Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22167 del 26/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22167 Anno 2016
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CENCI DANIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MATERAZZO FABIO N. IL 09/12/1969
avverso la sentenza n. 3512/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
19/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DANIELE CENCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 4t01-1. 0 iL OrirrN
che ha concluso per IL gt(4 triThg Ori gtegits.)’

Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 26/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 19 febbraio 2015 la Corte di appello di Firenze, in
parziale riforma della decisione resa il 18 febbraio 2013 dal Tribunale di
Montepulciano, che aveva condannato Fabio Materazzo, in relazione al reato di
guida in stato di ebbrezza (art. 186, comma 2, lett. c, d.lgs. 30 aprile 1992, n.
285), contestato come commesso il 10 maggio 2011, alla pena dì otto mesi di
arresto e duemila euro di ammenda, condizionalmente sospesa, con sospensione

con il lavoro di pubblica utilità per la durata di 248 giorni presso ente pubblico ed
ha escluso la sospensione condizionale della pena; con conferma nel resto.

2. Ricorre tempestivamente per cassazione l’imputato, deducendo
congiuntamente violazione di legge e difetto motivazionale.
2.1. Con un primo motivo censura l’avere la Corte di appello disatteso il
motivo di impugnazione concernente l’asserita illegittimità dell’ordinanza con cui
il Tribunale di Montepulciano, il 21 febbraio 2012, aveva respinto la richiesta di
rinvio dell’udienza in primo grado pur in presenza di contestuale impegno
professionale del difensore in tre processi presso altra sede giudiziaria,
precisamente in Orvieto.
La decisione della Corte territoriale, cui pure il difensore aveva prodotto i
verbali delle contemporanee udienze in data 21 febbraio 2012 (se ne dà atto alle
pp. 2-3 della sentenza del 19 febbraio 2015), decisione confermativa della
valutazione operata dal giudice di primo grado sia perché non vi era prova del
contemporaneo impedimento sia perché non vi era indicazione sulla precedenza
cronologica né indicazione sulla impossibilità di essere sostituito, viene additata
ad illogica e viziata, anche sotto il profilo della omessa pronunzia, in quanto: il
giudice del Tribunale di Montepulciano avrebbe, all’udienza del 18 febbraio 2013,
negato al difensore la possibilità di produrre i verbali attestanti gli effettivi
concomitanti impegni del 21 febbraio 2012; il difensore, pur non avendo allegato
all’istanza inoltrata a mezzo fax il pomeriggio del giorno prima dell’udienza,
nessun atto, aveva comunque a suo tempo indicato i numeri di registro generale
dei procedimenti orvietani, così, in qualche modo, offrendo un principio di prova;
aveva anche dichiarato di essere l’unico difensore in ciascuno dei quattro
processi; la circostanza che gli impegni da confrontare fossero tre in una sede ed
uno solo in un’altra, Montepulciano, appunto, avrebbe fatto venire meno la
necessità di accertare quale fosse stato fissato per primo, essendo invece,
almeno a detta del ricorrente, sufficiente prendere atto del maggior numero di
impegni – tre – in una sede.
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della patente di guida per due anni, ha sostituito la pena irrogata all’imputato

Poiché, infine, nell’istanza di rinvio era stata anticipata una richiesta di rito
alternativo, la decisione reiettiva avrebbe gravemente penalizzato l’imputato.
2.2. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 62-bis, 132 e
133 cod. pen.
Si assume che la Corte di appello, nel negare la concessione delle
circostanze attenuanti generiche, in base alla non emersione di elementi
favorevoli all’imputato ed alla gravità del fatto, avendo l’imputato, che si trovava
in stato confusionale, guidato la vettura in stato di ebbrezza in autostrada ed

ragionamento illogico e viziato, in quanto: l’essere sulla corsia di emergenza non
avrebbe implicato pericolo per alcuno; essendo l’imputato entrato in strada
mezz’ora prima, mancherebbe la prova che al momento dell’accesso fosse già in
stato di ebrezza; l’essersi reso conto delle proprie condizioni e l’essersi fermato
dovrebbe costituire, a ben vedere, un elemento a favore, avendo
responsabilmente Fabio Materazzo preso la decisione di interrompere la marcia.
Anche sotto il profilo della concreta individuazione della pena, vi sarebbe
stata una valutazione erronea in primo grado, non emendata in appello, in
quanto, secondo il ricorrente, la sanzione prescelta, di otto mesi, non potrebbe
dirsi lievemente superiore al minimo edittale, come si legge nella sentenza di
primo grado, confermata, sullo specifico punto, in appello; né si sarebbe tenuta
in adeguata considerazione la circostanza che l’unico precedente penale risale a
ben diciassette anni prima, segno che per un lungo periodo di tempo l’imputato
si è astenuto dal violare la legge penale.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo si censura, infine, la sentenza di appello
per avere, nonostante espressa richiesta difensiva, omesso di convertire la pena
detentiva in pecuniaria prima della conversione finale in lavori di pubblica utilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che dal confronto tra la sentenza impugnata, i motivi di
ricorso, la decisione di primo grado e l’appello si rileva, in primo luogo, che il
ricorso per cassazione è in larga parte strutturato sulla falsariga dell’appello di
merito, del quale condivide, oltre a vari passaggi testuali, la caratteristica di
dolersi, sostanzialmente, del contenuto della sentenza di primo grado.
Ciò posto, i primi due motivi sono inammissibili, mentre il terzo è infondato.
1.1.Quanto alla critica che si muove alla condivisione da parte del giudice di
appello del rigetto della richiesta di rinvio che fu avanzata in primo grado il 21
febbraio 2012, gli argomenti che si svolgono sono (con l’unica eccezione, di cui si
dirà) sostanzialmente gli stessi già sottoposti alla Corte di appello e dalla stessa
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essendosi lo stesso fermato sulla corsia di emergenza, avrebbe svolto un

disattesi (p. 2 della sentenza) con motivazione logica e congrua, oltre che
conforme all’insegnamento autorevolmente reso dalle Sezioni Unite della S.C.,
secondo cui chi allega un impedimento professionale ha il rigoroso onere di
dimostrare, peraltro con tempestività: 1) l’esistenza dell’impegno; 2) la
indispensabilità della propria presenza altrove; 3) e la impossibilità di ricorrere a
sostituto processuale. Infatti:

«L’impegno professionale del difensore in altro

procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta
impossibilità a comparire, ai sensi dell’art. 420 ter, comma quinto, cod. proc.

conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le
ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso
processo; c) rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che
possa validamente difendere l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi
di un sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende
partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio» (Sez. U., n. 4909 del 18/12/2014,
dep. 2015, Torchio, Rv. 262912).
Ebbene, gli indicati elementi, alla data del 21 febbraio 2012, per stessa
ammissione del ricorrente (che, in buona sostanza, si duole del fatto di non
essere stato ammesso a dimostrare l’effettività dell’impegno a posteriori, in altra
e successiva occasione), non emergevano dagli atti. A nulla rileva, poi, che alle
successive udienze del 18 febbraio 2013 innanzi al Tribunale (peraltro,
dell’affermazione difensiva circa un diniego della sollecitata acquisizione non vi è
traccia alcuna nel verbale dell’udienza presso il Tribunale di Montepulciano) e del
19 febbraio 2015 in appello il difensore abbia inteso produrre i verbali relativi ai
processi svoltisi il 21 febbraio 2012 in altra sede.
Risulta evidente, in definitiva, che il ricorrente non gradisce l’interpretazione
dell’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., fatta propria dalla Corte di appello
ma deve, con la necessaria fermezza, affermarsi che l’ordinamento non consente
la reiterazione all’infinito del medesimo motivo di doglianza correttamente
disatteso.
Le ragioni a sostegno della pretesa illegittimità del diniego di rinvio già
coltivate in appello sono nel ricorso integrate, come argomento nuovo, dalla
singolare affermazione secondo cui, in buona sostanza (pp. 9-10 del ricorso),
pendendo nella stessa data un solo processo in una sede e più processi in
un’altra sede, dovrebbe necessariamente accordarsi prevalenza all’impegno
plurimo: ebbene, la divergenza di tale opzione ermeneutica, incentrata su di un
dato puramente quantitativo, dal testo dell’art. 420-ter, comma 5, cod. proc.
pen., oltre che dalla logica e dal comune buon senso (se così fosse, infatti,
dovrebbe ineluttabilmente disporsi il rinvio, ad esempio, di un processo in Assise
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pen., a condizione che il difensore: a) prospetti l’impedimento non appena

per contemporaneo impegno del difensore in due processi per fatti bagatellari o
già prescritti innanzi al giudice di pace), è talmente manifesta da confermare
ulteriormente, ove occorra, la valutazione di radicale inammissibilità del motivo
di ricorso.
1.2. Le doglianze circa l’asserita illegittimità ed erroneità del diniego delle
attenuanti generiche e della conferma della scelta del quantum di pena ai sensi
degli artt. 132-133 cod. pen. sono, a loro volta, la sostanziale riproposizione di
quanto già esposto al giudice dell’appello e da questi disatteso con motivazione

condotta di guida in autostrada e sulla sussistenza di un grave, seppur lontano,
precedente per detenzione illecita di droga.
Destituita, all’evidenza, di fondamento è l’argomentazione difensiva (p. 11
del ricorso), secondo cui la pena di otto mesi non sarebbe “lievemente superiore”
al minimo edittale, che è fissato dalla legge (art. 186, comma 2, lett. c, d.lgs. n.
285 del 1002) in sei mesi.
1.3. Infondato, infine, è l’ultimo motivo di ricorso, l’unico ritualmente
sottoposto all’attenzione della Corte, in quanto avente ad oggetto una questione
di diritto.
La richiesta difensiva di duplice sostituzione, infatti, che era stata avanzata
nell’atto di appello (p. 6), non poteva essere in alcun modo presa in
considerazione dalla Corte territoriale, in quanto, secondo costante
giurisprudenza, «la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria e la
sostituzione della pena nel suo complesso con il lavoro di pubblica utilità
costituiscono strumenti distinti di adeguamento della sanzione al caso concreto
ed alle caratteristiche personali dell’imputato, corrispondenti a diversificate e non
sovrapponibili istanze afferenti alla relazione della funzione rieducativa della
pena, di talché, una volta adottata una strategia sanzionatoria, non è possibile,
per esigenze di coerenza e razionalità del sistema, sovrapporne altra» (cfr. Sez.
4, n. 21238 del 02/10/2014, dep. 2015, Rante, Rv. 263851; Sez. 4, n. 27602 del
02/04/2014, Fino, Rv. 261566; Sez. 4, n. 2383 del 06/12/2013, dep. 2014,
Hofer, Rv. 258180; Sez. 4, n. 8005 del 15/11/2013, dep. 2014, Verdelli, Rv.
258609; Sez. 4, n. 37967 del 17/05/2012, Nieddu, Rv. 254361).
Il silenzio della sentenza impugnata sul punto è, dunque, irrilevante, anche
perché l’ipotetico vizio di motivazione può essere utilmente dedotto in
Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro
ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata
valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di
ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella
adottata (v., ex plurimis, Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera ed altri,
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adeguata ed esente da vizi logici, incentrata sulla gravità e pericolosità della

Rv. 260841; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445; Sez. 4, n
35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 1, n. 6922 del 11/05/1992,
Cannarozzo, Rv. 190572; Sez. 5, n. 2798 del 05/12/1989, dep. 1990, Curto, Rv.
183526).

3. Discende dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 26/04/2016.

P.Q.M.

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