Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22268 del 08/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 22268 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mangiapia Maria, nata a Napoli il 18/12/1944

avverso l’ordinanza del 14/10/2015 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
D (-

generale, che ha concluso chiedendo; (

. (2.2.”

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14/10/2014, la Corte di appello di Roma rigettava la
richiesta di revisione avanzata da Maria Mangiapia con riguardo alla sentenza del
Tribunale di Napoli a data 20/2/2007, irrevocabile il 3/12/2008, ritenendo che
non ricorressero i presupposti di cui all’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen. dedotti nell’istanza.
2. Propone ricorso per cassazione la Mangiapia, a mezzo del proprio
difensore, deducendo – con unico motivo – il difetto argomentativo. La Corte di
appello avrebbe emesso un provvedimento sostenuto da motivazione apparente

Data Udienza: 08/04/2016

e contraddittoria, senza peraltro spendere considerazione alcuna con riguardo
alla documentazione prodotta, che attesterebbe che la ricorrente non era né
proprietaria dell’area interessata dai lavori, né committente delle stesse opere;
figure, queste, invece riferibili alla figlia Giuseppina Russo. Le condizioni
economiche della Mangiapia, peraltro, non le avrebbero mai consentito di
effettuare un investimento immobiliare come quello in esame. L’ordinanza, di
seguito, avrebbe ipotizzato a carico della ricorrente il ruolo di concorrente
nell’abuso da altri realizzato; condotta, invero, mai contestale e, soprattutto,

prestato l’eventuale contributo.
3. Con requisitoria scritta dell’11/1/2016, il Procuratore generale presso
questa Corte ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso, ritenendo l’ordinanza
adeguatamente argomentata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Osserva innanzitutto la Corte che – per costante e condiviso orientamento
ermeneutico – ai fini dell’esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova di
cui all’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. deve condurre
all’accertamento – in termini di ragionevole sicurezza – di un fatto la cui
dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in
grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre
ogni ragionevole dubbio (Sez. 5, n. 24682 del 15/5/2014, Ghiro, Rv. 260005); in
altri termini, la prova nuova deve presentarsi, nel quadro di un ponderato
scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, come un fattore che determini una
decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base era intervenuta la
decisione, non essendo, quindi, sufficiente evocare un qualsiasi elemento
favorevole, che finirebbe per trasformare un istituto che ha il carattere di rimedio
straordinario in una non consentita forma di impugnazione tardiva (per tutte,
Sez. 2, n. 41507 del 24/9/2013, Auddino, Rv. 257334).
Ne consegue che, quando le nuove prove offerte dal condannato (costituite,
nella specie, da testimonianze) abbiano natura speculare e contraria rispetto a
quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, il Giudice della fase
rescindente deve limitarsi ad accertare se quegli elementi nuovi possano portare
ad una diversa valutazione delle prove già precedentemente esaminate (Sez. 6,
n. 7932 del 19/1/2012, Russo, Rv. 252421); proprio quel che ha compiuto la
Corte di appello di Roma, che ha rigettato l’istanza con motivazione del tutto

2

priva di qualsivoglia accertamento in ordine al soggetto al quale sarebbe stato

adeguata, priva di illogicità manifeste e sostenuta da congruo percorso logicogiuridico.
5. In particolare, l’ordinanza impugnata ha ribadito che la colpevolezza della
Mangiapia in ordine agli abusi edilizi ed al delitto di cui all’art. 349 cod. pen. era
stata tratta innanzitutto dalle dichiarazioni del verbalizzante Amato, il quale
aveva riferito che, in occasione dell’accertamento del primo illecito (3/7/2003),
la ricorrente era stata rinvenuta sul posto e nominata custode del bene; con
riguardo poi al secondo accesso (11/7/2003), la Mangiapia era stata

ha affermato che proprio la difesa dell’imputata aveva prodotto in giudizio la
documentazione presentata dalla stessa all’Ufficio del genio civile, relativa
all’immobile in esame; con la precisazione – giusta deposizione del verbalizzante
Donato – che la sanatoria presso il medesimo Ufficio del Genio era stata
presentata proprio dalla Mangiapia il 7/11/2003. Sì da risultare provata, quindi,
la penale responsabilità in ordine alla contravvenzione ascrittale, quantomeno a
titolo concorsuale. E senza tacere, infine, che la ricorrente non ha mai contestato
la propria colpevolezza in ordine al delitto di violazione di sigilli, intimamente
connesso con la violazione di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R.. 6 giugno 2001, n.
380.
Non solo.
Contrariamente all’assunto del gravame, l’ordinanza impugnata ha poi preso
in considerazione anche quanto prodotto dalla difesa a compendio dell’istanza di
cui all’art. 630 cod. proc. pen., motivandone l’irrilevanza; in particolare, con
riguardo alle dichiarazioni della Russo (si ribadisce, figlia della Mangiapia),
definite «tardive e interessate», e di tale Giuseppe Rocco, che avrebbe dovuto
riferire oggi – se escusso – in ordine a circostanza risalenti a circa 12 anni prima,
quale l’effettiva committenza dei lavori per i quali è sentenza.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.500,00.

3

prontamente convocata, e si era subito presentata. Di seguito, la Corte di appello

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 aprile 2016

Il Presidente

Consigliere estensore

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA