Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2228 del 15/12/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2228 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte
d’appello di BARI nel proc. c/:
– LEUCI PIETRO, n. 6/01/1973 a Trani

avverso la sentenza del GIP del tribunale di TRANI in data 3/11/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Salzano, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della
sentenza con restituzione degli atti al tribunale per l’ulteriore corso;

Data Udienza: 15/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 3/11/2014, depositata in pari data, il GIP presso
il tribunale di TRANI ha assolto LEUCI PIETRO, con la formula perché il fatto non
è previsto dalla legge come reato, dal reato di cui all’art. 256, comma primo, d.
Igs. n. 152 del 2006 (gestione non autorizzata di rifiuti), perché, in assenza delle

pericolosi costituiti da kg. 58 di materiali ferrosi di varia natura alla ditta
Ecologia figli Pellicani di Pellicani Giovanni (fatti contestati come commessi in
data 24/03/2012).

2. Ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte
d’appello di BARI, impugnando la sentenza predetta con cui deduce un unico
motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 256, d. Igs.
n. 152 del 2006 e correlato vizio di contraddittorietà della motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il
ricorrente, il giudice avrebbe errato nel ritenere non integrato il reato in esame
non essendo contemplata la condotta di conferimento dei rifiuti tra quelle
indicate dall’art. 256 d. Igs. n. 152 del 2006, dovendosi, secondo il GIP, ritenere
integrata l’ipotesi di cui all’art. 258, comma quarto, d. Igs. citato con
conseguente esclusione della rilevanza penale del fatto e applicazione della sola
sanzione amministrativa trattandosi di rifiuti non pericolosi; il giudice, tuttavia,
avrebbe contraddittoriamente motivato, in quanto se da un lato ha ritenuto che il
conferimento contestato non integrasse la violazione addebitata, dall’altro ha
invece qualificato la condotta come trasporto senza FIR, facendo riferimento
nella stessa motivazione ad un’attività occasionale di raccolta e trasporto di rifiuti
che esclude l’applicabilità dell’art. 212, d. Igs. n. 152 del 2006; ne discende,
quindi, che è lo stesso giudice a qualificare l’attività materiale accertata e posta
in essere come quella di trasporto di materiali ferrosi di varia natura; nella
specie, conclude il PG ricorrente, non v’è dubbio che l’attività di trasporto rientra
tra quelle di “gestione” per il cui svolgimento l’art. 183, comma primo, lett. c), d.
Igs. n. 152 del 2006 richiede un titolo abilitativo, donde lo svolgimento di tale
attività in sua assenza assume rilevanza penale, non rilevando peraltro la

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prescritte autorizzazioni e senza il necessario F.I.R., conferiva rifiuti speciali non

occasionalità della condotta, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di
questa Corte.

2. Con requisitoria scritta depositata presso la cancelleria di questa Corte in data
4/06/2015, il Procuratore Generale presso la S.C. ha chiesto annullarsi
l’impugnata sentenza, essendo fondati tutti e tre i motivi di ricorso, richiamando

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Al fine di comprendere le ragioni della soluzione della questione giuridica
operata da questa Corte è necessario partire dall’esame della motivazione
dell’impugnata sentenza.
In essa il GIP sostiene che la condotta contestata non è prevista dalla legge
come reato in quanto la mera attività di conferimento rifiuti non rientra tra quelle
indicate dall’art. 256, d. Igs. n. 152 del 2006, sicchè l’applicabilità della
disposizione in esame sarebbe preclusa dal divieto di estensione analogica in
materia penale; secondo il GIP, attraverso una l’interpretazione della disciplina
applicabile (art. 258, comma quarto, e 260 bis, d. Igs. n. 152 del 2006), poiché
la fattispecie in esame riguarderebbe il trasporto per il conferimento di rifiuti non
pericolosi senza il formulario ex art. 193 d. Igs. n. 152 del 2006, peraltro da
parte di soggetto che non risulta essere costituito in impresa o che comunque
svolga attività in maniera professionale, avrebbe dovuto ritenersi già in base alla
disciplina previgente alle modifiche apportate dal d. Igs n. 205 del 2010 all’art.
258 citato, come integrante una fattispecie di illecito amministrativo, donde la
decisione di pervenire a giudizio di proscioglimento per non essere più il fatto
previsto dalla legge come reato.

5. Trattasi di argomentazione che – a fronte dell’inammissibile doglianza del P.G.
che, sul punto, non indica da quali elementi probatori od indiziari emergerebbe
l’esistenza della prova del trasporto – si risolve in un errore di diritto,
emendabile da questa Corte ai sensi dell’art. 619, comma primo, cod. proc. pen.
Il GIP, in particolare, sostiene che non costituisca reato la condotta di
“conferimento” di rifiuti speciali non pericolosi e che, in ogni caso, sarebbe
applicabile al caso in esame il disposto dell’art. 258, d. Igs. n. 152 del 2006.

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le argomentazioni già sviluppate dall’impugnante con il ricorso.

Quanto al primo profilo, è evidente, l’errata interpretazione dell’imputazione da
parte del GIP, atteso che se è ben vero che la contestazione riguarda l’aver in
più occasioni “conferito” rifiuti speciali non pericolosi ad una ditta che svolge in
modo professionale attività di gestione di rifiuti, è altrettanto vero che lo stesso
capo di imputazione fa riferimento inequivocabile alla mancanza del FIR
(formulario di identificazione dei rifiuti) che, com’è noto, richiama il disposto

Secondo il GIP si applicherebbe l’art. 258, comma quarto, d. Igs. n. 152 del 2006
che contempla una sanzione amministrativa pecuniaria per le “imprese che
raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212,
comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della
tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed
effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero
indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti”, limitando la rilevanza
penale alla sola condotta di “chi, nella predisposizione di un certificato di analisi
di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle
caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso
durante il trasporto”.
Trattasi di normativa inapplicabile al caso di specie.
Ed invero, il disposto dell’art. 193, d. Igs. n. 152 del 2006 che, com’è noto, sotto
la rubrica «Trasporto dei rifiuti» prevede, per quanto qui di interesse, al comma
quinto, che “5. Fatto salvo quanto previsto per i comuni e le imprese di trasporto
dei rifiuti urbani nel territorio della regione Campania, tenuti ad aderire al
sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188bis, comma 2, lett. a), nonché per i comuni e le imprese di trasporto di rifiuti
urbani in regioni diverse dalla regione Campania di cui all’articolo 188-ter,
comma 2, lett. e), che aderiscono al sistema di controllo della tracciabilità dei
rifiuti (SISTRI), le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di
rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico, né ai
trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo
occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di
trenta litri, né al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal produttore degli stessi ai
centri di raccolta di cui all’articolo 183, comma 1, lett. mm ). Sono considerati
occasionali e saltuari i trasporti di rifiuti, effettuati complessivamente per non più
di quattro volte l’anno non eccedenti i trenta chilogrammi o trenta litri al giorno
e, comunque, i cento chilogrammi o cento litri l’anno”.
Orbene, è palese dalla lettura della norma in esame che la normativa in
questione esenta dall’obbligo di cui al comma primo (obbligo che i rifiuti siano
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dell’art. 193, d. Igs. n. 152 del 2006, che riguarda il trasporto di rifiuti.

accompagnati da un formulario di identificazione), tre ipotesi: a) trasporto di
rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico; b) trasporti
di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo
occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di
trenta litri; c) trasporto di rifiuti urbani effettuato dal produttore degli stessi ai
centri di raccolta.

atteso che – ove il P.G. avesse indicato gli elementi, probatori e/o indiziari da cui
poteva emerge l’esistenza del trasporto – saremmo in presenza di un trasporto di
rifiuti non pericolosi effettuato non dal produttore dei rifiuti stessi (come
normativamente richiesto dal comma quinto), ma da un soggetto che ha
provveduto alla raccolta di rifiuti prodotti da terzi e che ne opera la
commercializzazione, per fini di lucro (non importa se traendovi somme
consistenti o meno), consegnandoli ad un operatore professionale, come nel caso
di specie.
La tipologia di soggetto che viene in esame nel caso di specie non rientra nella
nozione di «produttore di rifiuti» di cui alla lett. f) dell’art. 183, d. Igs. n. 152 del
2006, che qualifica come tale solo “il soggetto la cui attività produce rifiuti e il
soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore
iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre
operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti
(nuovo produttore)”, quanto, piuttosto, in quella di «detentore», descritta dalla
successiva lett. h), che qualifica come tale “il produttore dei rifiuti o la persona
fisica o giuridica che ne è in possesso”.

Ed è indubbio che il detentore dei rifiuti,

se non rispetta le previsioni della normativa di settore, risponde del reato di
gestione abusiva di cui all’art. 256, comma primo, d. Igs. n. 152 del 2006.
Del resto, l’art. 188, d. Igs. n. 152 del 2006, nel dettare i principi in tema di
responsabilità nella gestione dei rifiuti, stabilisce che il produttore iniziale o altro
detentore di rifiuti provvedono direttamente al loro trattamento, oppure li
consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, ad un ente o impresa che
effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti, o ad un soggetto pubblico o
privato addetto alla raccolta dei rifiuti, in conformità agli articoli 177 e 179,
precisando che “Fatto salvo quanto previsto ai successivi commi del presente
articolo”, non solo il produttore iniziale ma anche “altro detentore” conserva la
responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che qualora il
produttore iniziale o il detentore trasferisca i rifiuti per il trattamento preliminare
a uno dei soggetti consegnatari di cui al presente comma, tale responsabilità, di
regola, comunque sussiste.
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A ben vedere, il caso sub iudice non rientra in alcuna delle ipotesi di esenzione,

Sul punto, dunque – alla condizione, nella specie non soddisfatta, che si fosse
fornita la prova certa o, quantomeno, indiziaria, dell’esistenza della condotta di
trasporto di rifiuti speciali – non poteva esservi alcun dubbio che il fatto
addebitato rientrasse nel capo di applicazione della norma contestata, in quanto
il reato de quo è un reato impropriamente comune in quanto necessariamente
legato allo svolgimento di un’attività di gestione di rifiuti anche se limitata ad

condotta plurima. Quanto sopra è confermato dalla interpretazione fornita
recentemente da questa stessa Corte, secondo cui il reato di cui all’art. 256,
comma primo, del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che sanziona le attività di
gestione compiute in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o
comunicazione di cui agli artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del
medesimo D.Lgs. è configurabile nei confronti di chiunque svolga tali attività
anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività
primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati
e non sia caratterizzata da assoluta occasionalità, salva l’applicabilità della
deroga di cui al comma quinto dell’art. 266 del D.Lgs. 152 del 2006, per la cui
operatività occorre che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per
l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del D.Lgs. 31
marzo 1998, n. 114 e che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo
commercio (Sez. 3, n. 269 del 10/12/2014 – dep. 08/01/2015, P.M. in proc.
Seferovic, Rv. 261959; Sez. 3, n. 29992 del 24/06/2014 – dep. 09/07/2014,
P.M. in proc. Lazzaro, Rv. 260266). Giurisprudenza, questa, che ha peraltro
chiarito come a nulla rilevi la minore o maggiore entità del volume di affari al
quale il giudice del merito sembra attribuire rilievo.
In sostanza, è indubbio che solo un’attività di ripetuto commercio (reiterazione,
nella specie, all’evidenza mancante, trattandosi di un solo conferimento di rifiuti
speciali nel corso del 2012, peraltro per un quantitativo che sarebbe ben al di
sotto di quello massimo indicato dall’art. 193, comma quinto, d.lgs. n. 152 del
2006, ove il trasporto fosse stato eseguito, anziché dal detentore, da parte del
produttore dei rifiuti stessi), di rottami metallici per quantitativi
significativamente eccedenti i trasporti occasionali e sporadici come definiti dal
legislatore, anche se non integra la principale o l’esclusiva fonte di reddito
dell’agente, integri comunque l’attività sanzionata penalmente. Ciò soprattutto a
fronte di una motivazione della sentenza impugnata nella quale, invece, emerge
l’indicazione dell’assoluta occasionalità del trasporto che sarebbe confortata

ex

actis proprio dal fatto che in una sola occasione nel corso del 2012 l’imputato ha
“conferito” senza il FIR (il che significa, in altri termini, che avrebbe “trasportato”
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una sola tra le varie condotte elencate dalla norma, trattandosi di fattispecie a

senza il predetto documento: ma di detto trasporto – come detto – il P.G. non
offre nemmeno elementi indiziari da cui ne sia desumibile l’esistenza)
complessivamente alla società destinataria dei rottami metallici 58 kg. di
materiale, quantitativo sicuramente non eccedente quello massimo annuale
definito dalla legge come trasporto occasionale e sporadico per chi è produttore
di rifiuti, ma che, diversamente, sarebbe sufficiente a determinare la

Invero, va qui ricordato come il reato di trasporto non autorizzato di rifiuti si
configuri anche in presenza di una condotta occasionale, in ciò differenziandosi
dall’art. 260 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che sanziona la continuità della
attività illecita (v., tra le tante: Sez. 3, n. 24428 del 25/05/2011 – dep.
17/06/2011, D’Andrea, Rv. 250674).
Infine, non va nemmeno dimenticato che il presupposto della inapplicabilità del
regime ordinario di gestione dei rifiuti e della contestuale applicabilità del regime
giuridico più favorevole andrebbe provato da chi lo invoca, in quanto trattasi di
disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, e di
ciò non v’è traccia nel caso di specie (giurisprudenza costante: v., sull’onere
probatorio incombente in capo a chi invoca l’applicabilità di una disciplina in
deroga nella materia della gestione dei rifiuti, da ultimo, Sez. 3, n. 16078 del
10/03/2015 – dep. 17/04/2015, Fortunato, Rv. 263336).

6. La sentenza impugnata deve comunque essere confermata, come detto, in
quanto, anche ritenendo che il trasporto sia implicitamente contestato, il P.G.
impugnante non specifica quali siano gli elementi indiziari che proverebbero
l’esistenza della condotta di trasporto di rifiuti speciali.
Da, qui, dunque l’inammissibilità del ricorso del P.G.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del P.G.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 15 dicembre 2015

responsabilità penale per il trasportatore non autorizzato.

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