Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22229 del 21/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22229 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
DONNARUMMA ANNA
nei confronti di:
SERRU FRANCO N. IL 05/11/1953
PASQUI ROBERTO N. IL 24/05/1952
avverso la sentenza n. 2738/2015 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di SANTA MARIA CAPUA VETERE, del
04/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lpíté/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi dif sor Avv.;

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Cte,

Data Udienza: 21/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con al sentenza indicata in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di S. M. C. Vetere ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di
Pasqui Roberto e di Serru Franco in ordine al reato di omicidio colposo in danno
Claudio Mastracci, commesso con violazione di norme in materia di prevenzione
degli infortuni sul lavoro il 29.9.2004, perché estinto per prescrizione.

2.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della

artt. 157, 160, 161 cod. pen. e 125 cod. proc. pen. Il giudice ha errato nel
ritenere che il raddoppio dei termini di prescrizione per taluni reati, tra i quali
l’art. 589 co. 2 cod. pen., sia stato introdotto dal d.l. n. 92/2008, convento con
modificazioni nella legge n. 125/2008; tale errore lo ha indotto a calcolare
erroneamente in dodici anni e sei mesi il termine massimo di prescrizione
applicabile nel caso concreto. Diversamente da quanto ritenuto dal giudice
territoriale, il menzionato raddoppio é stata introdotta dalla legge n. 251/2005;
ne deriva che il termine massimo di prescrizione per il reato che qui occupa é
quello di quindici anni, non ancora decorso. Né era decorso quello ordinario al
tempo della pronuncia della sentenza impugnata, perché il 7.12.2010 era
intervenuta sentenza di condanna in primo grado nei confronti di un coimputato;
pertanto si era verificata l’interruzione del corso della prescrizione, poiché questa
ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato, secondo la previsione
dall’art. 161 co. 1 cod. pen. In ogni caso, soggiunge il Procuratore ricorrente, il
14.7.2014 era stato notificato al Pasqui l’invito a presentarsi al P.M. per rendere
interrogatorio e quindi un atto interruttivo; mentre il Serru era risultato
temporaneamente irreperibile.

3.

Ricorrono altresì, con unitario atto, le parti civili costituite Anna

Donnarumma, in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul minore
Samuele Mastracci, nonché Giovanni, Liana, Bruno e Chiara Mastracci.
I ricorrenti deducono la violazione dell’art. 161 cod. pen. Assumono che la
sentenza pronunciata nei confronti del coimputato Civicchioni Carlo ha
determinato l’interruzione della prescrizione anche nei confronti del Serru e del
Pasqui, ai quali viene contestato di aver commesso il reato in cooperazione
colposa con il Civicchioni.
Deducono la violazione degli artt. 157 e 160 cod. pen. per aver il giudice
ritenuto che il raddoppio dei termini é stato introdotto dal d.l. n. 92/2008, invece
che dall’art. 6 della legge n. 251/2005.
In conclusione, la prescrizione non é ancora maturata.

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Repubblica presso il Tribunale di S. M. C. Vetere, deducendo la violazione degli

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi sono fondati, nei termini di seguito precisati.
4.1. A fronte delle diverse ricostruzioni che emergono dalla sentenza e dai
ricorsi appare opportuno fornire una elencazione dei referenti normativi che
assumono prioritario rilievo nell’analisi del tema proposto dai ricorrenti.
Il reato ascritto agli imputati viene contestato come commesso il 29.9.2004.
Al tempo l’art. 589 cod. pen. constava di tre commi. Nel primo era descritta
l’ipotesi ‘base’, caratterizzata dal cagionare la morte di una persona; la pena

prevedeva un inasprimento del trattamento sanzionatorio, limitato al minimo
edittale (la pena, infatti, si elevava al minimo di un anno di reclusione, fermo il
massimo di cinque anni) se il fatto era commesso con violazione delle norme
sulla disciplina stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il terzo comma considerava l’ipotesi della morte di più persone e quella delle
morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, definendo la pena
per il concorso formale di reati che così veniva a profilarsi.
Con l’art. 2 della legge 21.2.2006, n. 102 si intervenne, per quel che qui
occupa, sul secondo comma dell’art. 589 cod. pen., elevando la pena minima
prevista per il caso che il fatto fosse commesso con violazione delle norme sulla
disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro; tale pena venne fissata in due anni di reclusione, ancora fermo il
massimo di cinque anni di reclusione.
Con l’art. 1 d.l. n. 23.5.2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge
n. 125/2008, si elevò invece la pena massima prevista dal secondo comma
dell’art. 589 cod. pen., fissandola in sette anni di reclusione. Inoltre, si
introdusse un ulteriore comma dopo il secondo, con il quale si articolò
l’aggravante incentrata sulla violazione delle norme in materia di circolazione
stradale, prevedendo la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è
commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale
da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2,
lett. c) Cod. str.; 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Con tecnica normativa non esemplare (si era contestualmente introdotto un
nuovo terzo comma), il menzionato comma 1 del d.l. n. 92/2008 stabilì che la
pena prevista dal terzo comma dell’art. 589 cod. pen. (quello originario,
disciplinante il concorso formale di morti e di lesioni) divenisse, nella sua
espressione massima, di quindici anni di reclusione. In sede di conversione si
introdusse all’art. 1 del d.l. un comma c-bis), con il quale si ripristinò la
correttezza dei rinvii previsti dall’art. 157 cod. pen., nel frattempo modificato
dalla legge n. 251/2005, e che presentava il seguente tenore:

“all’articolo 157,

prevista era quella della reclusione da sei mesi a cinque anni. Il secondo comma

sesto comma, le parole: “589, secondo e terzo comma”, sono sostituite dalle
seguenti: “589, secondo, terzo e quarto comma”.
Per effetto della successione degli interventi sin qui rammentati l’art. 589
cod. pen. consta dall’entrata in vigore del d.l. n. 92/2008 di quattro commi. Ai
limitati fini della presente trattazione basta ripetere che il primo comma
stabilisce che chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la
reclusione da sei mesi a cinque anni, mentre il secondo comma prevede che se il
fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione

reclusione da due a sette anni.
Sin qui gli interventi del legislatore sulle comminatorie edittali.
In parallelo si sono registrate le note modifiche in materia di prescrizione.
Il primo termine di riferimento é ovviamente la legge n. 251/2005 (cd. exCirielli), che nel contesto di una articolata disciplina da un canto ha riscritto l’art.
157 cod. pen. ponendo la regola per la quale la prescrizione estingue il reato
decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla
legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a
quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena
pecuniaria. Dall’altro – limitando per ora la ricognizione a quel che più rileva – ha
inserito per la prima volta (come esattamente rimarcano tutti i ricorrenti) la
regola del raddoppio dei “termini di cui ai commi che precedono … per i reati di
cui agli articoli 449 e 589, secondo e terzo comma,…” cod. pen. (così l’originario
comma 6 del novellato art. 157 cod. pen., come visto modificato dall’art. 1 del
di. 92/2008, che ha inserito il richiamo del quarto comma dell’art. 589 cod.
pen., che si legge nel testo oggi vigente). Non é inutile segnalare che alla data
dell’8.12.2005, di entrata in vigore della legge cd. ex Cirielli, l’art. 589 cod. pen.
constava ancora di tre commi e che l’ipotesi aggravata dalla violazione delle
norme prevenzionistiche era prevista dal comma 2.
4.2. Così delineato un primo quadro normativo cui fare riferimento, si può
passare a considerare che al tempo in cui venne commesso il reato ascritto al
Pasqui e al Sarru la pena massima prevista per l’omicidio colposo aggravato dalla
violazione di norme prevenzionistiche era quella di cinque anni di reclusione.
Come noto, il succedersi di differenti discipline della prescrizione impone di
ricercare ed applicare quella più favorevole al reo, tenendo ben presente il
divieto di realizzare soluzioni combinatorie (ex multis, Sez. 4, n. 7961 del
17/01/2013 – dep. 19/02/2013, Pg in proc. Capece, Rv. 255103). Orbene,
secondo la disciplina della prescrizione vigente al 29.9.2004, l’estinzione del
reato di cui ci si occupa si determinava in dieci anni, trattandosi di delitto per cui
la legge stabiliva la reclusione non infer’ore a cinque anni; dovendosi

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stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della

considerare, per determinare il tempo necessario a prescrivere, il massimo della
pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto
dell’aumento massimo della pena stabilito per le circostanze aggravanti e della
diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti (assenti nella
contestazione elevata agli imputati).
Le regole sulla interruzione del termine di prescrizione conducevano poi a
individuare in quindici anni il termine massimo di prescrizione.
Nel nuovo regime instaurato dalla legge n. 251/2005 – la cui applicazione al

termine di prescrizione per reati che prevedono la pena massima di cinque anni
di reclusione – come quello contestato agli imputati – non é quello
corrispondente al massimo della pena prevista bensì quello fissato in via
sussidiaria dal legislatore con valenza generale, pari ad anni sei di reclusione.
Tuttavia per il reato previsto dall’art. 589, co. 2 cod. pen. tale termine é
raddoppiato, secondo la previsione del comma 6 dell’art. 157 cod. pen.
Qui si pone una prima puntualizzazione. La regola del raddoppio attiene al
regime della prescrizione e non certo a quella del reato di omicidio colposo
aggravato ai sensi del comma 2 dell’art. 589 cod. pen. Sicchè non si pone
neppure il dubbio se questa regola possa applicarsi o meno ad un reato
commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 251/2005. La questione
della lex mitior si pone nei diversi termini del raffronto delle soluzioni cui
conduce l’applicazione dell’una e dell’altra complessiva disciplina della
prescrizione.
La seconda puntualizzazione concerne la identità della regola del raddoppio:
la quale non incide sulla pena edittale bensì sul termine di prescrizione che a
quella é coordinato (e che, come visto, può essere corrispondente oppure no al
massimo della pena prevista). Ed inoltre, poiché i commi che precedono il sesto
nell’art. 157 cod. pen. attengono unicamente al termine ‘ordinario’, ovvero quello
che non tiene conto di eventuali sospensioni o interruzioni del medesimo, la
regola del raddoppio si applica su tale termine e non su quello massimo (che
infatti risulta dalla regola posta dall’art. 161, co. 2 cod. pen.). Per esemplificare,
ove il termine ordinario sia quello di sei anni e quindi quello massimo di sette
anni e sei mesi, il raddoppio del termine concerne la misura di sei anni, non
quella di sette anni e sei mesi. Ove si determini una causa interruttiva o di
sospensione del termine, la previsione dell’art. 161, co. 2 cod. pen., secondo la
quale in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento
di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, condurrà a calcolare
l’aumento sul termine raddoppiato, ovvero su dodici anni (e non sul termine di
sette anni e sei mesi).

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caso in esame non viene esclusa dallo stato del procedimento (cfr. art. 6) – il

Orbene, applicando la più recente disciplina della prescrizione risulta che il
termine massimo di prescrizione é di quindici anni, esattamente come nel
diverso contesto normativo previgente; per contro, il termine ‘ordinario’ di
prescrizione secondo la disciplina previgente é di anni dieci; secondo quella
attualmente vigente é di dodici anni.
4.3. A questo punto ci si può avviare rapidamente alle conclusioni. Il Giudice
dell’udienza preliminare ha certamente errato nel calcolare il termine massimo di
prescrizione in dodici anni e sei mesi. L’errore trova origine nell’aver individuato

concludere che in forza delle disposizioni introdotte dalla legge n. 251/2005 il
termine massimo di prescrizione era pari a sette anni e sei mesi.
Di contro, il termine massimo di prescrizione é in ogni caso di quindici anni.
Quanto al termine ordinario, sulla scorta di quanto sin qui esposto appare
evidente che risulta più favorevole agli imputati nel presente procedimento la
disciplina più risalente.
Occorre quindi verificare se si siano prodotti atti interruttivi della
prescrizione prima del 29.9.2014.
4.4. L’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio previsto dall’art. 375
cod. proc. pen. spiega l’effetto interruttivo del corso della prescrizione ai sensi
dell’art. 160 cod. pen. (ex multis, Sez. 2, n. 35202 del 02/07/2013 – dep.
21/08/2013, La Pietra, Rv. 257093); e a tal fine assume rilievo il solo fatto della
emissione dell’atto, restando ininfluente sulla manifestazione della volontà di
perseguire il reato la mancata notifica del medesimo al destinatario. Le parti
civili ricorrenti non hanno però documentato l’asserita interruzione del termine di
prescrizione con l’atto costituito dall’invito a comparire ex art., 375 cod. proc.
pen. inviato agli imputati. Pertanto il ricorso non é per tale profilo
autosufficiente.
Tuttavia, le ricorrenti parti civili hanno documentato con la produzione della
sentenza emessa il 7.12.2010 dal Tribunale di S. M. C. Vetere, sezione distaccata
di Marcianise – così soddisfacendo il principio dell’autosufficienza del ricorso che il 18.11.2008 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di di S. M. C.
Vetere emise decreto che dispone il giudizio nei confronti di Civicchioni Carlo, per
aver cagionato la morte del Mastracci. Il decreto di citazione a giudizio rientra gli
atti interruttivi del termine di prescrizione, con effetto dalla data della sua
emissione, coincidente con quella in cui l’atto si è perfezionato con la
sottoscrizione del P.M. e dell’ausiliario che lo assiste, e non già da quella,
successiva, della sua notificazione all’interessato (Sez. 1, n. 13554 del
26/02/2009 – dep. 27/03/2009, P.G. in proc. Mihaiu, Rv. 243137).

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nel d.l. n. 92/2008 la fonte della regola del raddoppio; ciò ha portato il giudice a

Inoltre, nel caso di specie il Civicchioni ha riportato il 7.12.2010 condanna
per l’omicidio colposo in danno del Mastracci, sia pure non descritto come
commesso in cooperazione colposa con altri. La sentenza sopra menzionata dà
atto che inizialmente il Pasqui era stato coindagato del Civicchioni e che la sua
posizione era stata archiviata. Ed é proprio quel giudice che, dopo aver escusso
come testi tanto il Pasqui che il Sarru, ha trasmesso gli atti all’ufficio di Procura
ravvisando elementi di reità a carico dei medesimi.
Si pone quindi il tema dell’applicabilità della regola di cui all’art. 161, co. 1

La giurisprudenza di questa Corte si é espressa con molteplici formulazioni
per la irrilevanza delle specifiche vicende processuali. Si é così affermato, in anni
ormai lontani ma con statuizioni ancora persuasive, che la interruzione della
prescrizione, a mente dell’art. 161 cod. pen., ha effetto per tutti coloro che
hanno commesso il reato e quindi anche nei confronti di chi, partecipe del reato,
non abbia assunto la veste di imputato all’epoca del verificarsi della causa della
interruzione (Sez. 6, n. 1190 del 30/08/1968 – dep. 17/10/1968, Pacifico, Rv.
109341); che la prescrizione ha natura oggettiva, nel senso che colpisce il reato
prescindendo dal suo autore; e che la stessa natura hanno gli atti che ne
interrompono il corso, la cui efficacia é estesa a tutti coloro che hanno commesso
il reato. Se ne é quindi dedotto che, interrotta la prescrizione nei confronti di chi
ha già assunto la veste di imputato, gli effetti interruttivi si riflettono anche nei
confronti di chi tale veste potrà assumere nel corso dello stesso procedimento
(Sez. 3, n. 4691 del 21/01/1974 – dep. 04/07/1974, Vecchione, Rv. 127325; e
non v’é ragione per escludere che tanto valga anche per l’ipotesi di procedimenti
separati). Si é aggiunto che la regola secondo cui l’interruzione della prescrizione
verificatosi nei confronti di un imputato non richiede che gli imputati siano
concorrenti nello stesso reato ai sensi dell’art. 110 codice penale, ma è
sufficiente l’imputazione per lo stesso reato (Sez. 3, n. 5551 del 22/02/1982 dep. 03/06/1982, Franchino, Rv. 154087). Più di recente si é ribadito che la
regola secondo cui l’interruzione della prescrizione verificatasi nei confronti di un
imputato ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato (art. 161 cod.
pen.) si applica anche agli imputati dello stesso reato nei cui confronti
l’imputazione sia stata elevata in un momento successivo e formi oggetto di un
separato giudizio (Sez. 1, n. 47153 del 27/11/2009 – dep. 11/12/2009, Burgio,
Rv. 245726).
Deve quindi concludersi per la ricorrenza di atti interruttivi della
prescrizione, con effetti anche nei confronti degli odierni imputati non ricorrenti,
intervenuti prima dello spirare del termine ordinario di prescrizione.

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cod. pen.

Risulta quindi la fondatezza dei ricorsi e la sentenza impugnata va pertanto
annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di S. M. C. Vetere
per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di S. M. C. Vetere.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/4/2016.

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