Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22249 del 22/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 22249 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GERMAN MAURO, nato a Trieste il 21/02/1958

avverso la sentenza del 18/12/2014 della Corte di appello di Trieste

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Paola Filippi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Maria Genovese, che ha concluso riportandosi ai
motivi del ricorso.

Data Udienza: 22/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14.1.2013 il Tribunale di Trieste, pronunciando nei
confronti di German Mauro, imputato dei reati di cui agli artt. 2 (capi a-b-c- d), 8
(e-g-h-i-l) e 10 del d.lgs. 74/2000 (capo m), lo assolveva dalle imputazioni di cui
ai capi e) ed m) della rubrica e lo dichiarava colpevole dei residui reati ascrittigli,
condannandolo alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione.

appello proposto dall’imputato, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Trieste, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui capo a) della
rubrica per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena inflitta con riferimento
alle residue imputazioni in anni due mesi otto e gg 15 di reclusione, confermando
nel resto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione German Mauro,
per il tramite dei difensori di fiducia, articolando un unico complesso motivo di
seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come
disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen: mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1
lett. e) cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta che il Giudice di appello avrebbe affermato la
responsabilità dell’imputato fondandola su un travisamento delle prove ed in
violazione del principio di “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Deduce, quanto al primo profilo, l’erronea lettura della visura camerate del
28.2.2007 relativa all’Impresa “Costruzioni e restauri di Ferlan Livio”, l’erronea
interpretazione delle dichiarazioni rese dai testi escussi nonché l’erronea
valutazione della sentenza resa dal GUP del Tribunale di Trieste all’esito del
procedimento a carico di Lonza Alessandro.
Deduce, quanto al secondo profilo, che, secondo la giurisprudenza della Corte
di Cassazione, va pronunciata sentenza di condanna solo quando il dato probatorio
acquisito escluda eventualità remote, la cui effettiva realizzazione nella fattispecie
concreta risulti priva di ogni riscontro nelle emergenze processuali.
Conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è inammissibile.

2

Con sentenza del 18.12.2014, la Corte dì appello di Trieste, a seguito di

2. Il motivo articolato, infatti, è aspecífico, in fatto e si fonda sulla
rivalutazione del materiale probatorio.
2.1. Va premesso che compito di questa Corte non è quello di ripetere
l’esperienza conoscitiva del giudice di merito, bensì quello di verificare se il
ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza
strutturale della motivazione del giudice di appello; incompiutezza che derivi dal
non aver tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della
decisione impugnata.

discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in
quest’ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole
della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli
appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze
tra loro, oppure inconciliabili, infine, con “atti del processo”, specificamente indicati
dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o
dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento
svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da
rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez.4 n. 15081 del
08/04/2010; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed
altri).
2.2. E’, inoltre, pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema
Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato
su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate
dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La
mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la
sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare
le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecifícità che
conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla
inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011,
Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, Rv.
255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del
15.5.2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano,
Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, Rv. 230634; sez. 4, n.
15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693). Ancora di recente, questa Corte di
legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli
stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia
per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente

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La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul

motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo
apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n.
44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2.3. Va, poi, evidenziato che ci si trova di fronte ad una “doppia conforme”
affermazione di responsabilità e che, legittimamente, in tale caso, è pienamente
ammissibile la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della
sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione
impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati

E’, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza
appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola
entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal
primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 1, 22/11/1993, dep.
4/2/1994, n. 1309, Albergamo, Riv. 197250; Sez. 3, 14/2/1994, n. 4700, Scauri,
Riv. 197497; Sez. 2, 2/3/1994, n. 5112, Palazzotto, Riv. 198487; Sez. 2
13/11/1997, n. 11220, Ambrosino, Riv. 209145; Sez. 6, 20/11/2003, n. 224079).
Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella
appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella
ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo
soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate
dall’appellante. In questo caso il controllo del giudice di legittimità si estenderà
alla verifica della congruità e logicità delle risposte fornite alle predette censure.
2.4. Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella motivazione
della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi
approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame
dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che,
anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato,
le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto
decisivo.
Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del
19.10.2012, Muià ed altri Rv.254107, Sez 3, n.7406 del 15/01/2015, Rv.262423).
2.5. Per quel che concerne poi il significato da attribuire alla locuzione “oltre
ogni ragionevole dubbio”, presente nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p., quale
parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di responsabilità
dell’imputato, è opportuno evidenziare che il rispetto di tale regola deve, come
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e disattesi.

noto, guidare il giudice nel processo di ricerca della verità e nella affermazione
della colpevolezza, che va fatta solo quando questa sia accertabile in termini di
certezza. La regola dì giudizio predetta contenuta nell’art. 533 c.p.p., comma 1
come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 5 impone, infatti, al giudice il ricorso
“ad un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del
dubbio, con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in
maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (ovvero la
autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (ovvero

Tale principio, però, non ha affatto innovato la natura del sindacato della Corte di
Cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, “essere utilizzato
per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del
medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa,
una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del
giudice dell’appello (in termini Sez. 1 24.10.2011 n. 41110, P.G. in proc. Javad,
Rv. 251507).
La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta, infatti, in caso di
prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli
elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, “in modo da far risultare la
non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo
detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile”.
(Sez. 4 17.6.2011 n. 30862, Giulianelli e altri, Rv. 250903). In altri termini, si
richiede che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur
astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in rerum natura” ma la
cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, sia esclusa in assenza di
riscontri pur minimi nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine
naturale delle cose e della normale razionalità umana (così Sez. 1 3.3.2010 n.
17921, Gìampà, Rv. 247449).
3.Tanto premesso, nel caso di specie le motivazioni delle due sentenze si
saldano fornendo un’unica e complessa trama argomentativa, non scalfita dalle
censure mosse dal ricorrente, che ripropone gli stessi motivi proposti con l’appello
e motivatamente respinti in secondo grado.
La Corte dì appello non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado,
ma ha risposto punto per punto alle doglianze oggi riproposte, con argomentazioni
adeguate e logiche e, quindi, esenti da censure in questa sede.
Il ricorrente si limita a censurare genericamente la sentenza resa dal giudice
di secondo grado, allegando che la Corte territoriale non avrebbe correttamente
valutato il compendio probatorio e senza indicare alcun elemento di concretezza
al riguardo.

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l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica)”

Il vizio risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio,
senza l’indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla
capacità dimostrativa delle prove raccolte.
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere
diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece
essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentatívo
offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della
motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa;

sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e
soggettive del reato contestato.
Il perimetro della giurisdizione di legittimità è, infatti, limitato alla rilevazione
delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del
percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di competenza della
Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio indiziario. Le discrasie logiche
e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono,
inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il
compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa.
Le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, inoltre, sono frutto di
una valutazione approfondita che ha tenuto conto di tutti i dati probatori acquisiti
e sulla base della quale è stato espresso un giudizio di certezza in termini
incontestabili.
Infine, dietro l’asserito mancato rispetto della regola di giudizio compendiata
nella locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio” si pone una pretesa ricostruzione
alternativa della vicenda processuale che – nei termini in cui è stata posta – è
preclusa nel giudizio di legittimità.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.
5. L’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi dì un
valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., ivi compresa la
prescrizione (Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463; Sez.U,n.23428del
22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).

P.Q.M.
6

quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi,

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 22/3/2016

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