Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22269 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22269 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Scotti Luigi, nato a Ponza (Lt) il 10/12/1951
Scotti Silvia, nata a Ponza (Lt) il 9/8/1922

avverso l’ordinanza del 5/2/2015 del Tribunale di Latina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5/2/2015, il Tribunale del riesame di Latina rigettava il
ricorso proposto da Luigi Scotti e Silvia Scotti avverso il decreto di sequestro
preventivo emesso il 9/1/2015 dal Giudice per le indagini preliminari in sede,
così confermando il vincolo reale su una grotta ipogea di proprietà di questi sita
sull’isola di Palmarola; agli indagati era contestata la violazione degli artt. 44,

Data Udienza: 08/04/2016

comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1 bis, d. Igs. 22

gennaio 2004, n. 22, per aver effettuato sull’immobile interventi modificativi
della destinazione d’uso, in difetto di permesso di costruire ed in zona di
notevole interesse pubblico.
2. Propongono comune ricorso per cassazione gli Scotti, a mezzo del proprio
difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 158 cod. pen.. Il Tribunale avrebbe individuato il
termine di ultimazione dei lavori in modo irragionevole, incerto (almeno due

legato prima alla realizzazione di una tettoia, invero avvenuta diversi anni dopo
l’ultimazione medesima ed in termini del tutto autonomi rispetto al resto
dell’intervento, quindi all’accatastamento dell’immobile ad uso abitativo, al quale
invece non si dovrebbe assegnare alcuna valenza nella valutazione in esame;
– violazione dell’art. 181, comma

1 bis,

d. Igs. n. 42 del 2004 e,

conseguentemente, dell’art. 157 cod. pen. (motivi nn. 2 e 3) Il Tribunale,
ancora, avrebbe riconosciuto il fumus di questo delitto pur difettandone i
presupposti; ed invero, non sussisterebbe alcun provvedimento che abbia
dichiarato l’isola di Palmarola luogo di notevole interesse pubblico, emergendo
soltanto un generale vincolo paesaggistico e l’inserimento dell’area tra i siti di
importanza comunitaria e nella zona speciale di protezione; quel che risulterebbe
insufficiente nel caso di specie. In ogni caso, il delitto sarebbe ormai prescritto,
quantomeno dalla fine del 2014, in difetto di atti interruttivi;
– violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.. Il Collegio avrebbe omesso ogni
motivazione in ordine al dedotto mutamento di destinazione d’uso, facendolo
derivare – in modo illogico ed apodittico – dalla pacifica realizzazione di opere di
mera manutenzione ordinaria nel corso del 2008; le quali – sempre, ed anche in
questo caso – seguono, e non precedono, interventi di maggiore rilievo, allo
scopo di adeguare, ammodernare, abbellire quel che già esiste. Peraltro (motivo
n. 5) il Collegio ha disatteso plurimi elementi oggettivi e documentali – prodotti
dalla difesa – che confermerebbero che le opere contestate erano state
interamente realizzate molti anni prima di quanto contestato, ovvero negli anni
precedenti al 2008;
– nullità per violazione degli artt. 125, 321 cod. proc. pen.. L’ordinanza
avrebbe affermato un inaccettabile nesso consequenziale tra mutamento di
destinazione d’uso ed aggravamento del carico urbanistico; quest’ultimo – da
valutare in termini oggettivi – non sarebbe peraltro ravvisabile nel caso di specie,
atteso che l’isola di Palmarola è priva di qualsiasi opera di urbanizzazione
(illuminazione pubblica, strade, parchi, edifici pubblici, infrastrutture), sì che non
sarebbe possibile alcun intervento di aggravio del carico.

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momenti diversi) e privo di apprezzabile motivazione; in particolare, l’avrebbe

3. Con requisitoria scritta del 22/1/2016, il Procuratore generale presso
questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, che conterrebbero
doglianze di carattere motivazionale (specie in punto di prescrizione) non
consentite in sede di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per

pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla
violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in
particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione
meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di
legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004,
P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003,
Pellegrino S., Rv. 224611); ciò premesso – e come rileva il Procuratore generale
– le doglianze mosse dai ricorrenti si muovono proprio lungo quest’ultima linea,
poiché solo in apparenza censurano le dedotte violazioni di legge, in realtà
invocando una diversa lettura delle emergenze investigative e, pertanto,
contestando la motivazione adottata dal Tribunale.
La quale, per contro, risulta tutt’altro che assente o meramente apparente,
come tale non sindacabile.
5. In particolare, e con riguardo alla eccepita estinzione per prescrizione di
entrambi i reati, l’ordinanza l’ha esclusa, quantomeno per la fase cautelare,
rilevando che alla data del 6/11/2008 – giusta comunicazione depositata da
Silvia Scotti al Comune – dovevano ancora essere eseguiti lavori asseritamente
di manutenzione ordinaria, ma in realtà consistiti nel rifacimento della
pavimentazione (con sottostante massetto) e degli intonaci interni, nonché
nell’adeguamento dell’impianto idrico ed elettrico; opere che – con argomento
non certo illogico – il Collegio ha quindi valutato quali interventi di
completamento di quanto abusivamente già eseguito per trasformare una grotta
ipogea in una civile abitazione di 53mq.. Quel che ha condotto il Tribunale a
ritenere verosimilmente non ancora prescritte le contravvenzioni di cui all’art.
44, cit., e certamente non prescritto il delitto di cui all’art. 181, comma 1-bis, d.
Igs. n. 42 del 2004 (peraltro ad oggi forse non più configurabile come tale, ma
solo quale contravvenzione, previa verifica della volumetria, alla luce della
sentenza Corte cost. n. 56 del 23/3/2016, che ha dichiarato “l’illegittimità

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cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc.

costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, in esame, nella parte in cui prevede «:
a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche
siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento
emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su
immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed»”.), reati
entrambi di natura permanente. Conclusione, poi, ulteriormente sostenuta
dall’accertamento della realizzazione – nell’anno 2011 – di una tettoia esterna,
«che ampliando la materiale fruizione dell’immobile e raccordandosi ad un’opera

detti lavori costituiscono prosecuzione e completamento»; tettoia, peraltro, in
ordine alla quale non possono esser valutate le considerazioni espresse nel
ricorso quanto ad autonomia temporale e funzionale, poiché attinenti ad
elementi eminentemente fattuali che questa Corte non è chiamata a valutare. Da
ultimo, ed a carattere indiziario, l’ordinanza ha richiamato anche un dato
documentale – l’accatastamento del 28/6/2011 – al quale ulteriormente
collegare la completa e definitiva trasformazione dell’immobile.
Una motivazione – si ribadisce – nient’affatto mancante od apparente,
quindi, ma congrua perché basata su una logica lettura delle risultanze
investigative; ed a fronte della quale non sono poi opponibili le numerose
indicazioni (ancora) di cui al motivo n. 5, che intenderebbero provare il
completamento delle opere ben prima del 2008, poiché fondate nuovamente su
riscontri fattuali che non sono ammissibili in sede di legittimità.
6. Con riguardo, poi, al mutamento di destinazione d’uso, il gravame
denuncia una sovrapposizione che il Tribunale avrebbe effettuato tra questo ed i
lavori di manutenzione ordinaria di cui alla comunicazione del 6/11/2008;
orbene, la tesi non può essere accolta. Premesso che, anche in questo caso, la
doglianza si risolve in un inammissibile vizio di motivazione, osserva comunque il
Collegio che lo stesso non trova fondamento; l’ordinanza, infatti, ha prima
rilevato che i lavori, denunciati come di manutenzione ordinaria, tali non erano
attesa la loro portata (già richiamata e, peraltro, non contestata), quindi ha
sottolineato che i medesimi interventi costituivano – almeno in termini di fumus
– un ulteriore momento di quella trasformazione d’uso che i ricorrenti stavano
ponendo in essere. Trasformazione che poi gli stessi contestano, in questa sede,
sul presupposto che l’isola di Palmarola sarebbe priva di ogni opera di
urbanizzazione, sì da rendere impossibile ogni aggravio del carico urbanistico;
tesi palesemente inammissibile, poiché – ancora – fondata su elementi di fatto
che questa Corte non è chiamata a valutare.
Al riguardo, peraltro, occorre ribadire che, per costante e condiviso indirizzo
di questa Corte, «la destinazione d’uso è un elemento che qualifica la

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originariamente illegittima, vale a proseguire l’attività illegittima originaria di cui

connotazione dell’immobile e risponde agli scopi di interesse pubblico perseguiti
dalla pianificazione. Essa, infatti, individua il bene sotto l’aspetto funzionale,
specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in
considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e
disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio
a seconda della diversa destinazione di zona. Soltanto gli strumenti di
pianificazione, generali ed attuativi, possono decidere, fra tutte quelle possibili,
la destinazione d’uso dei suoli e degli edifici, poiché alle varie e diverse

in sede pianificatoria – determinate qualità e quantità di servizi. L’organizzazione
del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono quindi realizzate
attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso e le modifiche non
consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi,
alterando appunto la possibilità di una gestione ottimale del territorio» (Sez. 3,
n. 38005 del 16/5/2013, Farieri, Rv. 257689).
Ciò dato, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è
soltanto quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico, da individuarsi tenendo conto della destinazione indicata nell’ultimo
titolo abilitativo relativo all’immobile ovvero della sua tipologia, nonché delle
attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire in caso di esecuzione di
nuovi lavori (Sez. 3, n. 39897 del 24/6/2014, Filippi, Rv. 260422); esattamente
quel che è dato ravvisare – quantomeno in questa fase cautelare – nella
trasformazione di un locale da grotta ipogea ad immobile abitabile, come ben
evidenziato ancora nell’ordinanza impugnata.
7. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle
spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore
della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 ciascuno in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, l’8 aprile 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

destinazioni, in tutte le loro possibili relazioni, devono essere assegnate – proprio

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