Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22156 del 19/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22156 Anno 2016
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Colosimo Pietro, Marchio Angela e Colosimo Sandro

nel procedimento pendente nei confronti di:
De Santis Giuseppe, nato il 22/04/1952

avverso la sentenza n. 775/2014 del 08/04/2015 della Corte di appello di
Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Pasquale Gianniti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Delia
Cardia, che ha concluso chiedendo annullarsi con rinvio al giudice civile;
udito il difensore, avv. De Marco Giuseppe del Foro di Cosenza, per le parti civili
Colosimo Pietro, Marchio Angela e Colosimo Sandro, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso e si è riportato alle conclusioni scritte che ha
depositato unitamente alla nota spese.

Data Udienza: 19/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1.11 Tribunale di Cosenza con sentenza emessa in data 3 luglio 2012 ha
riconosciuto De Santis Giuseppe colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p.,
perché, quale medico radiologo che refertò i radiogrammi dell’esame tac
effettuato da Colosinno Pietro in data 20 ottobre 2010 presso il P.O. di Soveria
Mannelli, per colpa generica e specifica, cagionava lesioni personali gravi. In
particolare, De Santis ometteva di refertare correttamente la presenza di una

per la persona offesa, una malattia ed un’incapacità di attendere alle ordinarie
occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni. In punto di trattamento
sanzionatorio, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante
originariamente contestata, De Santis Giuseppe è stato condannato alla pena di
mesi 2 di reclusione, al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei
danni in favore della costituita parte civile.

2.La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza emessa in data 8 aprile
2015, in accoglimento dell’appello formulato nell’interesse dell’imputato, ha
assolto quest’ultimo con la formula perché il fatto non sussiste.

3.Avverso la sentenza della Corte territoriale propongono ricorso per
Cassazione le costituite parti civili Colosimo Pietro, Marchio Angela e Colosimo
Sandro, articolando due motivi di ricorso, dopo una breve esposizione degli
eventi principali che avevano caratterizzato, ritenuta necessaria quale premessa
conoscitiva ai motivi di ricorso.
3.1. Con il primo vengono denunciati vizio di motivazione e violazione
degli artt. 40, 42, 113, 185 e 590 commi 1 e 2 c.p.
Al riguardo, i ricorrenti si lamentano del fatto che la Corte territoriale,
trascurando gli esiti peritali (come emersi dall’elaborato peritale, dalla relativa
integrazione, dai chiarimenti resi in sede di incidente probatorio e di istruzione
dibattimentale), aveva sottovalutato il fatto che il De Santis, pur disponendo di
idonee attrezzature tecniche e di specializzazione in radiologia, aveva
colpevolmente omesso di refertare la presenza di un’area osteolitica nel
peduncolo destro di C6; aveva inoltre sottovalutato il fatto che la lettura corretta
delle lastre avrebbe certamente permesso la tempestiva diagnosi
dell’osteoblastoma, nonché evitato il proeu-Fa-rst della malattia (che si era
protratta sino al novembre 2015, e, dunque, per un periodo di gran lunga
superiore a 40 giorni); ed aveva omesso infine di considerare quanto dichiarato
dal Dott. Cavezza in sede di incidente probatorio 10 marzo 2008 in punto di
risultanze della Tac 20 ottobre 2004. D’altronde, l’aver concorso a provocare una

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area osteolitica nel peduncolo destro, causando un aggravamento della stessa e,

malattia ed un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo
superiore a 40 giorni, secondo l’assunto dei ricorrenti, sarebbe indubbiamente
qualificabile come lesione personale. La Corte territoriale avrebbe utilizzato a
favore del De Santis argomentazioni e conclusioni che i periti avevano formulato
esclusivamente nei confronti degli altri due originari indagati (La Raia e
Crispino). La imperizia dell’imputato avrebbe cagionato alla persona offesa, per
effetto della omessa refertazione e della conseguente diagnosi errata,
l’aggravamento della patologia per una durata di gran lunga superiore ai 40

3.2. Con il secondo vengono denunciati vizio di motivazione (con
travisamento della prova) e violazione degli artt. 187 e 192 c.p.p., nonché degli
artt. 40, 42, 113, 185 e 590 commi 1 e 2 c.p.
Al riguardo, i ricorrenti – dopo aver richiamato l’elaborato peritale medico
legale redatto dai Professori Cavezza e Feraco (e in particolare le conclusioni del
supplemento di perizia) e le dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio dal
Prof. Cavezza – si lamentano del fatto che la Corte territoriale, nelle tre pagine
di motivazione, era incorsa in un evidente travisamento proprio nel contenuto
della deposizione resa dal Prof. Dott. Cavezza. Invero, quest’ultimo ha
dichiarato: a) in sede di incidente probatorio, che: “Nella Tac del 20 ottobre
2004 effettivamente vedendo le immagini si vede una lesione a livello del
peduncolo di C6 che è ben visibile e che non è stato relazionato dal radiologo che
ha letto la Tac per cui, secondo noi, questo costituisce un errore, una imperizia
insomma che va addebitata al radiologo”; b) in sede di elaborato peritale (p.
19), ha riferito che: “il lamentato lungo intervallo tra l’inizio della sintomatologia
(dolore cervicale) e la diagnosi ed il trattamento chirurgico dell’osteoblastema
non può essere ricondotto a comportamenti imperiti o negligenti dei sanitari che
si sono succeduti nelle cure del giovane Colosirno ma è da ricondurre unicamente
alle difficoltà diagnostiche insite nella patologia non ancora evidenziabili negli
esami strumentali (TC e risonanza) effettuate nell’ottobre 2004 e resosi
evidente solo quando dette indagini sono state poi ripetute presso l’Ospedale di
Bologna”; in sede di supplemento di perizia (p. 2) ha precisato che: “dalla
lettura personale di dette lastre ed, in particolare, della Tac del 20/10/2004,
emerge nel contesto del peduncolo destro C6, un’area osteolitica, compatibile
con una neoformazione i cui caratteri non sono sufficienti a porre una precisa
diagnosi di osteoma osteoide né di osteoblastoma”.

giorni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è fondato e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere
annullata.

2.Fondati sono infatti entrambi i motivi di ricorso, che, in quanto
strettamente connessi, vengono qui trattati unitariamente.

giovane Pietro Colosimo, all’epoca di anni 16, a causa di una sintomatologia
dolorosa alla spalla destra, si portava presso l’Ospedale di Soveria Mannelli, dove
gli veniva diagnosticata una distorsione alla spalla destra, con conseguente
prescrizione di una terapia con antiinfiammatori. Questi antiinfiammatori
provocavano tuttavia un’emorragina duodenale, per cui si rendeva necessario un
ricovero dal 2 al 12 giugno 2014. Persistendo il dolore alla spalla, nel successivo
mese di ottobre 2004 il giovane Colosimo si faceva visitare dall’ortopedico dr.
Laraia, che chiedeva delle indagini strumentali (dapprima, una risonanza
magnetica del rachide cervicale e, poi, una TAC alla colonna vertebrale). Le due
indagini strumentali venivano eseguite dal dr. De Santis, che diagnosticava un
emangioma. Persistendo il dolore, il giovane Colosimo si recava, nel maggio del
2005, presso il centro di riabilitazione Mater Domini, dove veniva seguito dal
fisiatra dr. Crispino, e, nel novembre 2005, a Bologna, dove veniva eseguita una
nuova TAC. Il referto relativo alla TAC eseguita nel novembre 2005,
contrariamente al referto relativo alla TAC eseguita nell’ottobre 2004 dal dr. De
Santis, evidenziava una patologia che era differente da quella in precedenza
diagnosticata e che richiedeva un intervento chirurgico, poi eseguito il 30
novembre del 2005.
2.2. In punto di diritto, occorre soffermarsi sulla nozione di malattia.
Come questa Sezione ha già avuto modo di osservare (sent. n. 17505 del
19/03/2008, Pagnani, Rv. 239541), il codice penale vigente ha distinto il delitto
di lesioni da quello di percosse. Quest’ultimo delitto, infatti, non era previsto dal
codice Zanardelli, che, all’art. 372, ricomprendeva infatti in un’unica fattispecie
(denominata “lesione personale”) la condotta di “chiunque, senza il fine di
uccidere, cagiona ad alcuno un danno nel corpo o nella salute o una
perturbazione di mente”. L’indeterminatezza della nozione di danno ha indotto il
legislatore del 1930 a distinguere i due reati e il criterio distintivo adottato è
appunto quello di una distinzione tra il caso del mero esercizio della violenza
fisica (nel quale l’evento è costituito esclusivamente dal pregiudizio all’incolumità
personale) e quello in cui alla violenza fisica consegua una malattia, concetto più

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2.1. In punto di fatto, occorre premettere che, in data 15 maggio 2004, il

restrittivo di quello di danno (che può ricomprendere anche un mero dolore
fisico).
Il concetto di malattia ha diviso per decenni dottrina e giurisprudenza
perché, a fronte di una nozione incentrata esclusivamente sulla mera alterazione
anatomica, si è prospettata, in particolare dalla dottrina, una concezione diversa
che fa riferimento alla necessità che a questa alterazione (che peraltro può
anche mancare) si accompagnino limitazioni funzionali.
La prima concezione, prevalente nella giurisprudenza di legittimità più

penale nella quale si fa riferimento, per definire la malattia, a “qualsiasi
alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata e non
impegnativa delle condizioni organiche generali” laddove l’uso della disgiuntiva fa
intendere che sia sufficiente la mera alterazione anatomica perché possa
ritenersi verificata la malattia. La definizione di malattia contenuta nella
relazione ministeriale ha contribuito a convalidare l’opinione secondo cui anche
minime alterazioni anatomiche provocate da una percossa (l’arrossamento della
cute, il piccolo graffio, le ecchimosi, i piccoli ematomi, le escoriazioni ecc.)
potessero integrare la malattia cui fa riferimento l’art. 582 c.p. restringendo
quindi l’area del delitto di percosse ai soli casi in cui alcuna alterazione
anatomica si sia verificata: in altri termini, ai soli casi nei quali la violenza sia
stata minima e tale da non provocare neppure una delle modeste conseguenze in
precedenza indicate.
A tale concezione si è da tempo obiettato che la nozione di malattia accolta
nel campo medico scientifico è diversa e si riferisce alle alterazioni del corpo
umano che inducano una limitazione funzionale dell’organismo anche di modesta
entità. E la più recente giurisprudenza di legittimità, configurando la malattia in
senso più aderente a quello della scienza medica, non ritiene sufficiente ad
integrare la malattia la semplice alterazione anatomica priva di alcuna
conseguenza e alla quale non consegua un processo patologico significativo. E’
stato infatti affermato che, il concetto clinico di malattia richiede il concorso del
requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche
non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in
evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la
guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte
(Sez. 5, sent. n. 714 del 15/10/1998, dep. 1999, Rocca, Rv. 212156; Sez. IV,
sent. n. 10643 del 9.12.1996, Viola, Rv. 207339).
In definitiva, può qui ribadirsi che la malattia giuridicamente rilevante cui fa
riferimento l’art. 582 c.p. (e di riflesso l’art. 590 c.p. nella forma colposa) non
comprende tutte le alterazioni di natura anatomica (che possono anche mancare)
ma quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo

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risalente nel tempo, ha trovato conferma nella relazione ministeriale al codice

processo patologico o una compromissione, anche non definitiva ma significativa,
di funzioni dell’organismo (diverso problema è quello dei postumi che, di per sè,
non costituiscono malattia ma sono, nella normalità dei casi, conseguenza della
malattia che va dunque autonomamente accertata e che dà luogo, in numerosi
casi, ad aggravanti del delitto di lesione personale; problema, questo, al quale è
sufficiente accennare, non riguardando il caso in esame).
Ed è stato altresì precisato che, ai fini della configurabilità del delitto di
lesioni gravi, non ha rilievo che l’organo fosse già menomato, purché si verifichi

(Sez. 5, sent. n. 2782 del 5/10/1989, dep. 1990, Cantagallo, Rv. 183522)
2.3. Tanto premesso, nel caso di specie, la Corte territoriale di Catanzaro
non ha fatto corretta applicazione del concetto di malattia, come interpretato
dalla più recente giurisprudenza di legittimità, e, nel contempo, ha travisato i
risultati dall’acquisita prova scientifica.
Al riguardo – premesso che i periti in un primo momento avevano avuto a
disposizione soltanto i referti dei primi accertamenti strumentali eseguiti a
Soveria Mannelli (ed in particolare della Tac 20 ottobre 2014), e che gli stessi,
una volta ricevute in consegna anche le lastre, avevano depositato integrazione
alla consulenza già redatta – occorre osservare che la Corte territoriale, nella
sentenza di assoluzione per cui è ricorso, ha omesso di considerare (e ha
comunque travisato) le dichiarazioni rese dai periti in sede di udienza di
incidente probatorio 10 marzo 2008 (il cui verbale è stato ritualmente acquisito
al fascicolo del dibattimento all’udienza del 13 gennaio 2010 ed è stato allegato
al ricorso, ai fini dell’autosufficienza dello stesso) e successivamente
sostanzialmente ribadite nel corso dell’istruzione dibattimentale: “Nella Tac del
20 ottobre 2004 effettivamente vedendo le immagini si vede una lesione a livello
del peduncolo di C6 che è ben visibile e che non è stato relazionato dal radiologo
che ha letto la Tac per cui, secondo noi, questo costituisce un errore, una
imperizia insomma che va addebitata al radiologo”. Nella suddetta omissione (e
comunque travisamento) non era invece incorso il Giudice di primo grado
laddove aveva affermato (p. 11) che: “è certo, infatti, che la situazione clinica
accertata a Bologna nel 2005 fosse pressoché identica a quella risultante dai
radiogrammi dell’ottobre del 2004; con la conseguenza che solo ad una errata e
superficiale lettura del radiologo può imputarsi la pregressa mancata diagnosi
della specifica patologia da cui il Colosimo Pietro era affetto, e, quindi, il
persistere della connessa sintomatologia fino all’intervento chirurgico eseguito il
30 novembre del 2005”.
Sotto altro profilo, nella impugnata sentenza, viene erroneamente affermato
che, non essendovi stato alcun aggravamento della malattia a causa dell’omessa
diagnosi, doveva escludersi che vi fosse stata lesione (con conseguente
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un ulteriore aggravamento, che ne comprometta maggiormente la funzionalità

proscioglimento del De Santis dall’imputazione allo stesso ascritta). Al contrario,
da quanto accertato e riferito dai periti è risultato che il De Santis, che, pur
disponendo di idonee attrezzature e di specializzazione in radiologia, aveva
omesso di refertare la presenza di una area osteolitica nel peduncolo destro di
C6, e aveva omesso di predisporre necessari approfondimenti ed il conseguente
intervento chirurgico di asportazione della patologia (poi identificata, all’esame
istologico, in un osteobastoma), così causando un aggravamento della stessa e,
per la persona offesa, l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un

avrebbe permesso la tempestiva diagnosi della osteoblastoma e, quindi, evitato
il protrarsi della malattia (id est, l’incapacità di attendere alle ordinarie
occupazioni) fino al novembre 2005 (e, dunque, per un periodo di gran lunga
superiore ai 40 giorni).

3. Per le ragioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere
annullata con
con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro

,

earrrpersizterne, dovrà procedere a nuovo esame della posizione dell’imputato alla
luce dell’acquisita prova scientifica, provvedendo altresì alla regolamentazione
delle spese di questo giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per
valore in grado di appello cui rimette anche la regolamentazione delle spese di
questo giudizio tra le parti.
Così deciso il 1

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periodo superiore ai 40 giorni. La tempestiva corretta lettura delle lastre, infatti,

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