Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22254 del 28/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22254 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SALERNO FRANCO nato il 24/12/1959 a PIAGGINE

avverso la sentenza del 31/03/2014 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 28/04/2016, la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del PAOLA FILIPPI
che ha concluso per I (0,-,-4-,3210A-w.ec>

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 28/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 31/3/2014 ha riformato la
decisione in data 31/1/2013 del Tribunale di quella città, assolvendo Salvatore
APRILE dai reati a lui contestati per non aver commesso il fatto e confermando,

era stato ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 44, lett. b), 64, 65, 71, 72,
93 e 95 d.P.R. 380\01, per la costruzione, in assenza di permesso di costruire ed
in violazione della disciplina antisismica e sulle opere in cemento armato, di un
corpo di fabbrica di circa 100 mq, nonché per l’esecuzione di movimenti di terra
per 2.000 metri cubi e per la realizzazione di muri in pietrame (fatti accertati in
Salerno, il 19 gennaio 2009).
Avverso tale pronuncia Franco SALERNO propone ricorso per cassazione
tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, lamentando
che, a fronte di un domicilio dichiarato, presso il quale era stata sempre
regolarmente recapitata la corrispondenza, la notificazione del decreto di
citazione per il giudizio di appello era stata effettuata presso il difensore di
fiducia, facendo impropriamente ricorso alla procedura di cui all’art. 161, comma
4 cod. proc. pen., in quanto, dopo che all’udienza del 24/2/2014 la Corte
territoriale aveva rilevato la mancata notifica, aveva disposto che la stessa
venisse effettuata presso lo studio del difensore, dichiarando la contumacia
dell’appellante nella successiva udienza del 31/3/2014.
Rileva, inoltre, che nonostante sia stata tempestivamente eccepita dalla
difesa la nullità della notifica, i giudici del gravame avrebbero omesso di
pronunciarsi sulla questione.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta che la Corte territoriale non
avrebbe tenuto conto della segnalata incompatibilità di un membro del Collegio la dott.ssa Anita MELE – conseguente al fatto che la stessa aveva presieduto il
Tribunale del riesame, al quale si era rivolto dopo il sequestro dell’immobile di cui
all’imputazione e deduce, pertanto, la sussistenza di una nullità di cui all’art. 178,
comma 1, lett. A) cod. proc. pen.

1

nei confronti di Franco SALERNO, la sentenza impugnata, con la quale questi

4. Con un terzo motivo di ricorso rileva la violazione dell’art. 45 d.P.R.
380\01, asserendo che la Corte di appello avrebbe disatteso, senza motivare, una
specifica richiesta della difesa di sospensione del processo penale in attesa della
decisione del ricorso, proposto al giudice amministrativo, avverso il diniego della
richiesta sanatoria per accertamento di conformità e l’ordinanza di ripristino dello
stato dei luoghi.

159, n. 3 cod. pen., assumendo che il calcolo dei periodi di sospensione del
termine di prescrizione dei reati sarebbe stato erroneamente effettuato dalla
Corte territoriale, avendo la stessa computato l’intero periodo di un rinvio
dell’udienza, disposto per impedimento del difensore, in luogo del periodo
massimo di sessanta giorni indicato dalla disposizione richiamata.
Da ciò conseguirebbe che i reati oggetto di imputazione sarebbero stati già
travolti dalla prescrizione al momento della pronuncia della sentenza impugnata,
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
Occorre preliminarmente osservare che, nell’atto di impugnazione, non viene
posta in discussione l’affermazione di penale responsabilità, essendosi il
ricorrente limitato a prospettare censure di natura processuale, lamentando,
altresì, un erroneo computo dei termini massimi di prescrizione.

2. Fatta tale premessa, deve rilevarsi, con riferimento al primo motivo di
ricorso, concernente la regolarità della notificazione del decreto di citazione per il
giudizio di appello, che, dall’esame degli atti, la cui consultazione non è preclusa
a questa Corte, stante la natura della censura formulata, emerge quanto segue.
Il ricorrente risulta indicato negli atti processuali come residente in Salerno,
via Manzo n.17\A. La difesa indica, in ricorso (pag. 2), che l’imputato è residente
da anni in Salerno, via Casa Manzo s.n.c.
Dall’esame degli atti emerge la sostanziale identità degli indirizzi, atteso
che, all’interno della cartella contenente la documentazione allegata al ricorso
per cassazione, si rinvengono, ad esempio, la fotocopia di un documento di
2

5. Con un quarto motivo di ricorso denuncia, infine, la violazione dell’art.

identità del ricorrente rilasciato nel 2011 recante l’indirizzo via Casa Manzo,
senza l’indicazione del numero civico ed un ricorso al TAR Campania, depositato
nel 2012, ove il ricorrente specifica di essere residente in Salerno, Via Casa
Manzo 17\A.
Tale ultimo indirizzo è riportato anche nell’intestazione della sentenza di
primo grado.
Inoltre, in un verbale di sequestro del 19 gennaio 2009, eseguito dalla
Guardia di Finanza – Comando Sezione Operativa navale di Salerno e

ricorrente in Salerno, via Casa Manzo 17\A.
Nel fascicolo processuale si rinvengono due relate di notifica. Nella prima,
recante il numero cronologico 5465, l’ufficiale giudiziario attesta di non aver
rinvenuto il civico 17\A e che, da informazioni assunte sul posto, il destinatario
dell’atto risulta sconosciuto. Nella seconda, individuata dal numero cronologico
9834, si legge che nella via Manzo non esiste il numero 17\A e che al numero 17
vi è un negozio chiuso da tempo.
Entrambe le relate, tuttavia, si riferiscono chiaramente ad un indirizzo
diverso da quelli in precedenza indicati e, cioè, Via Manzo Francesca 17\A.
L’irregolarità della notifica risulta effettivamente eccepita dalla difesa, ma
sulla stessa i giudici del gravame non hanno fornito risposta adeguata.
Il motivo di ricorso è, pertanto, fondato, mentre non lo sono i residui motivi.

3. Per ciò che concerne, infatti, il secondo motivo di ricorso, va ricordato
come la giurisprudenza di questa Corte abbia ripetutamente affermato che
l’incompatibilità ai sensi dell’art. 34, cod. proc. pen. non attiene alla capacità del
giudice e non determina, pertanto, la nullità del provvedimento ex artt. 178 e
179, cod. proc. pen., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione,
ovvero di ricusazione dello stesso giudice, che deve essere fatto valere
tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen. (Sez. 6, n.
39174 del 9/9/2015, Amato, Rv. 264637; Sez. 2, n. 12896 del 5/3/2015, Verdoni,
Rv. 262780; Sez. 1, n. 24919 del 23/4/2014, Attanasio, Rv. 262302 ed altre prec.
conf.).
Nel caso di specie nulla in tal senso è avvenuto, essendosi la difesa limitata
a far rilevare la “eventuale incompatibilità” di un componente del collegio
giudicante, non sollecitandone in alcun modo l’astensione né, tanto meno,
attivandosi per la ricusazione.
Nessuna risposta era dunque dovuta dai giudici del gravame a fronte della
prospettazione della questione proposta con le modalità appena descritte.
Ne consegue la manifesta infondatezza del motivo di ricorso esaminato.

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concernente l’immobile per cui è processo, risulta un’elezione di domicilio del

4. Parimenti manifesta risulta l’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
Come recentemente ricordato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n.
15427 del 31/3/2016, Cavallo, non ancora massimata) l’art. 45 del d.P.R. 380\01
stabilisce, al primo comma, che l’azione penale relativa alle violazioni edilizie
rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di
sanatoria di cui all’articolo 36.
L’ultimo comma del medesimo art. 45 prevede che, sulla richiesta di

pronunciarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, poiché,
decorso tale termine, la domanda si intende rifiutata.
Tale ultima evenienza configura una ipotesi di silenzio rifiuto (Sez. 3, n.
17954 del 26/2/2008, Termini, Rv. 240234; Sez. 3, n. 33292 del 28/4/2005,
Pescara, Rv. 232181; Sez. 3, n. 16706 del 18/2/2004, Brilla, Rv. 227960; Sez. 3, n.
10640 del 30/1/2003, Petrillo, Rv. 224353), al quale vengono collegati gli effetti di
un provvedimento esplicito di diniego, sebbene l’Amministrazione non perda il
potere di provvedere, in quanto il silenzio rigetto è esplicitamente previsto al solo
fine di consentire all’interessato di adire il giudice (ex pl. Sez. 3, n. 17954 del
26/02/2008, Termini, Rv. 240233. V. anche Sez. 3, n. 11604 del 11/11/1993,
Schiavazzi, Rv. 196069; Sez. 3, n. 16245 del 10/10/1989, Allegrini, Rv. 182627).
Si è tuttavia escluso che l’eventuale instaurazione di un procedimento
amministrativo avviato mediante ricorso avverso il diniego di sanatoria comporti
l’estensione della durata della sospensione fino alla sua definizione (Sez. 3, n.
36902 del 13/5/2015, Milito, Rv. 265085; Sez. 3, n. 24245 del 24/3/2010,
Chiarello, Rv. 247692; Sez. 3, n. 48523 del 18/11/2009, Righetti, Rv. 245418, non
massimata sul punto; Sez. 6, n. 4614 del 13/1/1994, Cammariere, Rv. 197767;
Sez. 3, n. 12779 del 2/12/1991, Leggio, Rv. 188743), come rilevato anche dalla
Corte Costituzionale nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 22, primo comma, della legge 28 febbraio 1985,
n. 47, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione (Corte Cost. ord.
247 del 26/6/2000, la quale richiama anche la sentenza n. 85 del 1998 e
ordinanza n. 309 del 1998).
Da ciò consegue che nessuna sospensione del procedimento era dovuta nel
caso in esame.

5. Per ciò che concerne, infine, il quarto motivo di ricorso, va rilevato che la
Corte territoriale ha correttamente collocato in sentenza (pag. 4) la prescrizione
al 9 gennaio 2014, calcolando il termine massimo quinquennale dalla data di
accertamento dei fatti (9 gennaio 2009).

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sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale debba

I giudici del gravame hanno però rilevato che, nel corso del giudizio di primo
grado, il dibattimento è rimasto sospeso per oltre quattro mesi ed hanno quindi
computato anche tale termine escludendo che la prescrizione fosse maturata al
momento della pronuncia della sentenza di appello.
L’esattezza del calcolo viene tuttavia posta in dubbio dal ricorrente, il quale,
come si è detto in premessa, ritiene che il periodo di sospensione non andasse
computato per intero, bensì nei limiti di cui all’art. 159, n. 3 cod. pen., trattandosi
di rinvio disposto su richiesta del difensore per suo impedimento.

dei verbali di udienza, dai quali emerge chiaramente che, complessivamente, il
dibattimento è rimasto sospeso, nel giudizio di primo grado, dal 23 febbraio 2012
al 12 luglio 2012, per 140 giorni e che il rinvio era stato disposto per adesione del
difensore all’astensione dalle udienze.
La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato, a tale proposito, che il limite di
sessanta giorni previsto dall’art. 159, comma 1, n. 3, cod. pen., non si applica nel
caso in cui il differimento dell’udienza sia determinato dalla scelta del difensore
di aderire alla astensione proclamata dagli organismi rappresentativi della
categoria, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione può
essere sospeso per il tempo, anche maggiore di sessanta giorni, ritenuto
adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell’Ufficio procedente e che la
adesione alla astensione dalle udienze non può considerarsi quale impedimento
a comparire in senso tecnico (Sez. 3, n. 11671 del 24/2/2015, Spignoli, Rv.
263052; Sez. 4, n. 10621 del 29/1/2013, M., Rv. 256067; Sez. 5, n. 18071 del
8/2/2010, Placentino e altri, Rv. 247142 ed altre precedenti, tutte conformi).
Ne consegue che nessuna censura può essere mossa alla Corte territoriale,
la quale ha correttamente escluso che il termine massimo di prescrizione dei
reati fosse effettivamente maturato al momento della decisione.

6. Rileva tuttavia la Corte che, nelle more del presente giudizio di legittimità,
il termine massimo di prescrizione è comunque spirato e la non manifesta
infondatezza del ricorso, conseguente all’accoglimento del primo motivo di
impugnazione, impone di rilevare l’intervenuta estinzione dei reati e,
conseguentemente, di annullare senza rinvio l’impugnata sentenza.
All’annullamento consegue, necessariamente, la revoca dell’ordine di
rimessione in pristino

5

Anche in questo caso la questione può essere risolta attraverso la disamina

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per
prescrizione e revoca l’ordine di rimessione in pristino.

Così deciso in data 28.4.2015

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