Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22296 del 08/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22296 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

EL MSAFTI Kamal, nato il 20/09/1983;

Avverso l’ordinanza n. 151/2017 del Tribunale di Udine in data 12/06/2017;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

Lette le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del dott. Simone Perelli,
che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;

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Data Udienza: 08/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 12/06/2017 il Tribunale di Udine, in funzione di giudice
dell’esecuzione, rigettava le istanze di riconoscimento della continuazione e di
dichiarazione di estinzione di reato avanzate da El Msafti Kamal. Rilevava il giudice
dell’esecuzione che la richiesta di riconoscimento della continuazione si riferiva a
cinque sentenze di condanna (sentenza del Tribunale di Udine in data 26/06/2014;
sentenza del Tribunale di Udine – Sezione Distaccata di Palmanova in data

data 24/06/2013; sentenza del Tribunale di Udine in data 13/06/2016; sentenza del
Tribunale di Udine – Sezione Distaccata di Palmanova in data 11/10/2013) poiché si
trattava di episodi di contravvenzione al foglio di via obbligatorio: ma, pur
evidenziandosi una certa vicinanza temporale degli episodi, nessun elemento faceva
pensare ad una deliberazione generale che fungesse da disegno criminoso unico, bensì
a comportamenti trasgressivi e dimostrativi di insofferenza verso prescrizioni e divieti.
Quanto alla richiesta di estinzione del reato, essa faceva riferimento ai reati di cui
all’art. 496 cod.pen. e all’art. 6, comma 3, del D.Lvo n. 286 del 1998 ricompresi nella
sentenza del Tribunale di Udine in data 25/07/2013: ma si trattava di reati ancora in
vigore; in particolare, l’evoluzione giurisprudenziale aveva ritenuto che l’illecito di
inottemperanza all’ordine di esibizione di documenti identificativi riguardasse appunto
gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, quale appunto era l’instante.

2. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato per mezzo del difensore
Avv. Nicola Giribaldi.
2.1.

Con il primo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e),

cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e manifesta illogicità di motivazione:
sostiene che la richiesta ex art. 671 cod.proc.pen. era stata rigettata sul presupposto
di uno stile di vita che si distingueva da un disegno criminoso senza però considerare
la condotta e la tipologia dei reati, la loro omogeneità e le condizioni di tempo e di
luogo, poiché le contravvenzioni erano state sempre commesse nello stesso Comune in
un arco di tempo ristretto, il che faceva propendere per l’esistenza di un programma
delinquenziale.
2.2.

Col secondo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e),

cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e manifesta illogicità di motivazione:
sostiene che la disciplina dell’art. 671 cod.proc.pen. è stata introdotta per evitare
sperequazioni con chiara finalità di

favor rei,

per cui non si può applicare un

trattamento sanzionatorio più grave relativamente ai reati-satellite.

3. Il P.G. chiede l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

12/03/2014; sentenza del Tribunale di Udine – Sezione Distaccata di Palmanova in

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissiible.

È noto che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la nozione di
continuazione, delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen., presuppone l’anticipata e
unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente
del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, e tale situazione è ben diversa da
una mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, anche se

delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità (tra le altre, Sez.
1, n. 35797 del 12/05/2006, dep. 25/10/2006, Francini, Rv. 234980; Sez. 4, n. 16066
del 17/12/2008, dep. 16/04/2009, Di Maria, Rv. 243632; Sez. 1, n. 48125 del
05/11/2009, dep. 17/12/2009, Maniero, Rv. 245472; Sez. 2, n. 40123 del
22/10/2010, dep. 12/11/2010, Marigliano, Rv. 248862). La prova di detta congiunta
previsione – ritenuta meritevole di trattamento sanzionatorio più benevolo per la
minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un
singolo impulso, invece che di spinte criminose indipendenti e reiterate – poiché
attiene alla “inesplorabile interiorità psichica” del soggetto, deve essere ricavata di
regola da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale
sottostante alle condotte tenute.
Tra tali indici, esemplificativamente elencati dalla giurisprudenza, vengono in
considerazione la tipologia dei reati, il bene giuridico offeso, le condotte poste a
fondamento delle diverse condanne, le loro modalità di commissione, la causale delle
violazioni, la loro omogeneità, la sistematicità, il contesto spaziale e il contenuto
intervallo temporale. Questi fattori, che, singolarmente considerati, non costituiscono
indizi necessari di una programmazione e deliberazione unitaria e, aggiunti l’uno
all’altro, incrementano la possibilità dell’accertamento dell’esistenza di un medesimo
disegno criminoso, in proporzione logica corrispondente all’aumento delle circostanze
indiziarie favorevoli (tra le altre, Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, dep. 07/04/2010,
Bonasera, Rv. 246838; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, dep. 12/03/2013, Daniele,
Rv. 255156), hanno normalmente un carattere sintomatico, e non direttamente
dimostrativo, della esistenza di detto unitario disegno, quale preordinazione di fondo
che unifica le singole violazioni, e l’accertamento diretto al riconoscimento o al diniego
del vincolo della continuazione, pur officioso e non implicante oneri probatori, deve
assumere il carattere della effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato
a semplici congetture o presunzioni (tra le altre, Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008,
dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, dep.
23/12/2009, Notaro, Rv. 245833).
Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato, la cognizione del
giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va
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dovuta a una determinata scelta di vita o a un programma generico di attività

eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle
azioni od omissioni che si assumono essere “in continuazione”. Le sentenze devono
essere poste a raffronto per ogni utile disamina, tenendo presenti le ragioni enunciate
dall’istante e fornendo del tutto esauriente valutazione.

2. Nella fattispecie, il primo motivo di ricorso si presenta come generico, nel senso
che esso contiene un’ampia raccolta di giurisprudenza, ma non si confronta realmente
con la motivazione del provvedimento impugnato, limitandosi a ribadire e reiterare le

In altri termini, il ricorrente si limita a riproporre pedissequamente la sua
esposizione originaria, senza alcuna correlazione diretta con la motivazione
dell’ordinanza impugnatg, la quale non viene attaccata nel suo fondamento né nel suo
sviluppo logico. Peraltro, il provvedimento impugnato esamina le condanne riportate
dal ricorrente, analizza la natura dei reati posti in essere, considera la natura degli
stessi ed i tempi di commissione, ma conclude che le condotte

de quibus non

denotavano elementi di unificazione deliberativa bensì presentavano le connotazioni di
uno stile di vita aduso all’illecito e insofferente verso le prescrizioni imposte, senza
manifestare una deliberazione generale che riguardasse le singole deliberazioni
specifiche.
Questa valutazione è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte: il
riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non
diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della
sussistenza dei concreti indicatori sopra menzionati, non essendo sufficiente, a tal fine,
valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino
comunque frutto di determinazione estemporanea.
Appare chiaro come, nel caso di specie, manchi quella specificità del motivo di
doglianza che il Legislatore del rito penale, in particolare, pretende in ogni ipotesi di
impugnazione.
Infatti, l’art. 581 cod.proc.pen. stabilisce che l’impugnazione si propone con atto
scritto nel quale, tra l’altro, sono enunciati i motivi con l’indicazione specifica delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta; ne consegue
che un atto privo dei requisiti prescritti, che si limiti ad esprimere la volontà di
impugnare senza enunciare i motivi di doglianza rispetto alla decisione censurata (e
anche in ciò consiste la specificità), non può costituire una valida forma
d’impugnazione e, quindi, non può produrre gli effetti introduttivi del giudizio del
grado successivo, cui si collega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla
dichiarazione d’inammissibilità.
Conclusivamente, dunque, deve riaffermarsi il principio secondo il quale la mancata
specificità del motivo a sostegno dell’impugnazione si risolve in una ipotesi di

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ragioni della richiesta senza confutare le argomentazioni del giudice dell’esecuzione.

inammissibilità originaria inidonea a mantenere in vita il rapporto processuale sino al
momento della cognizione del giudice dell’impugnazione.

3. Il secondo motivo di ricorso presenta ancora più marcate le connotazioni di
inammissibilità, poiché esso riguarda una censura avverso il riconoscimento di
continuazione che rechi, però, con sé un aumento delle pene stabilite per i reatisatellite.

l’ipotesi prospettata dal ricorrente non trova riscontro nella realtà.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai sensi
dell’art. 616 cod.proc.pen., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000),
al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una sanzione pecuniaria che si
stima equo determinare in Euro 2.000,00.

P.Q.M

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro Duemila alla cassa delle ammende.

Così deciso il dì 08 marzo 2018.

Ma, nella fattispecie, non vi era stato alcun riconoscimento di continuazione per cui

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