Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22253 del 22/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22253 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– ROCCO GIULIO, n. 30/04/1960 a Campobasso

avverso la sentenza della Corte d’appello di CAMPOBASSO in data 19/11/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. P. Filippi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. F. Mancini e dell’Avv. L. De Rosa,
che hanno chiesto accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 22/03/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 19/11/2015, depositata in data 4/12/2015, la
Corte d’appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza del tribunale
della stessa città, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche,
ha condannato ROCCO GIULIO alla pena di 8 mesi di reclusione, confermando
nel resto la sentenza appellata dall’imputato che lo aveva riconosciuto colpevole

zione dei redditi relativa al periodo di imposta 2007, con evasione IRPEF pari ad
C 393.679,00 ed evasione IVA pari ad C 186.279,00.

2. Ha proposto ricorso ROCCO GIULIO a mezzo dei difensori fiduciari cassazionisti, impugnando la sentenza predetta con cui deduce tre motivi, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c), cod. proc.
pen., per inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, l’avviso di accertamento, costituente poi notitia criminis, sarebbe stato
notificato ad un indirizzo inesistente; a fronte di una corretta notifica egli avrebbe potuto fornire tutte le giustificazioni e chiarire i dubbi dell’Agenzia delle Entrate nella ricostruzione del suo patrimonio; sicuramente l’imposta evasa sarebbe
stata determinata in minus, così da rientrare al di sotto della soglia di punibilità
indicata dal legislatore; la radicale nullità del procedimento tributario presupposto e predeterminato all’accertamento della responsabilità penale non può non
avere effetti sul procedimento penale, non essendosi potuto il contribuente – imputato difendere, non avendo ricevuto l’atto impositivo o l’accertamento effettuato; sul punto, il ricorrente richiama quanto affermato dalle Sezioni Unite d
questa Corte (sentenza n. 16424/2002) sull’inutilizzabilità delle prove acquisite
contra legem, sostenendo che l’accertamento induttivo mai notificato non poteva
costituire valida prova nel procedimento penale.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc.
pen., sotto il profilo dell’illogicità manifesta in ordine alla documentazione depositata dalla difesa concernente la residenza dell’imputato.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non provata la diversa

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del delitto di cui all’art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000, in relazione all’omessa dichiara-

residenza del ricorrente, valutando parzialmente l’eccezione proposta e solo in
relazione alla mancata compilazione del questionario inviato al contribuente imputato, non avendo questi fornito chiarimenti sul proprio comportamento fiscale; inoltre la Corte d’appello avrebbe contestato la documentazione prodotta
dalla difesa, asserendo che nel periodo in cui la notifica risulta essere stata effettuata, non risultava con certezza che il medesimo contribuente risiedesse anche

corrente, il difetto di notifica non riguarderebbe solo il questionario ma anche
l’avviso di accertamento; in ogni caso, la mancata specificazione nel certificato di
residenza che questi risiedesse al predetto indirizzo nel periodo “intermedio” non
potrebbe esser interpretato nel senso ritenuto dalla Corte d’appello, in quanto un
ipotetico cambio di residenza “medio tempore” nel triennio sarebbe sicuramente
stato riportato e, comunque, in caso di dubbio la Corte d’appello avrebbe potuto
e dovuto attivare i propri poteri istruttori; non potrebbe, infine, operare la sanatoria delle nullità degli atti per raggiungimento dello scopo, in quanto nella specie si sarebbe di fronte a notifica inesistente, in quanto eseguita nelle forme
dell’art. 140 cod. proc. civ. ad un indirizzo inesistente.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., per violazione dell’art. 5 e dell’art. 1, lett. f), d. Igs. n. 74 del 2000.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, dopo aver richiamato gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza che
convergono sulla natura autonoma della nozione penalistica di “imposta evasa”,
che in virtù dell’autonomia del procedimento penale da quello tributario, è il giudice penale a dover valutare gli elementi fattuali posti a base dell’accertamento,
sviluppando un proprio autonomo iter argomentativo; la sentenza si discosterebbe dai principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, rinunciando di fatto all’autonoma determinazione dell’imposta evasa, appiattendosi, invece, su meccanismi presuntivi ex art. 32, d.p.R. n. 600 del 1973; la Corte
d’appello avrebbe attribuito dirimente rilievo ai movimenti bancari, ma le presunzioni tributarie sul punto non sarebbero ex se idonee a giustificare la condanna quali elementi probatori; la determinazione del reddito d’impresa e del debito
d’imposta è stata influenzata dalla somma dei versamenti considerati non giustificati, sicché I motivazione della Corte d’appello sul punto sarebbe viziata, avendo valorizzato unicamente le risultanze dell’accertamento induttivo dell’Agenzia;
viene poi ad essere censurata la sentenza di questa Corte richiamata dai giudici
di appello (sentenza n. 40992/2013), in quanto riferibile agli studi di settore e
non alla materia degli accertamenti bancari, sia ancora, perché non sarebbe sta3

in tale momento in via XXV Aprile a Campobasso; diversamente, sostiene il ri-

ta garantito il contraddittorio al contribuente sia, infine, perché il relativo principio di diritto sarebbe applicabile alla sola fase cautelare e non al giudizio di merito; infine, si censura l’ulteriore error in iudicando della Corte territoriale per aver
indicato, in relazione al periodo di imposta una sogli di punibilità diversa da quella prevista (€ 77.468,53 anziché € 50.000,00), sicché l’aver fatto riferimento a
soglie di punibilità errate dimostrerebbe come la Corte d’appello sia venuta meno

qualificazione della soglia di punibilità quale elemento costitutivo o di condizione
obiettiva di punibilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

5. Seguendo l’ordine suggerito dalla struttura all’impugnazione in sede dì legittimità, può procedersi nell’esame del primo e del secondo motivo che, attesa
l’omogeneità dei profili di doglianza mossi, meritano trattazione congiunta.
Su ambedue le censure la Corte territoriale motiva a pag. 4 della sentenza impugnata, come del resto dedotto dallo stesso ricorrente nella illustrazione dei
motivi; trattasi, invero, di questione che attiene alla notifica – quand’anche si volessero seguire le ragioni del ricorrente – dell’atto impositivo, questione che non
si riverbera sul processo “tributario” penale, stante il principio di autonomia di
quest’ultimo rispetto alle vicende del procedimento “tributario” amministrativo.
Secondo, infatti, l’interpretazione di questa stessa Sezione, l’omessa notifica
dell’avviso di accertamento dell’imposta non pregiudica in alcun modo il diritto di
difesa dell’imputato. Infatti, come stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza 27 aprile 1982, n. 88, l’accertamento della imposta e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, non fa stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette (Sez. 3, n. 177 del 11/11/1987 – dep. 13/01/1988, Cogo, Rv.
177380). Le vicende attinenti, quindi, all’avviso di accertamento ed alla sua notifica, come del resto reso palese dall’art. 20 del d. Igs. n. 74 del 2000, non si riflettono sul procedimento penale; ne consegue, pertanto, che il giudice penale pur non potendo ritenere come prova che faccia stato nel procedimento penale
l’avviso di accertamento asseritamente non notificato, ben può conoscere le risultanze del medesimo, oggetto di deposizione testimoniale da parte del militare
della GDF chiamato a deporre, unitamente agli altri elementi acquisiti, ai fini della formazione del suo libero convincimento.
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al dovere di verifica del concreto superamento della soglia, a prescindere dalla

Perdono, quindi, di spessore argomentativo le doglianze difensive che ruotano
attorno alla ritualità o all’inesistenza della notifica dell’atto impositivo per essere
stata la stessa eseguita ad un indirizzo diverso o inesistente, atteso che il giudice
penale – proprio per l’autonomia del procedimento tributario da quello penale non può ritenersi vincolato né deve tener conto di quanto verificatosi nella parallela sede amministrativa, stante l’assenza di qualsiasi rapporto di pregiudizialità.

6. Quanto al terzo motivo, la Corte d’appello ha, con adeguata motivazione,
chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di dover ritenere configurabile il reato
de quo; è ben vero che la prova è stata acquisita anche mediante indagini bancarie, ma è altrettanto vero che, nel caso in esame, non può parlarsi di accertamento basato esclusivamente su metodo induttivo attraverso la presunzione di
cui all’art. 32, d.P.R. n. 600 del 1973 (che, ex se, com’è noto, non ha valore di
piena prova in sede di cognizione: v., tra le tante, Sez. 3, n. 5490 del
26/11/2008 – dep. 06/02/2009, Crupano, Rv. 243089), atteso che i ricavi risultano documentati dalle fatture attive emesse verso terzi dalla ditta verificata e
che, sulla base di tali dati documentali, sono poi stati eseguiti i controlli incrociati
della GDF da cui sono risultati i pagamenti relativi ai corrispettivi fatturati per
centinaia di migliaia di euro; la stessa Corte d’appello da inoltre atto – precisazione, questa, rilevante ai fini ella corretta determinazione dell’imposta evasa che i militari della GDF avevano provveduto, in sede di determinazione
dell’imposta evasa, a detrarre anche i verosimili costi conseguenti, a fronte delle
poste attive accertate ed in tale misura individuate (procedura, dunque, corretta
anche secondo la giurisprudenza di questa Corte: Sez. 3, n. 38684 del
04/06/2014 – dep. 23/09/2014, Agresti, Rv. 260389), e che, del resto, nessuna
spiegazione – a fronte di tale coacervo di elementi indiziari – era stata fornita dal
ricorrente per una ricostruzione del reddito di impresa diverso da quello cui era
pervenuta l’Agenzia.
Non hanno, pertanto, pregio le doglianze difensive circa la presunta assenza di
un’autonoma valutazione da parte del giudice penale circa la determinazione
dell’imposta evasa e circa la prova certa del mancato raggiungimento della soglia
di punibilità, sia perché fondate su argomenti puramente contestativi, sia perché
basate su censure che pretendono da parte di questa Corte lo svolgimento di apprezzamenti fattuali inibiti in sede di legittimità; quanto, infine, all’errore commesso dalla Corte territoriale circa l’individuazione della soglia di punibilità applicabile al periodo di imposta di riferimento, anno 2007, è chiaramente irrilevante
tenuto conto del quantum di imposta evasa sia a fini IRPEF che IVA, non potendo
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Sia il primo che il secondo motivo di ricorso sono pertanto infondati.

tale errore determinare alcuna incidenza sull’esito della procedura di valutazione
operata dalla Corte d’appello degli elementi indiziari acquisiti.
Anche tale motivo dev’essere quindi respinto perché infondato.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Solo per completezza, osserva il Collegio, non è ancora decorso
interamente il termine di prescrizione del reato in esame che, avuto riguardo al

scadenza del termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione annuale (termine per detta annualità individuato nel 30/09/2008:
Sez. 3, n. 17120 del 20/01/2015 – dep. 24/04/2015, Nicosi, Rv. 263251), conseguendone pertanto che, avuto riguardo al termine di prescrizione del reato
(anni 7 e mesi 6), aggiunti 91 giorni a far data dal 30/09/2008, consente di calcolare il dies a quo di decorrenza della prescrizione dal 1/01/2009, sicché il termine di prescrizione massima maturerà in data 1/07/2016.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 22 marzo 2016

periodo di imposta 2008, decorreva dal novantunesimo giorno successivo alla

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