Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22149 del 25/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22149 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Fakihi Ouassima nata a Marrakech – Marocco il 14.6.1973

avverso la sentenza 3953/14 della Corte di Appello di Bolo g na in data
21.11.2014

sentita la relazione fatta dal Consi g liere Dott. U g o Bellini

udite le conclusioni del P.G. dott.Enrico Deleha ye
il q uale ha chiesto l’annullamento con rinvio in ordine alla
all’art.131 bis. Cod.proc.pen.

q uestione relativa

Data Udienza: 25/02/2016

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Bologna con la sentenza impugnata
confermava la sentenza del Tribunale di Modena la quale aveva
riconosciuto Fakihi Ouassima colpevole del reato di furto tentato con
violenza sulle cose di un capo di abbigliamento all’interno di supermercato
“Famila” e con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e

ritenute prevalenti sulla contestata circostanza aggravante, la
condannava alla pena di mesi uno giorni venticinque di reclusione e di C
90,00 di multa. Assolveva Mouquafi Abdeslam dal concorso nel medesimo
reato per non avere commesso il fatto.
2. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per Cassazione la
difesa della Fahiki chiedendo con un primo motivo che venisse riconosciuta
alla ricorrente la causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto reato,
introdotto dal D.Lgs. n.28/2015, in ragione della inesistente potenzialità lesiva
del fatto reato, della assoluta modestia del danno provocato e della non
gravità della condotta, istituto immediatamente applicabile in quanto di diritto
sostanziale e disposizione più favorevole per l’imputato. Con altro motivo di
ricorso la difesa della Fahiki denunciava nella sentenza impugnata violazione
di legge nella parte in cui era stata ritenuta la ricorrenza della circostanza
aggravante della violenza sulle cose, consistita nella manomissione della
placca antitaccheggio rinvenuta all’interno del camerino adibito a spogliatoio
non potendosi inferire, oltre ogni ragionevole dubbio che a tale asportazione
avesse provveduto personalmente la ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.In relazione alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità
di cui all’art.131 bis c.p., sebbene l’istituto si presenti di immediata
applicazione anche ai giudizi pendenti in appello e dinanzi al giudice di
legittimità, trattandosi di disposizione normativa di pregnante rilevanza
sostanziale, anche per gli effetti di cui all’art.2 co. 4 c.p., la giurisprudenza di
questa corte ha evidenziato che ai fini dell’accertamento dei presupposti
applicativi, che attengono appunto alla non abitualità della condotta e alla
modesta offensività della azione e degli effetti di essa come interpretati
dall’art.133 c.p., il giudice di legittimità nello svolgere tale secondo
apprezzamento non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio

della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno provocato

di merito, tenendo conto, in modo particolare della presenza nel
provvedimento impugnato di giudizi già espressi che abbiano pacificamente
escluso la particolare tenuità del fatto (sez.III, 8.4.2015 n.15449; sez.IV
17.4.2015 n.22381; da ultimo S.U. 25.2.2016 Tushaj come da informazione
provvisoria, resa nota in data odierna mentre era in corso la camera di
consiglio per la decisione del presente ricorso). Ma se questo è il criterio
utilizzabile dal giudice di legittimità per accertare la sussistenza dei

tenuità dell’offesa, quando sia la stessa sentenza impugnata a offrire gli
elementi per apprezzare la modesta gravità e tenue lesività del fatto, sulla
scorta dei parametri richiamati dalla nuova disposizione del 131 bis c.p.
(modalità della condotta ed esiguità del danno), deve escludersi il
riconoscimento del suddetto beneficio.

2. Invero difetta nel caso in specie il requisito della modestia del fatto
reato, inteso nella sua obiettività, avuto riguardo in particolare alle modalità
della condotta e all’elemento psicologico, che pure assumono rilievo ai sensi
dell’art.133 n.1 e 3 cod.pen., requisito espressamente richiamato dalla
disciplina introdotta con l’art.131 bis cod.pen., atteso il comportamento
palesemente appropriativo, violento, decettivo della prevenuta volto a
impossessarsi del bene ad ogni costo, in presenza di capo di abbigliamento da
lei stessa materialmente prelevato, portato in camerino, privato della placca
antifurto e indossato, oltrepassando poi le casse senza provvedere al
pagamento del relativo prezzo. Altrettanto evidente risulta la rimozione della
placca antitaccheggio, rinvenuta nel camerino di prova, funzionale all’azione
furtiva di cui è processo, e nello specifico al fine di eludere il sistema di
allarme posto alle barriere della casse che, infatti non avevano suonato. La
motivazione portata dal giudice di appello da un lato appare assolutamente
coerente rispetto alle risultanze di fatto acquisite al processo anche in punto
alla azione volta a rimuovere la placca magnetica (azione indispensabile per
potere indossare il capo e portarlo oltre la cassa, rimozione peraltro attuata
all’interno del camerino ove la Fakihi aveva indossato il capo ove la placca è
stata rinvenuta); dall’altra testimonia una modalità attuativa del reato
certamente non di scarso disvalore e offensività, in quanto si articola in una
serie di comportamenti e accorgimenti ben congegnati e insidiosi, che al
contempo denotano un profilo soggettivo e una spiccata capacità elusiva, che
non ebbero a sortire l’effetto sperato esclusivamente per la presenza di un
sistema di video sorveglianza che peraltro nulla rileva ai fini della valutazione

presupposti della declaratoria di non punibilità in presenza di particolare

della gravità della condotta che, in relazione allo specifico fatto reato, appare
tutt’altro che modesta. Il motivo deve pertanto essere rigettato.

2. Poiché nell’esaminare il primo motivo di ricorso la corte ha dovuto
affrontare la materialità dei fatti reati ai fini di valutare la ricorrenza della
causa di non punibilità di nuova istituzione, soffermandosi ad esaminare
l’azione della imputata nell’impossessarsi del capo di abbigliamento dopo

evidenziando l’assoluta correttezza logico giuridica della motivazione della
sentenza impugnata, deve essere disatteso conseguentemente anche il
secondo motivo che assume il vizio della impugnata sentenza per avere
ritenuto la circostanza aggravante di cui all’art.625 n.2 cod.pen.

Il ricorso pertanto deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al
pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 25.2.2016.

avere rimosso, con forza, la placca antitaccheggio, ad esso assicurata,

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