Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 222 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 222 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Fratto Monica, nata a Messina il 31.12.1981;
avverso l’ordinanza emessa il 17 aprile 2012 dal tribunale del riesame di
Messina;
udita nella udienza in camera di consiglio dell’il dicembre 2012 la
relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Messina confermò
l’ordinanza emessa il 28 marzo 2012 dal Gip del tribunale di Messina, che
aveva applicato a Fratto Monica la misura cautelare degli arresti domiciliari in
relazione al reato di acquisto e detenzione a fine di spaccio di circa 50 gr. di
cocaina il 20.9.2008. In particolare alla Fratto viene contestato di avere
contribuito in modo determinante all’acquisto di sostanza stupefacente
effettuato da Taranto Santino, reperendo un soggetto disposto a fare da corriere
che, ricevuta la droga in Milazzo da De Stefano Giovanni, la trasportò nell’isola
di Salina e la consegnò al Taranto.
L’indagata propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen.; insussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari; travisamento del fatto. Lamenta che il tribunale del riesame ha omesso di considerare che ella, neppure a titolo di concorso, aveva contribuito ad una qualche attività di spaccio. La droga
era destinata ad uso esclusivamente personale e comunque vi erano gli elementi
per ritenere il consumo di gruppo. Ella si era prodigata a trovare l’intermediario
solo perché voleva acquistare la droga per consumarla. Non vi è prova che fosse

Data Udienza: 11/12/2012

a conoscenza delle intenzioni del Taranto e dell’effettivo quantitativo di sostanza stupefacente. Osserva inoltre che non sussistono le esigenze cautelari in ordine al pericolo di reiterazione del reato, perché i veri colpevoli sono stati già
arrestati, l’associazione cui partecipava il Taranto è stata smantellata, i fatti risalgono al 2008 e il reato è stato commesso nell’isola di Salina in un periodo in
cui svolgeva lavoro stagionale.
2) violazione degli artt. 275 e 309, comma 6, cod. proc. pen., inadeguatezza ed eccessiva gravità della misura cautelare. Lamenta che il tribunale ha omesso di considerare che ora alla ricorrente sarebbe impossibile continuare a
frequentare soggetti dediti alla attività di spaccio. Nemmeno ha considerato che
vi sono le condizioni per l’applicazione della attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.p.R. 309 del 1990.
Motivi della decisione
Il motivo relativo ai gravi indizi di colpevolezza è infondato. L’ordinanza
impugnata ha infatti fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle
ragioni per le quali ha ritenuto, sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate, che almeno una parte della sostanza stupefacente consegnata dal Taranto alla Fratto come corrispettivo dell’aiuto da costei datogli per fargli pervenire la droga da Messina, era stato dalla donna destinato allo spaccio al minuto.
E’ invece fondato il motivo relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari e della adeguatezza della misura applicata.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il principio
di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di
commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel
caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze
che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor
compressione possibile della libertà personale» (Sez. Un., 31.3.2011, n. 16085,
Khalil, m. 249324).
In particolare, per quanto concerne il tempo trascorso dalla commissione
del fatto alla applicazione della misura, il principio enunciato è che «in tema di
misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione
del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. e) cod. proc. pen., impone al
giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai
fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari. (Fattispecie di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in relazione a fatti commessi più
di tre anni prima)» (Sez. Un., 24.9.2009, n. 40538, Lattanzi, m. 244377).
Più specificamente, è stato affermato che «in tema di misure coercitive, la
distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché
tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare,
comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia
in relazione alla scelta della misura. (Fattispecie di intervenuta adozione della
custodia cautelare in carcere per fatti risalenti a tre anni prima)» (Sez. VI,

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10.6.2009, n. 27865, Scollo, m. 244417); che «In tema di misure cautelari, la disposizione di cui all’art. 292 comma secondo lett. c) cod. proc. pen. – che prevede tra i requisiti dell’ordinanza lo specifico riferimento al “tempo trascorso dalla
commissione del reato” – impone al giudice di motivare circa il punto menzionato sotto il profilo della valutazione della pregnanza della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al “tempus commissi delicti” dovendosi ritenere che
ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponda un affievolimento delle esigenze cautelari» (Sez. II, 8.5.2008, n. 21564, Mezzatenta, m. 240112); che
«In materia di misure cautelari personali, qualora venga richiesta la custodia in
carcere per reati commessi dall’imputato in epoca non recente, il giudice, nell’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la
misura richiesta ai sensi dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen., deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere, evidenziando il perdurante collegamento dell’imputato con l’ambiente in cui il delitto è
maturato e, quindi, la sua concreta proclività a delinquere» (Sez. VI, 15.1.2003,
n. 10673, Khiar Mohamed Zenab, m. 223967).
Orbene, nella specie, l’ordinanza impugnata dà atto che alla ricorrente è
stato addebitato un solo episodio di detenzione a fini di spaccio avvenuto nel
settembre del 2008, mentre la misura cautelare è stata applicata solo il 28 marzo
2012, ossia ben tre anni e mezzo dopo. Ora, a fronte di un periodo temporale di
tre anni e mezzo dai fatti oggetto di contestazione, il tribunale del riesame ha
completamente omesso di compiere la necessaria e rigorosa valutazione sulla
effettiva concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, essendosi limitato a
richiamare, del tutto genericamente e con frase di stile, «una pericolosa contiguità della stessa con soggetti gravitanti nel settore del narcotraffico», frase che
del resto non sarebbe stata sufficiente a motivare una concreta ed attuale sussistenza di esigenze cautelari nemmeno se il fatto fosse stato prossimo alla applicazione della misura. In ogni caso, non si è in presenza di una specifica esaustiva motivazione sulle ragioni per cui permanga dopo il tempo trascorso l’attualità
del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, anche nell’intensità tale da non consentire misure meno gravi, non risultando
tra l’altro in motivazione indicazioni sull’eventuale effettiva attuale permanenza
delle condotte addebitate all’indagata. Non vengono indicati elementi da cui desumere l’attualità e la concretezza dei contatti con ambienti criminali, o condotte specifiche da cui desumere allo stato il rischio di commissione di reati della
stessa specie. La motivazione è altresì del tutto generica e di mero stile anche in
ordine alla valutazione della scelta della misura cautelare, anche relativamente
alla quale la motivazione deve essere particolarmente rigorosa stante la distanza
temporale dai fatti.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata limitatamente alle esigenze cautelari con rinvio al tribunale di Messina per nuovo esame.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Messina per nuovo

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esame.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione,
dicembre 2012.

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