Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22243 del 12/05/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 22243 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI NAPOLI
nei confronti di:
FORTE SILVANA N. IL 30/06/1964
avverso l’ordinanza n. 380/2016 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
05/02/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D’ISA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Yx,
CO

GU I2

Uditi difensor Avv.;

t-4,-5 ,b

Data Udienza: 12/05/2016

RITENUTO IN FATTO
Il PROCURATORE DELLA REPUBBLICA preso il Tribunale di Avellino ricorre per
cassazione avverso l’ordinanza, indicata in epigrafe, con cui il Tribunale di Napoli sezione del riesame – in accoglimento del riesame proposto da FORTE Silvana ha
riformato l’ordinanza cautelare impositiva della custodia in carcere emessa nei confronti
di costei dal GIP del Tribunale di Avellino, in data 20 gennaio 2016, in ordine a più reati
di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, disponendo la misura dell’obbligo di dimora nel comune di
Avellino.
Il Procuratore ricorrente denuncia vizio di motivazione dell’atto impugnato.

in ordine ai plurimi episodi di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina ascritti a
Forte Silvana – peraltro evidenziando che il coacervo indiziario non è stato nemmeno
posto in discussione nella istanza di riesame – si soffermava sul profilo delle esigenze
cautelare, prospettando in prima battuta la “spiccata inclinazione al crimine di settore da
patte di FORTE Silvana”, che faceva ipotizzare una chiara anticipazione del giudizio sulla
pericolosità della prevenuta. Nel percorso argomentativo della ordinanza gravata si
insiste sulla

“duratura dedizione di FORTE Silvana all’attività di illecita cessione”,

richiamando la contestazione già elevata alla stessa in altro procedimento penale e
relativa a plurime cessioni di cocaina ad una svariata platea di consumatori, tanto da
concludere testualmente: “l’ampia platea di acquirenti ed il prolungato svolgimento dei
fatti sono dati che dimostrano di certo la non occasionalità dell’attività criminosa ed
inducono a ritenere l’esistenza di rapporti stabili e consolidati dell’indagata FORTE con
ambiti criminali di settore presso cui approvigionarsi “.
Il provvedimento impugnato, continua il ricorrente, si dilunga quindi sulla concreta
ed attuale esistenza del pericolo di recidiva, ribadendo la necessità di un presidio
cautelare idoneo a preservare le esigenze cautelari specialpreventive già ampiamente
ravvisate nella ordinanza genetica della misura. Ma,kfronte di tale ricostruzione
pienamente condivisibile del profilo cautelare, si evidenzia che il provvedimento
impugnato si appalesa clamorosamente illogico e contraddittorio nella scelta della misura,
ritenendo che strumento adeguato a contenere gli impulsi recidivanti sia la blanda misura
dell’obbligo di dimora.
Rileva/inoltre/che il Tribunale, nella parte finale del provvedimento, evidenzia
anche che la FORTE non può godere del beneficio della sospensione condizionale della
pena, ~solo sulla base di un giudizio prognostico collegato al pericolo di recidiva ma
non tenendo, invece, conto di una preclusione ex lege, evincibile dal certificato penale,
così dando ad intendere di non aver adeguatamente analizzato la biografia penale della
indagata e quindton aver saggiato la sua reale effettiva pericolosità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto con annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio al
Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Rileva che il Tribunale, dopo aver ribadito il giudizio relativo alla gravità indiziaria

Come noto, questa Corte regolatrice ha affermato che il giudice della cautela deve
verificare che ogni misura risulti adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari che si
ravvisano nel caso concreto, secondo il paradigma della gradualità del sacrificio imposto
al soggetto sottoposto a restrizione; e che la misura cautelare deve essere proporzionata
all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata (Cass.
Sez. U, Sentenza n. 16085 del 31/03/2011, dep. 22/04/2011, Rv. 249323).
La giurisprudenza di legittimità, soffermandosi l poi ‘, sulla portata delle modifiche
introdotte dalla legge n. 47 del 2015 alla disciplina relativa alla applicazione delle misure
cautelari, ha condivisibilmente osservato che le nuove disposizioni, in base alle quali si è

essere basato unicamente sulla gravità astratta del reato oggetto dell’imputazione
provvisoria, hanno codificato principi che erano già stati ripetutamente affermati dalla
giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, Sentenza n. 44605 del 01/10/2015, dep.
04/11/2015, Rv. 265350); e tale ordine di valutazioni è stato espresso anche in
riferimento all’aggiunta del termine “attuale”, quale ulteriore aggettivazione del “pericolo
concreto”. Del resto, la Corte regolatrice aveva pure già osservato che il requisito della
“concretezza” non si identifica con quello dell’attualità” – quest’ultimo derivante dalla
riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare
che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede
(Sez. 6, Sentenza n. 28618 del 05/04/2013, dep. 03/07/2013, Rv. 255857).
Una volta acclarato il pericolo di recidiva, così come emerge con evidenza dalla
lettura della ordinanza impugnata, si pone il problema della scelta della misura cautelare
“adeguata” a fronteggiare la tutela della collettività.
Il giudice, chiamato a compiere una scelta di interferenza con un diritto garantito
come costituzionalmente inviolabile, e tale è la libertà personale, deve operare secondo
la c.d. proceduralità argomentativa, che si compendia nell’espressione puntuale degli
impegni motivazionali che l’applicazione dei principi al caso vivo comporta, impedendo
derive arbitrarie o illegittime attraverso il controllo sotteso a quei principi: a) stretta
necessità; b) idoneità: c) proporzionalità in senso stretto.
Principi questi sanciti dall’art. 52 – paragrafo 1 – della Carta dei diritti
fondamentali elevata a fonte primaria dell’Unione al pari dei Trattati dall’art. 6 TUE che
così recita:” Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate
limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di
interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e la libertà
altrui”.
Dunque, il giudizio che deve operare il giudice nell’applicazione della misura
cautelare “adeguata” è di contemperamento degli interessi in gioco, da un lato, quello
individuale – libertà – dall’altro, quello generale – sicurezza sociale.
L’ordine di considerazioni che precede induce conclusivamente a rilevare che,
nel caso di specie, il Tribunale di Napoli, pur avendo correttamente censito il pericolo di
reiterazione criminosa, osservando che lo stesso risultava non solo concreto, ma anche

chiarito che il giudizio di pericolosità, ex art. 274, lett. c), cod. proc. pen., non può

attuale, in conformità ai canoni ermeneutici espressi all’indomani della novella del 2015
(Sez. 2, Sentenza n. 50343 del 03/12/2015, dep. 22/12/2015, Rv. 265395).ha poi
adottato la scelta della misura cautelare con motivazione contraddittoria e, comunque,
non congrua.
Sulla base delle considerazioni relative alla necessità della cautela (V.parte
narrativa) il Tribunale ha infatti conclusivamente considerato che il pericolo di
reiterazione criminosa, secondo il richiamato parametro della specifica attualità del
pericolo, esclusa la capacità di autocontrollo della prevenuto, poteva essere fronteggiato
anche con la misura dell’obbligo di dimora nel Comune di Avellino.

ritenere evidente “l’aporia intrinseca contenuta in una siffatta decisione, che dopo aver
evidenziato il ruolo di “stabile punto di riferimento” della Forte per un ampia platea di
acquirenti nella città avellinese, censurandone gli stabili e consolidati rapporti con il
mondo criminale da cui si rifornisce della droga in Avellino, giunge ad affermare che la
misura più adeguata risulta essere proprio quella dell’obbligo di dimora nel comune di
Avellino, ove ha spacciato cocaina ripetutamente e nei confronti di svariati consumatori
dal 2009 al 2012 secondo le risultanze investigative valorizzate dallo stesso Tribunale del
Riesame”. L’incongruità rilevata attiene direttamente alla possibilità, atteso il pericolo
concreto ed attuale di recidiva, di operare proprio laddove aveva indisturbatannente per
quindici anni svolto tale attività illegale (V. ricorso del Procuratore); giusta è infatti la
considerazione del ricorrente : “almeno le fosse stato applicato un divieto di dimora nella
città di Avellino, sede deputata in maniera costante e a dir poco professionale allo
svolgimento dell’attività di spaccio. Come dire, finora hai spacciato ad Avellino, ove hai
creato una rete fittissima di canali di approvvigionamento e dove hai raggiunto tutte le
categorie sociali di consumatori, pertanto se devo scegliere una misura cautelare idonea,
ti lascio continuare a vivere ove hai sempre spacciato!”.
Per altro, non meno puntuale è l’altra osservazione contenuta nel ricorso che
evidenzia, ancora una volta, la contraddittorietà della motivazione che ha ritenuto
concreto ed attuale il pericolo di ulteriori attività delinquenziali della FORTE nel campo
degli stupefacenti e nello stesso tempo fronteggia la sicurezza sociale con una misura che
non garantisce la prevenzione di quel pericolo. La considerazione ha ad oggetto la
censura del ragionamento sotteso alla decisione impugnata, nella parte in cui accredita la
scelta della misura come idonea anche per l’ “effetto dissuasivo sulla stessa”. Effetto che
non può essere certo determinato dalla possibilità che ha la FORTE di rimanere a
dimorare nel contesto di riferimento ove ha sempre svolto la propria attività criminale.
E’ chiaro che questa Corte non può assolutamente suggerire, nell’ambito delle
attribuzioni che le vengono riconosciute dal codice di rito, al giudice del merito quale è la
scelta giusta (con riferimento ai principi prima enunciati) nell’individuare la misura
cautelare “adeguata” al caso concreto, però può e deve censurare l’incongruità delle
ragioni sottese a quella scelta.

4

Orbene, il Collegio non può non concordare con il Procuratore ricorrente nel

P.Q.M.
Annulla l’ impugnata ordinanza e rinvia

per nuovo esame, con integrale

trasmissione degli atti, al Tribunale di Napoli (sezione per il riesame delle misure
coercitivi.).

Così deciso in Roma, all’udienza del 12 maggio 2015.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA