Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22222 del 19/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22222 Anno 2016
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bruno Nino, nato il 19/11/1959

avverso l’ordinanza n. 34/2014 del 23/06/2015 della Corte di appello di Salerno

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Pasquale Gianniti;
lette le conclusioni del Procuratore Generale della Repubblica presso questa
Corte, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria Giuseppina Fodaroni,
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso con ogni conseguente pronuncia.

Data Udienza: 19/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Salerno, con sentenza emessa in data 28 febbraio
2014, ha assolto ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p. Bruno Nino
dall’imputazione ex art. 74 d.P.R. 309/1990 per non aver commesso il fatto.
La stessa Corte, quale giudice della riparazione, con ordinanza 27 luglio
2015 emessa a seguito di udienza camerale, ha respinto la domanda di

relazione alla custodia cautelare dallo stesso subita dal 28 febbraio al 26
settembre 2011.

2.Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso l’interessato, a mezzo del
proprio difensore di fiducia, articolando un unico motivo di ricorso nel quale
deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta
insussistenza del proprio diritto alla riparazione.
Il ricorrente premette che il Giudice della riparazione, nel rigettare la sua
domanda, ha valorizzato tre elementi: a) una telefonata intercorsa tra lui e
Alfano Giuseppe, nel corso della quale quest’ultimo gli aveva chiesto di fargli
conoscere l’indirizzo di tale Cardarelli Salvatore; b) un contatto telefonico del 9
dicembre 2008, dal contenuto neutro; c) il contatto telefonico del 2 febbraio
2009 tra lui ed Alfano Giuseppe, che lo aveva invitato ad accompagnarlo a
Milano per il giorno successivo.
Quindi il ricorrente fa presente, quanto alla prima telefonata, che lui non
conosceva il motivo per il quale gli era stato richiesto l’indirizzo del Cardarelli;
quanto al contatto del 9 dicembre 2008, che dallo stesso non emerge alcuna
attività illecita; quanto infine al contatto telefonico del 2 febbraio 2009, che lui
non conosceva il motivo del viaggio a Milano di Alfano Giuseppe, ma si era
dichiarato disponibile ad accompagnarlo, come di fatto poi fece.
Aggiunge che i suddetti elementi erano stati ritenuti dal Gip e dal Tribunale
del riesame gravemente indizianti della sua colpevolezza (in relazione alla
contestata sua partecipazione ad una associazione finalizzata al traffico degli
stupefacenti – con a capo i fratelli Alfano – ed in relazione al suo concorso nella
falsificazione di documenti), ma non da questa Corte regolatrice che ne aveva
disposto la liberazione.
In definitiva, secondo il ricorrente, che precisa anche di essere incensurato e
privo di carichi pendenti, la Corte territoriale avrebbe errato nel negargli il diritto
alla riparazione, proprio perché non erano stati acquisiti elementi che potevano
farlo ritenere partecipe di una associazione finalizzata al traffico di sostanza

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riparazione per ingiusta detenzione presentata nell’interesse di Bruno Nino in

stupefacente e tanto meno che potevano farlo ritenere concorrente nel reato di
falso. La sua unica colpa sarebbe stata quella di conoscere l’Alfano, delle cui
attività illecite nulla sapeva.

3. Il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte, in sede di
requisitoria scritta, chiede il rigetto del ricorso.

4.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito tramite

ricorso ovvero in subordine il rigetto dello stesso, con ogni conseguente
statuizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.

2. Occorre prendere le mosse dalla pronuncia con la quale le Sezioni Unite di
questa Corte sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione se la circostanza
dell’avere dato o concorso a dare causa alla misura custodiale per dolo o colpa
grave operi quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa
riparazione per ingiusta detenzione anche nell’ipotesi, di cui all’art. 314, comma
2, cod. proc.pen., di riparazione per sottoposizione a custodia cautelare in
assenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc.pen.
(Sez. U, n.32383 del 27/0512010, D’Ambrosio, Rv. 247663).
2.1. Il diritto alla riparazione viene, infatti, riconosciuto, in via principale, nel
comma I dell’art. 314 cod. proc.pen., con riferimento all’ipotesi di una custodia
cautelare (nozione comprensiva sia della custodia carceraria che di quella
domiciliare), la cui ingiustizia (cosiddetta ingiustizia sostanziale) derivi, non da
elementi afferenti al momento della sua applicazione bensì, dal semplice dato
postumo del definitivo proscioglimento del soggetto con una delle ampie formule
in facto o in iure previste. Il riconoscimento del diritto è esplicitamente
subordinato alla condizione della inesistenza di una condotta dolosa o
gravemente colposa del soggetto causativa o concausativa della custodia stessa.
2.2. Ai sensi dell’art. 314, comma 2, cod.proc.pen., il diritto alla riparazione
spetta anche al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del
processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione
irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è
stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità
previste dagli artt. 273 e 280 cod.proc.pen. Le disposizioni citate si applicano,

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l’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del

alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato
provvedimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere.
L’ipotesi normativa prevista dall’art. 314, comma 2, cod.proc.pen. riguarda,
pertanto, i casi in cui, a prescindere dall’esito del processo (quindi anche in caso
di condanna), venga accertato con decisione irrevocabile che la custodia
cautelare è stata disposta o mantenuta illegittimamente (ingiustizia formale della
restrizione subita dall’imputato: In questo caso l’ingiustizia appartiene alla
situazione cautelare, rilevano cioè i vizi della misura tipizzati dal legislatore ed

applicabilità previste dagli artt. 273 (gravi indizi di colpevolezza, cause di
giustificazione e di non punibilità, cause di estinzione del reato) e 280
cod.proc.pen. (titolo del reato, ovvero nell’ipotesi del reato punito con pena
edittale inferiore al limite quantitativo ivi indicato).
2.3. Nel secondo comma dell’articolo, lo “stesso diritto” (di cui al primo
comma) è dunque riconosciuto, indipendentemente dall’esito finale del processo
di merito, a chiunque sia stato sottoposto a custodia cautelare, della cui
applicazione sia stata accertata, con decisione irrevocabile, la non conformità alle
previsioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc.pen. (cosiddetta ingiustizia
formale). Tale disposizione contiene due limitazioni: una, inerente al titolo della
privazione della libertà (circoscritto alle misure detentive), e l’altra, relativa alla
esclusione della rilevanza della violazione delle regole in tema di esigenze
cautelari. Su tale impianto normativo è più volte intervenuta (con richiamo alle
fonti internazionali), nel senso di ampliare il campo di applicazione dell’istituto
riparatorio, la Corte Costituzionale.
2.4. La richiamata pronuncia delle Sezioni Unite ha condiviso il principio, già
affermato da questa Sezione (cfr. sent. n.6628 del 16/02/2009, Totaro, Rv.
242727), secondo il quale ragioni esegetiche e di razionalità dell’istituto militano
a favore dell’operatività della condizione ostativa di cui all’art. 314, comma 1,
ult. parte, cod. proc.pen. anche nelle ipotesi cosiddette di “ingiustizia formale”;
ma ha nel contempo affermato che, in dette ipotesi, presupposto necessario e
sufficiente per il riconoscimento del diritto alla riparazione resta la sola pronuncia
definitiva (di merito o cautelare, si vedano in proposito gli approdi
giurisprudenziali di Sez. 4 nn. 1098312007, 36907/2007, 8869/2007,
23896/2008) che abbia accertato l’insussistenza delle condizioni di applicabilità
della misura cautelare, qualora l’illegittimità della misura cautelare fosse
riconoscibile dal Giudice per le indagini preliminari nel momento in cui emise il
provvedimento.

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accertati con provvedimento irrevocabile), cioè nell’assenza delle condizioni di

3. Nel caso di specie, la Sezione Sesta di questa Corte, a seguito di ricorso
dell’interessato, con sentenza n. 29667 del 5/7/2011, ha annullato l’ordinanza
18/03/2011 con la quale il Tribunale del riesame di Salerno aveva respinto la
richiesta di riesame avverso l’ordinanza genetica della misura (emessa dal
Giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale in relazione ai reati di
partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 1, di
concorso nell’acquisto di sostanze stupefacenti e nell’acquisto di monete
contraffatte di cui al capo 10 ed infine nella contraffazione di una patente di

questa sede sull’ordinanza impugnata denota un vizio di motivazione, sotto il
profilo della carenza e congruenza argomentativa della prognosi indiziaria
imposta dall’art. 273 c.p.p.”.
Più precisamente, nella citata sentenza si legge:
«Quanto al reato di cui al capo 10), il nucleo dell’assunto accusatorio trae
essenziale alimento da elementi che, pur non essendo trascurabili, appaiono,
tuttavia, inidonei, sul piano inferenziale, a fornire una base consistente alla
dimostrazione che l’oggetto del viaggio concordato fosse l’acquisto di droga.
«Il Tribunale, con palese falla nella coerenza ricostruttiva, giunge invero a
tale conclusione sol perché Alfano viene trovato – durante il controllo
autostradale del 3 febbraio 2009 – privo del denaro, del quale avrebbe avuto la
disponibilità prima della partenza, e per la presenza di una seconda autovettura
al suo seguito al rientro dal viaggio. Davvero poco, come base fattuale, per poter
pervenire alle conclusioni dell’ordinanza impugnata.
«La stessa circostanza, valorizzata dal Tribunale, di precedenti viaggi fatti da
Alfano a Milano per acquistare droga – che avrebbe assunto significato indiziante
laddove fossero state evidenziate analoghe modalità organizzative e esecutive
per l’approvvigionamento dello stupefacente, così da iscrivere l’episodio in un
preciso modus operandi del gruppo criminale – viene data per accertata, mentre
dall’ordinanza cautelare risulta che anche tale ipotesi investigativa è stata
ricostruita in via indiziaria.
«Analoghe e gravi lacune motivazionali si rinvengono anche per ciò che
attiene al capo 14). Il Tribunale apoditticamente fonda la gravita indiziaria della
partecipazione del Bruno nel suddetto reato nella sola emergenza processuale,
costituita dal contatto creato tra l’Alfano e il Caldarelli, senza nulla evidenziare
quanto alla consapevolezza da parte di costui delle concrete circostanze del
fatto, non potendosi certo ritenere sufficiente ad integrare il concorso nel reato la
generica conoscenza da parte del Bruno della “inclinazione delittuosa alla
creazione di beni falsi” del Caldarelli.

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guida di cui al capo 14), affermando che: «la verifica di legittimità condotta in

«Le considerazioni che precedono travolgono, per l’effetto, anche la
motivazione dell’ordinanza impugnata con riferimento al capo 1), posto che la
sussistenza di gravi indizi in ordine alla partecipazione del Bruno al reato
associativo è stata essenzialmente desunta dai suddetti episodi criminosi».

4.- A seguito della sopra richiamata sentenza di questa Corte, che ha
ritenuto carenti i gravi indizi di reato nei confronti del ricorrente,
successivamente assolto, il Tribunale del riesame di Salerno con ordinanza 26

Bruno Nino ed ha conseguentemente annullato l’ordinanza di custodia cautelare
18/02/2011 emessa dal Gip.
Nel caso di specie, dunque, è astrattamente configurabile sia un caso di
ingiustizia formale (art. 314 comma 2 c.p.p., in base al quale l’indennizzo spetta
a prescindere dall’esito del procedimento di merito) che un caso di ingiustizia
sostanziale (art. 314 comma 1 c.p.p.).
Risulta allora imprescindibile una specifica verifica da parte del giudice della
riparazione, tenuto ad accertare se l’assenza delle condizioni di applicabilità della
misura sia stata affermata sulla base dei medesimi elementi conosciuti dal
giudice della cautela ovvero sulla base di decisivi elementi emersi in un momento
successivo a quello della sua adozione. Se, infatti, il Giudice per le indagini
preliminari fosse stato oggettivamente nelle condizioni di negare la misura,
nessuna efficienza causale nella sua determinazione potrebbe avere avuto la
condotta dolosa o gravemente colposa dell’indagatottr— 9 °

112c)(17

In altri termini, occorre valutare la posizione del ricorrente innanzitutto sotto
il primo profilo (quello della c.d. ingiustizia formale) e, nel caso in cui detta
valutazione abbia avuto esito sfavorevole per l’interessato, passare al secondo
profilo (quello della c.d. ingiustizia sostanziale).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, quale giudice della riparazione, ha
ritenuto che il ricorrente abbia cagionato con colpa grave l’applicazione a suo
carico della misura cautelare (p.3), ma non risulta aver effettuato la previa
valutazione della posizione del ricorrente sotto il profilo della c.d. ingiustizia
formale.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per
nuovo esame. Il giudice di rinvio dovrà accertare se, nel corso del procedimento
siano stati compiuti atti o siano emerse circostanze ulteriori rispetto al quadro
iniziale, anche nel senso della mancata conferma dell’ipotesi investigativa, che
abbiano assunto rilevanza ai fini della valutazione in esame. E, soltanto nel caso
in cui tale indagine abbia avuto esito positivo, potrà procedere a valutare il

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settembre 2011 ha accolto la richiesta di riesame in precedenza proposta da

comportamento emerso per riscontrare nello stesso l’eventuale sussistenza della
condotta, dolosa o gravemente colposa, ostativa alla riparazione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di
appello di Salerno.

Così deciso il 19/04/2016.

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