Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22219 del 11/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22219 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
TURCHETTA MARCO

n. il 24.02.1964

avverso l’ordinanza n. 64/2013 della Corte d’appello di Milano del
08.05.2014
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita all’udienza camerale dell’Il febbraio 2016 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Claudio D’Isa
Lette le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott. Enrico
Dellehaye che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 11/02/2016

RITENUTO IN FATTO

TURCHETTA Marco ricorre per cassazione avverso l’ordinanza, indicata in epigrafe,
con cui la Corte d’Appello di Milano ha rigettato la sua istanza di riparazione per l’ingiusta
detenzione sofferta a seguito dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, in data
01.10.2003, del GIP del locale Tribunale in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 81 cpv. cod.
pen. e 73 d.P.R. 309/90, in data 06.07.2004 il GIP sostituiva la misura della custodia in
carcere con quella degli arresti domiciliari che duravano sino a 18.10.2009.

04.11.2010 (divenuta irrevocabile), assolveva il Turchetta dai reati ascritti ai sensi del 2°
comma dell’art. 530 c.p.p..
La Corte d’Appello, nel riportare la parte motiva della sentenza di assoluzione, ha
evidenziato che gli elementi che i giudici del merito non hanno ritenuto sufficienti per
raffermare la responsabilità del ricorrente, rivalutati con autonomia di giudizio in sede
del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, indicano in maniera evidente la
colpa grave del ricorrente ostativa all’accoglimento della domanda.
Nell’ordinanza impugnata si rileva, infatti, che alcuni degli elementi di fatto posti
a carico del Turchetta non risultano essere stati esclusi dalla sentenza di assoluzione
della Corte d’appello. In particolare, si premette che, a seguito di indagini avviate, a
mezzo di intercettazioni telefoniche ed altre attività di Polizia giudiziaria, si acquisivano
numerosi elementi circa un’attività illecita di narcotraffico riguardante numerosi
personaggi, tra cui tale Centore Pasquale, Aldo Ferrucci, Luciano Morosin, Luciano De
Sano e di altri; nei confronti di costoro veniva emessa ordinanza cautelare in data
13.02.1999, successivamente alla quale tali indagati iniziavano a collaborare con i
magistrati. In sintesi, il procedimento che dava luogo all’ordinanza di custodia cautelare
a carico del Turchetta riguardava una serie di episodi di reati ex art. 73 d.P.R. 309/90
ricostruite da Centore e che coinvolgevano l’istante. In particolare il collaborante
indicava il TURCHETTA quale “trasportatore” dello stupefacente da Milano a Roma per
conto di Senese Gennaro, cliente del Centore. Analoghe dichiarazioni circa i rapporti tra
Centore e Senese venivano rese dagli altri collaboranti De Sanio, Ferrucci e Angelo
Senese, ed, a riscontro, oltre che dati riferibili all’individuazione dei soggetti indicati, ivi
compreso il TURCHETTA, venivano riportate nell’ordinanza cautelare conversazioni
telefoniche intercettate tra Senese e TURCHETTA, nonché tra Senese e Centore a
supporto della descrizione dei rapporti illeciti delineati dal Centore.
La Corte della riparazione valorizza altresì il comportamento processuale del
Turchetta che, in sede di interrogatorio, non aveva inteso rispondere alle domande, né
rilasciare dichiarazioni spontanee a chiarimento della propria posizione sulla natura dei

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,

In sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, la Corte d’appello di Milano, in data

rapporti che intercorrevano con i coimputati, sul contenuto delle intercettazioni
telefoniche con il Senese relative a traffico di stupefacenti e sulle stesse dichiarazioni del
Centore.
Con il proposto ricorso, l’istante ha censurato l’impugnata ordinanza per erronea
applicazione della legge processuale e per carenza ed illogicità della motivazione,
rilevando che la decisione della Corte d’Appello è totalmente disancorata dai presupposti
contenuti nella norma ed assolutamente confliggenti con i principi di diritto contenute
nelle massime giurisprudenziali del Supremo Collegio. In premessa si rileva che la Corte

della vicenda, ritenendo valorizzando quegli elementi di fatto che dai giudici del merito
non hanno assunto alcuna rilevanza con riferimento alla sussistenza del dolo circa il
coinvolgimento in episodi di reati in materia di stupefacenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato
Per il caso che ci occupa, l’iter argomentativo, seguito dalla Corte d’Appello resiste
alle censure del ricorrente, atteso che i ravvisati indici rilevatori della sussistenza del
preciso nesso eziologico tra la condotta processuale tenuta dall’istante – che lo ha posto
nella obiettiva situazione di gravità indiziaria per come descritta – e la misura cautelare
emessa, afferiscono a comportamenti, rimasti acquisiti processualmente, che apparivano
manifestamente e verosimilmente riconducibili ad una situazione che apparentemente
poteva configurasi come di partecipazione alla commissione in concorso con altri dei reati
contestati.
La Corte della riparazione, nell’analizzare la sentenza di assoluzione della Corte
d’Appello in sede di rinvio e la stessa sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte,
pone in evidenza le conclusioni cui pervengono i giudici del gravame di merito: “….il
quadro probatorio a carico del TURCHETTA comprende elementi d”indubbio spessore a suo
carico in ordine ai fatti dei quali è accusato, ma che tuttavia non forniscono la prova piena
circa la sua partecipazione agli episodi di consegna da parte del Centore al gruppo Senese
di quantitativi di cocaina, in assenza di riscontri individualizzanti, pur permanendo dei forti
dubbi sulla sua estraneità al riguardo”.
In sostanza nell’ordinanza condivisibilmente si evidenzia che i fatti emergenti
dalla vicenda, pur insufficienti a dimostrare la colpevolezza dell’istante, attestano
comunque un comportamento gravemente colposo da parte sua, tale da lasciare supporre
agli inquirenti che fosse coinvolto a pieno titolo nel reato ascrittogli e che
conseguentemente dovesse essere sottoposto a custodia cautelare.

d’Appello utilizza in motivazione le stesse argomentazioni del GIP, entrando nel merito

In particolare, per quanto riguarda i comportamenti addebitati al TURCHETTA,
rimasti provati, si argomenta che, pur volendo prescindere dalle dichiarazioni accusatorie
del Centore, ritenute comunque attendibili, le intercettazioni telefoniche sono state
valutate sia dalla Corte di Cassazione che dal Giudice del rinvio come indicative del
coinvolgimento del ricorrente nel traffico di stupefacente, nonché del fatto che il
TURCHETTA ed il Senese si occupavano per il recupero di somme di danaro .
Quanto al comportamento processuale tenuto dal ricorrente, cui si fa riferimento
nell’ordinanza impugnata, si rammenta che nel giudizio di cui all’art. 314 cod. proc. pen., il

diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, può valutare il comportamento silenzioso o
mendace, tenuto nel procedimento penale dall’imputato, per escludere il suo diritto
all’equo indennizzo.
Va osservato che, nell’ipotesi in cui solo l’indagato e/o imputato sia in grado di
fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti
nel corso delle indagini, anche il silenzio ( ed ancor più il mendacio) assume una sua
specifica rilevanza quando l’indagato era in grado di fornire giustificazioni plausibili relative
alle condotte che gli si contestano.
Il legislatore non ha riconosciuto incondizionatamente il diritto alla riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso quando il comportamento dell’indagato, da solo o con altre
circostanze, ha indotto in errore il giudice circa la sussistenza di gravi indizi a carico dello
stesso indagato. E ciò in forza del principio generale stabilito dall’art. 1227 c.c., comma 2,
secondo cui il risarcimento del danno non è dovuto quando il creditore avrebbe potuto
evitarlo usando l’ordinaria diligenza.
Anche su questo punto, insomma, opera l’autonomia dei due giudizi: a)nel
giudizio penale, l’imputato ha diritto di difendersi anche col silenzio e il mendacio; b) nel
giudizio di natura civilistica per la riparazione, il giudice può valutare il comportamento
silenzioso o mendace dell’imputato per escludere il suo diritto all’equo indennizzo.
Spetterà poi allo stesso giudice della riparazione decidere se il silenzio o il
mendacio bastino da soli, o necessitino del concorso di altri elementi di colpa, per
escludere il diritto all’indennizzo. In questo ambito potrà per esempio valutare se il silenzio
o il mendacio hanno svolto colposamente un ruolo sinergico nel giustificare la misura
detentiva in quanto il primo può aver ritardato l’acquisizione di elementi a discarico, ed il
secondo può avere deviato le indagini della P.G..
Il ricorso, va, dunque, rigettato per quanto argomentato in precedenza.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

giudice, ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma all’udienza camerale dilli febbraio 2016.

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