Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22286 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22286 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PICCOLO ANTONIO nato il 07/12/1965 a SAN CIPRIANO D’AVERSA
SCHIAVONE CLAUDIO nato il 03/11/1965 a CASAL DI PRINCIPE

avverso l’ordinanza del 07/08/2017 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI;
sentite le conclusioni del PG MARILIA DI NARDO che ha chiesto il rigetto dei
ricorsi .
Udito il difensore avvocato STELLATO GIUSEPPE che ha chiesto l’accoglimento
dei ricorsi

Data Udienza: 25/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli
rigettava l’appello proposto dai difensori di Piccolo Antonio e Schiavone Claudio
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli Nord di rigetto dell’istanza di
declaratoria di inefficaci à della misura della custodia cautelare in carcere per
scadenza dei termini della fase dibattimentale.
I due ricorrenti sono imputati per il delitto di cui all’art. 416 bis, commi 4, 5

immediato è stato emesso il 28/10/2015.
La questione posta dai difensori era relativa all’utilizzabilità nella fase
dibattimentale, per intero o per frazione, dei sei mesi previsti dall’art. 303,
comma 1, lett. b), n. 3 bis cod. proc. pen..
Secondo il Tribunale, la ratio della norma è di consentire al giudice del
dibattimento un tempo maggiore per celebrare dibattimenti complessi; la norma
deve essere letta con riferimento all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., che
stabilisce termini massimi di custodia cautelare che non possono essere superati.
Il maggior termine riconosciuto per il dibattimento di primo grado non incide sul
termine massimo: cosicché la maggior durata del termine di fase dibattimentale
è compensata da una minore\15e1- la fase delle indagini ovvero del giudizio di
cassazione.
In definitiva, il termine deve essere aumentato di mesi sei – e non era, di
conseguenza scaduto – mentre il Tribunale dibattimentale non doveva in alcun
modo provvedere ad imputare detto termine alla fase pregressa o a quella
successiva con apposito provvedimento.

2. Ricorrono per cassazione i difensori di Piccolo Antonio e di Schiavone
Claudio con due distinti ricorsi di uguale contenuto deducendo violazione di legge
e vizio di motivazione.

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is, cod. proc. pen. manca qualsiasi
Nella struttura dell’art. 303, commalt -Tr
indicazione delle modalità attraverso cui i termini di fase vengono aumentati;
secondo la difesa, era necessaria una specifica ordinanza che calcolasse i termini
da sottrarre alla fase successiva, in modo che il giudice di tale fase fosse a
conoscenza della riduzione dei termini di cui poteva disporre.
L’ordinanza era necessaria per una esigenza di certezza; in mancanza di
detta ordinanza, non si poteva ritenere che il termine di fase dibattimentale
fosse di due anni, anziché di anni uno e mesi sei; al limite l’automatismo
avrebbe potuto essere ipotizzato per la fase precedente.
L’ordinanza era comunque necessaria anche per indicare le ragioni e la

e 6 cod. pen.; la misura cautelare è in atto dal 3/7/2015 e il decreto di giudizio

misura dell’aumento.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati.

I ricorrenti sostengono che, ai fini dell’aumento del termine di fase per il
dibattimento di primo grado previsto dall’art. 303, comma 1, lett. b) n. 3 bis cod.

motivi dell’aumento, la sua durata e l’imputazione dello stesso alle fasi
precedenti e successive.
Al contrario, questa Corte ha costantemente insegnato che l’aumento fino a
sei mesi dei termini relativi alla fase dibattimentale di primo grado, previsto
dall’art. 303, comma primo, lett. b), n. 3 bis cod. proc. pen., con riferimento ai
delitti di cui all’art. 407, comma secondo, lett. a) cod. proc. pen., è automatico in
quanto esplicitamente voluto dal legislatore in ragione della rilevante gravità di
una particolare categoria di delitti e, pertanto, ai fini dell’operatività di tale
aumento, non è necessario alcun provvedimento del giudice (Sez. 4, n. 16667
del 31/03/2016 – dep. 21/04/2016, Parisi, Rv. 266527; Sez. 1, n. 3043 del
13/01/2005 – dep. 31/01/2005, Sapia, Rv. 230871): nell’intento di fronteggiare
con una disciplina più adeguata il pericolo di scarcerazioni per decorrenza dei
termini di custodia cautelare relativi a imputati di gravi delitti, la legge 19
gennaio 2001, n. 4, ha inserito la norma qui in esame che, senza toccare la
durata “edittale” dei termini delle varie fasi né quella complessiva, ha previsto,
da un lato, che i termini non utilizzati nella fase precedente (e cioè quelli delle
indagini preliminari o dell’udienza preliminare) possono essere recuperati nella
fase di primo grado, e, dall’altro, che in tale fase possono essere impegnati, con
relativo scomputo, i termini assegnati al giudizio di cassazione: tutto ciò fino al
limite massimo di sei mesi.
L’elemento nuovo apportato dalla legge è caratterizzato dunque dai termini
non impiegati nella fase pregressa (id est fase delle indagini preliminari o
dell’udienza preliminare) che possono essere travasati nella fase del giudizio di
primo grado, ossia nel dibattimento.
Non vi è dubbio che con l’introduzione di tale norma è stata superata
definitivamente la regola della rigida separazione e della completa autonomia
delle singole fasi processuali ai fini del computo dei periodi custodiali ad esse
riferibili, tenuto conto che, comunque, i termini di fase, complessivamente
calcolati, non possono essere superati.

(

proc. pen., sia necessaria un’ordinanza del giudice del dibattimento che espliciti i

Ciò premesso, appare evidente che il legislatore del 2001, con l’introduzione
della nuova norma, ha previsto l’aumento fino a sei mesi dei termini intermedi
della fase dibattimentale di primo grado di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3
“qualora si proceda per i reati elencati nell’art 407, comma 2, lett. a) c.p.p.” e si è
anche preoccupato di specificare, al chiaro fine di non aggravare
complessivamente la posizione

de libertate

dell’imputato, il criterio di

imputazione di tale ulteriore termine, prevedendone il recupero da quello della
fase precedente delle indagini preliminari (ove non completamente utilizzato)

eventualmente residua.
Il legislatore, insomma, ha previsto un’esplicita “intercomunicabilità” ai fini
del computo del periodo custodiale, tra fasi e gradi del processo, lasciando
inalterati i termini massimi.
Chiara è dunque l’operatività automatica di questo ulteriore aumento, senza
che occorra un apposito provvedimento del giudice che lo disponga.

P.Q.M.

=

Rigetta 1 ricorse, e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
rocessuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 25 gennaio 2018

oppure la detrazione da quello relativo al giudizio per cassazione per la parte

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