Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2216 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2216 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– DE MARCO NICOLA, n. 20/10/1969 a Chiarornonte

avverso la sentenza della Corte d’appello di POTENZA in data 6/06/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa P. Filippi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 6/06/2014, depositata in data 2/09/2014, la
Corte d’appello di POTENZA confermava la sentenza del tribunale di MATERA,
sez. dist. PISTICCI del 18/10/2012 che aveva condannato DE MARCO NICOLA, in
esito al giudizio abbreviato richiesto e previo riconoscimento dell’attenuante di

taglio della vegetazione arborea radicativa, costituita da piante di alto fusto di
leccio e roverella, con totale disboscamento della superficie (artt. 142, lett. g), e
181, d. Igs. n. 42 del 2004, contestato come commesso in data 9/04/2011).

2. Ha proposto ricorso DE MARCO NICOLA a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce un unico motivo,
di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art.
173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc.
pen., sotto il profilo della mancata applicazione della causa di non punibilità
prevista in caso di ripristino dei luoghi e correlato vizio di illogicità della
motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza, in quanto, sostiene il
ricorrente, questa aveva chiesto ed ottenuto di poter ripristinare lo stato dei
luoghi in base ad un progetto autorizzato dalla competente autorità regionale;
detto progetto prevedeva il reimpianto di piante della stessa essenza di quella
tagliate, sebbene di età e dimensioni diverse da quella tagliate; la Corte
territoriale, pur riconoscendo l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 c.p., ha escluso
che il reimpianto potesse essere considerato come condizioni di estinzione del
reato paesaggistico in quanto non erano state poste piante della stessa età e
delle stesse dimensioni di quelle recise; tale affermazione sarebbe erronea ed
illogica in quanto non tiene conto del fatto che il ricorrente non poteva
disattendere il progetto approvato e reimpiantare alberi diversi da quelli di cui al
progetto approvato, sicchè, ove avesse fatto diversamente, ciò avrebbe
determinato in sede di controllo la dichiarazione da parte della Regione di
mancato ripristino dello stato dei luoghi per la mancata fedele esecuzione del
progetto approvato; i giudici, quindi, avrebbero dovuto prosciogliere il ricorrente
per aver ottenuto l’approvazione da parte della Regione Basilicata del progetto
avente ad oggetto il ripristino dello stato dei luoghi, eseguito secondo le

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cui all’art. 62, n. 6 c.p., per aver eseguito in zona vincolata paesaggisticamente il

prescrizioni imposte; diversamente, i giudici avrebbero espresso un giudizio sul
progetto che esulava dalle loro competenze, laddove negando l’applicazione della
causa di non punibilità di cui all’art. 181, comma 1-qiinquies, d. Igs. n. 42 del
2004, posto che il reimpianto delle piante del medesimo genere di quelle
abbattute configurava l’ipotesi di rimessione in pristino prevista dalla predetta

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4.

Ed invero, i giudici di appello hanno negato l’applicabilità della causa di

estinzione del reato paesaggistico ex art.181, comma 1-quinquies, d.lgs. n. 42
del 2004, non essendo comprovata la ricorrenza del presupposto indefettibile per
l’operatività della causa estintiva del reato riconducibile al ripristino dei luoghi,
non potendosi considerare rimessione in pristino il reinnpianto, realizzato
successivamente al disboscamento, di piante più giovani di quelle oggetto del
precedente taglio; secondo i giudici di appello il ripristino comporta che lo stato
dei luoghi debba essere riportato nella medesima situazione preesistente alla
violazione del vincolo paesaggistico, perché solo in tal modo viene eliminato il
vulnus realizzato con l’esecuzione delle opere abusive; lo stesso teste a difesa, si
legge in sentenza, che ebbe a curare il ripristino dei luoghi, aveva riferito che vi
era una grande differenza tra gli alberi tagliati e quelle reimpiantati, laddove i
primi avevano un’altezza variabile dagli 8 ai 10 mt. ed un’età compresa tra i 25
ed i 35 anni, mentre gli alberi reimpiantati avevano un’altezza di 2,5 – 3,5 mt.
ed un’età di circa 5 anni, affermando che era praticamente impossibile
ripristinare alberi come quelli preesistenti; la Corte, infine, ritiene irrilevante la
circostanza che la Regione avesse approvato il progetto di esecuzione dei lavori,
dal momento che ciò che rileva, ai fini dell’applicabilità della causa estintiva del
reato, è la rimessione in pristino dei luoghi, che nel caso in esame non vi
sarebbe stata.

5. Sul punto va qui ricordato che l’art. 181, comma 1-quinquies, d. Igs. n. 42 del
2004 prevede che “la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a
vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta
d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la
condanna, estingue il reato di cui al comma 1”.

Nel caso di specie, sono

rispettate solo alcune delle condizioni richieste dalla norma, atteso che: a) ad
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norma.

t

f

essere contestata è la contravvenzione e non il delitto paesaggistico; b) non
risulta che la rimessione in pristino fosse stata disposta precedentemente
dall’autorità amministrativa; c) la condotta spontanea del ricorrente era stata
posta in essere prima della sentenza di condanna di primo grado.
Deve, quindi, verificarsi se il reimpianto secondo il progetto approvato costituisca
rimessione in pristino e se la Corte territoriale potesse esercitare il sindacato sul

Sul punto, risolutiva al fine di escludere la fondatezza della tesi difensiva, è la
constatazione che né in primo né in secondo grado risulta documentata
l’attestazione di intervenuta esecuzione dei lavori di ripiantumazione e ripristino,
attestazione rilasciata dall’Autorità preposta che avrebbe dovuto confermare la
rispondenza dei lavori di ripristino al progetto approvato. Detta attestazione, che
doveva pervenire necessariamente dall’Autorità amministrativa preposta alla
tutela del vincolo, non può certamente ritenersi surrogata dalla dichiarazione del
teste indotto dalla difesa che ha eseguito il reimpianto né può ritenersi
sufficiente la circostanza che la Regione avesse approvato il progetto di
esecuzione dei lavori, difettando invero proprio l’allegazione da parte del
ricorrente dell’attestazione rilasciata dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo
che confermasse che il detto progetto esecutivo fosse stato fedelmente
rispettato.
In assenza, pertanto, dell’assolvimento dell’onere probatorio incombente in capo
a chi invoca l’applicazione della causa di estinzione del reato paesaggistico
(essendo pacifico che mentre i “fatti costitutivi” dell’illecito previsto dall’art. 181,
d. Igs. n. 42 del 2004 devono essere dimostrati dal P.M., diversamente i “fatti
modificativi o estintivi” in grado di paralizzare la pretesa punitiva devono essere
provati dall’imputato), il ricorso non può che essere rigettato.

6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 25 novembre 2015

reimpianto come da progetto.

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