art.
35-ter, comma 3, Ord. pen., rispetto alle detenzioni ormai cessate).

3

Tuttolomondo, Rv. 271649, trattasi di rimedio che presenta plurimi aspetti

E’ stato infine precisato, dalle Sezioni Unite (civili), che la natura di mero
indennizzo da assegnare al rimedio ex art. 35-ter Ord. pen., e il radicarsi della
responsabilità nella violazione di obblighi gravanti ex lege sull’amministrazione
penitenziaria, nei confronti dei soggetti sottoposti alla restrizione carceraria,
convergono nell’escludere l’applicabilità della regola specifica dettata dall’art.
2947, primo comma, cod. civ. per la prescrizione del «diritto al risarcimento del
danno derivante da fatto illecito» aquiliano; valendo, pertanto, la regola generale
della prescrizione decennale (in senso conforme, Sez. 1, penale, n. 47333 del

3. Quanto al merito, occorre in questa sede ribadire l’orientamento ormai
consolidato della giurisprudenza penale di legittimità (Sez. 1, n. 41211 del
26/05/2017, Gobbi, Rv. 271087; Sez. 1, n. 13124 del 17/11/2016, dep. 2017,
Morello, Rv. 269514; Sez. 1, n. 52819 del 09/09/2016, Rv. 268231), secondo
cui – ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, da
assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del
divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla
conforme giurisprudenza della Corte EDU – dalla superficie lorda della cella
devono essere detratte non solo l’area destinata ai servizi igienici, ma anche
quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto, ove questo
assuma la forma e struttura «a castello», e gli armadi, appoggiati o infissi
stabilmente alle pareti o al suolo, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente
amovibili come sgabelli o tavolini.
La considerazione degli ulteriori aspetti che determinano la complessiva
offerta del trattamento detentivo, come l’esistenza di aria o di luce, la condizione
igienica, l’assistenza sanitaria o le opportunità ricreative o culturali, può rilevare,
al fine di stabilire se violazione vi sia, qualora lo spazio individuale minimo
intramurario assicurato al detenuto, una volta scomputati gli arredi fissi, sia
compreso tra i tre ed i quattro metri quadrati (Sez. 1, Sentenza n. 52992 del
09/09/2016, Gallo, Rv. 268655). Nel caso di detenzione sofferta in condizioni di
sovraffollamento, con spazio vitale inferiore ai tre metri quadrati, esiste invece
una «forte presunzione» di trattamento inumano e degradante, che può essere
vinta solo dall’effetto cumulativo della breve durata delle restrizioni al suddetto
spazio, unita a sufficiente attività di movimento e a sufficienti attività svolte al di
fuori delle celle con assegnazione a struttura detentiva adeguata (Corte EDU 12
marzo 2015, Mursic c. Croazia).

4

16/03/2017, Chargui Khatoui, Rv. 271173).

4. L’ordinanza impugnata, che a tale complesso di principi non si è attenuta,
deve pertanto essere annullata, con rinvio al medesimo Tribunale di sorveglianza
perché proceda sulla loro base a nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma
per nuovo esame.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Fra nceco Centofanti

Giulio Sarno

L

L,

Così deciso il 19/04/2018

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