Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22255 del 28/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22255 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASU SERAFINO nato il 21/03/1934 a BARI SARDO

avverso la sentenza del 30/05/2011 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 28/04/2016, la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del PAOLA FILIPPI
che ha concluso per

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 28/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 30/5/2011 ha confermato
la decisione con la quale, in data 18/3/2010, il Tribunale di Lanusei, a seguito di
giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilità penale di

Serafino CASU

di cui all’art. 181, comma 1-bis d.lgs. 42\2004, per la realizzazione, in zona
agricola e sottoposta a specifico vincolo paesaggistico, di un intervento di
sopraelevazione di preesistente manufatto abusivo in assenza di permesso di
costruire e di autorizzazione paesaggistica (fatti accertati in Bari Sardo, località
Planargia il 24/4/2007).
Con ordinanza in data 4/11/2014 del Tribunale di Lanusei dichiarava, ai sensi
dell’art. 670 cod. proc. pen., la non esecutività della sentenza di appello e di
quella di primo grado, disponendo la rinnovazione della notifica dell’estratto della
sentenza e dell’avviso di deposito, dando conseguentemente atto della mancata
decorrenza dei termini per l’impugnazione della pronuncia di secondo grado,
avverso la quale il predetto propone ora ricorso per cassazione tramite il proprio
difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.

2.

Con un primo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge,

rappresentando che le opere realizzate sarebbero qualificabili quali volumi
tecnici e che la loro natura pertinenziale escluderebbe la necessità del permesso
di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica.
Rileva che la modestissima sopraelevazione del fabbricato sarebbe
finalizzata ad una migliore coibentazione dello stesso e che i giudici del merito
avrebbero erroneamente valutato le risultanze processuali, peraltro non
considerando che gli interventi erano ancora in corso di esecuzione alla data
dell’accertamento, cosicché non poteva escludersi, come invece ha fatto la Corte
di appello, che sarebbe poi stato realizzato un sottotetto.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il
vizio di motivazione, affermando che le opere eseguite non sarebbero, per natura
e consistenza, idonee ad arrecare pregiudizio all’assetto dei luoghi sottoposti a
vincolo paesaggistico e che si inserirebbero comunque in un contesto ambientale

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in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 44, lett. c) d.P.R. 380\01 ed al delitto

già degradato, a causa degli altri interventi edilizi realizzati nel corso del tempo.

4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta l’eccessività della pena irrogata e
contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

5. Con un quarto motivo di ricorso osserva che, in ogni caso, i reati ascrittigli
sarebbero ormai prescritti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso sono infondati, ma la sentenza impugnata va comunque
annullata senza rinvio per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione, come
di seguito meglio specificato.
Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, come sia del
tutto destituito di fondamento l’assunto secondo il quale l’intervento realizzato
sia ascrivibile nel novero dei c.d. volumi tecnici.
Va a tale proposito ricordato come la giurisprudenza di questa Corte sia già
intervenuta sull’argomento, ricordando (Sez. 3, n. 7217 del 17/11/2010 (dep.
2011), P.M. e p.c. in proc. La Terra, Rv. 249529) che sono volumi tecnici quelli
strettamente necessari a contenere ed a consentire la sistemazione di quelle
parti degli impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con
l’utilizzo della costruzione (serbatoi idrici, extra-corsa degli ascensori, vani di
espansione dell’impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al
di sopra della linea di gronda età), che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione entro il corpo dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (nello stesso senso, Sez. 3
n. 3590 del 25/11/2008, Silvestro ed altro, non massimata; Sez. 3, n. 37575 del
16/4/2008, Ronconi, non massimata; Sez. 3, n. 20267 del 29/2/2008,
Valguamera, non massimata. Con riferimento ai «vani di sgombero», non
annoverabili tra i volumi tecnici, poiché assolvono funzioni complementari
all’abitazione, v. Sez. 3, n. 6415 del 12/1/2007, Pacella Coluccia, non massimata).
Si è anche specificato, richiamando quanto affermato dalla giurisprudenza
amministrativa, che, per l’identificazione della nozione di «volume tecnico»,
assumono valore tre ordini di parametri, il primo, positivo, di tipo funzionale,
relativo al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l’utilizzo della
costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da

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Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

un lato all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel senso che tali
costruzioni non devono potere essere ubicate all’interno della parte abitativa) e
dall’altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti (così Sez. 3, n. 7217 del 17/11/2010 (dep.
2011), P.M. e p.c. in proc. La Terra, Rv. 249529, cit.).
Invero, anche recentemente, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito
che sono individuabili quali volumi tecnici gli impianti del tutto privi di propria
autonomia funzionale, anche potenziale, poiché strumentali di una costruzione

idrica, termica, ascensore ecc. e quelli che non possono essere ubicati all’interno
di questa, escludendo che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale
ambito al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 507 del 8/2/2016; Sez. VI n. 406 del
29/1/2015, con richiami ai precedenti. V. anche, ex pl., Consiglio di Stato sez. VI
n. 175 del 21/1/ 2015; Sez. VI n. 5932 del 1/12/2014; Sez. VI n. 5428 del
4/11/2014).
Per tali loro caratteristiche, dunque, i volumi tecnici non rientrano nel
conteggio dell’indice edificatorio, perché non generano carico urbanistico, hanno
quale unico scopo quello di migliorare la funzionalità e la salubrità delle
costruzioni e sono privi di una propria autonomia funzionale, anche potenziale.
Conseguentemente, restano esclusi da tale novero quegli interventi che
assolvono funzioni complementari all’abitazione (quali quelli di sgombero, le
soffitte e gli stenditoi chiusi) e che vanno dunque computati ai fini del calcolo
della volumetria complessiva.
Tali principi sono pienamente condivisi dal Collegio, che intende darvi
dunque continuità.

2. Ciò posto, va rilevato come, nel caso in esame, i giudici del merito
abbiano accertato in fatto, con argomentazioni prive di cedimenti logici o
manifeste contraddizioni e, in quanto tali, non censurabili in questa sede, che gli
interventi eseguiti si sono concretizzati nell’incremento dell’altezza dei muri da
un minimo di 50 centimetri ad un massimo di 1,20 metri e uniformate nelle quote
di 3 metri alla gronda e 3,20 metri al colmo, con conseguente aumento di
volumetria.
Viene inoltre specificato, nella sentenza impugnata, che l’intervento non
aveva riguardato una parte posta al di sotto del tetto, separata e non utilizzabile
nell’ambiente sottostante, come confermato dalla mancata realizzazione di un
solaio e che l’incremento volumetrico realizzato aveva comunque modificato la
sagoma e l’aspetto esteriore dell’edificio.

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principale, per esigenze tecnico-funzionali della stessa, connessi alla condotta

A fronte di tali dati fattuali, decisamente significativi, si oppone in ricorso,
del tutto apoditticamente, che le opere sarebbero state finalizzate ad una
migliore coibentazione dell’edificio.
In ogni caso, va anche rilevato che, indipendentemente dalla qualificazione
dell’intervento, lo stesso si caratterizza per essere stato effettuato, come risulta
dalla sentenza impugnata e dal ricorso, su un preesistente immobile abusivo.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, deve, in
generale, ritenersi preclusa ogni possibilità di intervento su immobili abusivi non

oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere
costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche di illegittimità
dall’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Sez. 3, n. 51427 del
16/10/2014, Rossignoli e altri, Rv. 261330; Sez. 3, n. 26367 del 25/3/2014,
Stewart e altro, Rv. 259665; Sez. 3, n. 1810 del 2/12/2008 (dep. 2009), RM. in
proc. Cardito, Rv. 242269; Sez. 3, n. 33657 del 12/7/2006, Rossi, Rv. 235382; Sez.
3, n. 21490 del 19/4/2006, Pagano, Rv. 234472).

3. L’accertata modifica della sagoma e dell’aspetto esteriore dell’edificio
evidenzia, poi, la manifesta infondatezza anche del secondo motivo di ricorso,
ove si sostiene la irrilevanza, in termini di offensività, dell’intervento eseguito in
zona vincolata.
È sufficiente ricordare, a tale proposito, come questa Corte abbia più volte
ribadito che il reato paesaggistico è un reato formale e di pericolo che si
perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice
esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente
sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione e come sia di tutta
evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela
del paesaggio, che assume rilevo, ai fini della sua configurabilità, ogni intervento
astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull’originario assetto del
territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in
difformità della prescritta autorizzazione (v., da ultimo, Sez. 3, n. 11048 del
18/2/2015, Murgia, Rv. 263289. V. anche Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon,
Rv. 254493).
Ne consegue che l’intervento realizzato, per caratteristiche e consistenza
accertate in fatto nel giudizio di merito, costituisce senz’altro una immutazione
penalmente rilevante dell’originario stato dei luoghi.
Risulta peraltro evidente che, ai fini della valutazione circa l’attitudine della
condotta contestata a porre in pericolo il bene protetto, non è richiesto al giudice

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condonati o sanati, perché essi, anche quando siano riconducibili, nella loro

alcun giudizio di comparazione dell’opera rispetto al generale contesto in cui si
colloca, poiché la configurabilità del reato non va ritenuta, come si è detto, sulla
base di un concreto apprezzamento di un danno ambientale e la
sussistenza delle speciali esigenze di tutela dell’area interessata dall’intervento è
attestata dalla imposizione del vincolo, che non può certo essere vanificata
attraverso soggettivi apprezzamenti fondati, come pretende il ricorrente, su un
successivo degrado della zona, peraltro del tutto indimostrato.

evidenza.
La Corte territoriale ha infatti ampiamente giustificato il mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non soltanto sulla base di
un precedente penale, ma anche in ragione della condotta posta in essere,
definita dai giudici del merito «spregiudicata», per il fatto che l’imputato aveva
eseguito l’intervento contestatogli su un immobile già da lui abusivamente
realizzato, non ottemperando agli ordini di demolizione impartiti dall’autorità
comunale e sfruttando la negligenza dell’amministrazione che gli aveva lasciato
la disponibilità del manufatto, del quale aveva ormai acquisito la proprietà quale
conseguenza dell’inottemperanza alle ingiunzioni alla demolizione.
A fronte di ciò, il ricorrente pone in dubbio la circostanza dell’avvenuta
acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, lamentando che di tali
evenienze non si rinverrebbe traccia nel capo di accusa.
Si tratta, però, di argomentazioni del tutto prive di fondamento, atteso che
l’ingiustificata inottemperanza all’ordine di demolizione dell’opera abusiva ed alla
rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica
dell’ingiunzione a demolire emessa dall’Autorità amministrativa determina
l’automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera e dell’area
pertinente, senza che siano necessarie la notifica all’interessato
dell’accertamento dell’inottemperanza e la trascrizione, in quanto il primo atto ha
solo funzione certificativa dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà,
costituendo titolo per l’immissione in possesso, mentre la trascrizione serve a
rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma dell’art. 2644 cod. civ. (così
Sez. 3, n. 22237 del 22/4/2010, Gotti, Rv. 247653 ed altre prec. conf.).
L’eventuale inerzia dell’amministrazione competente, evidenziata, peraltro,
dai giudici del gravame, non rileva pertanto nel caso concreto, pur essendo
ovviamente suscettibile di valutazione in altre sedi per quanto attiene la
responsabilità penale e contabile dei soggetti che hanno determinato il verificarsi
della situazione indicata.
Neppure vi era alcun obbligo di specificare, nell’imputazione, che i lavori

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4. Anche l’infondatezza del terzo motivo di ricorso risulta di macroscopica

contestati costituivano prosecuzione di un precedente intervento abusivo,
avendo gli stessi autonoma rilevanza sotto il profilo penale indipendentemente
da tale evenienza, la quale, evidentemente, risultava già dagli atti, dal momento
che nella sentenza impugnata viene posta chiaramente in evidenza.

5. Per quanto concerne la prescrizione dedotta con il quarto motivo di ricorso
deve osservarsi che, per il calcolo dei termini, va tenuto conto della sospensione
intercorsa tra il 31/3/2009 ed il 17/6/2009, per complessivi 78 giorni, per rinvio

disposta dall’organismo di categoria.
Va inoltre rilevato, per completezza, che per quanto concerne il contestato
delitto paesaggistico, occorre tener conto della sentenza n. 56 del 23 marzo 2016
con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 181, comma 1-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137), nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che,
per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole
interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente
alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai
sensi dell’articolo 142 ed», sicché il reato originariamente contestato come
delitto viene ora a configurarsi quale violazione di natura contravvenzionale.
Date tali premesse, deve dunque rilevarsi che, nelle more del presente
giudizio di legittimità, il termine massimo di prescrizione risulta spirato, per tutti i
reati oggetto di contestazione, l’11/7/2012 e questa Corte deve pertanto
prendere atto della intervenuta estinzione dei reati medesimi.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio ed
all’annullamento consegue la revoca dell’ordine di demolizione impartito dal
giudice del merito.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per
prescrizione e revoca l’ordine di demolizione.
Così deciso in data 28.4.2015

dell’udienza dovuto all’adesione del difensore all’astensione dalle udienze

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