Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22147 del 11/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 22147 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MORINI ALESSIA

n. il 26.05.1973

avverso la sentenza n. 1395/2014 della Corte d’appello di Firenze del
17.04.2014
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita all’udienza pubblica dell’Il febbraio 2016 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Claudio D’Isa
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Angelillis Ciro che ha
concluso per l’annullamento con rinvio.
L’avv. Santi Taurini Roberto, difensore della costituita parte civile, conclude
per la conferma della sentenza della Corte d’appello di Firenze.
Per la ricorrente l’Avv. Giulia Buongiorno insiste per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 11/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Montepulciano con sentenza del 3.05.2012, dichiarava MORINI
Alessia e Sulejmanovski Vejsely responsabili del delitto di omicidio colposo, aggravato
dalla violazione di norme in materia di infortuni sul lavoro in relazione alla morte di
Sulejmanovski Riza, fratello del secondo imputato, deceduto per le gravi lesioni riportate
a seguito dell’abbattimento di un albero (un abete bianco alto circa 26 metri) che lo
aveva investito nel corso delle operazioni di diradamento di un bosco che i due fratelli
stavano svolgendo – alle dipendenze dell’impresa denominata “3 EMME” della quale la

La MORINI veniva, inoltre, ritenuta responsabile anche delle contravvenzioni in materia
di infortuni sul lavoro.
1.1 II giudice di primo grado ha ritenuto provata la responsabilità degli imputati
sulla base della perizia svolta in sede di incidente probatorio, delle consulenze tecniche
eseguite su incarico del P.M. e dai periti di parte, che, sostanzialmente, avevano
ricostruito in modo conforme il verificarsi del sinistro, nonché della documentazione
acquisita e delle testimonianze assunte in dibattimento.
Argomenta il Tribunale che i testimoni di polizia giudiziaria avevano riferito che fin
dai primi accertamenti era emersa evidente l’imperizia di Sulejrnanovski Vejselj, che, nel
procedere al taglio della pianta non aveva proceduto secondo la tecnica corretta, aveva
utilizzato una motosega in pessime condizioni, non aveva predisposto le vie di fuga, non
aveva praticato un taglio direzionale nell’albero, c.d. cerniera, che consente la caduta
controllata della pianta.
Quanto alla posizione della MORINI erano stati individuati diversi profili di colpa
per non aver fornito ai dipendenti l’attrezzatura necessaria per l’esecuzione, con le
corrette modalità, dei tagli forestali e per l’atterramento delle piante rimaste impigliate;
inoltre, per avere omesso di formare ed informare adeguatamente i dipendenti
Sulejmanovski Vejseli e Riza, in particolare sulle distanze di sicurezza tra gli operatori,
sui rischi connessi alla presenza di piante impigliate; infine, per avere omesso di porre in
essere una adeguata attività di controllo e vigilanza del cantiere, vigilanza che avrebbe
consentito di rilevare la condizione di pericolo che si era venuta a determinare e di
intervenire per scongiurare i rischi esistenti.
1.2 La Corte d’appello di Firenze, sul gravame proposto dai due imputati, con la
sentenza indicata in epigrafe, ha mandato assolto il Sulejrnanovski, confermando
l’affermazione di responsabilità della MORINI in ordine alla contestazione di omicidio
colposo, ritenendo infondati i motivi posti a base del suo appello, e dichiarando
l’estinzione per intervenuta prescrizione dei reati contravvenzionali.

MORINI era legale rappresentante– nel territorio del Comune di S.Abbadia S.Salvatore.

In particolare, quanto alla assoluzione del Sulemanovski Vejseli, secondo la
sentenza di primo grado, l’evento letale sarebbe stato provocato dalla caduta diretta di
una pianta di abete che l’imputato stava tagliando, mentre la Corte d’appello ha ritenuto
che gli elementi di prova acquisiti non possono essere considerati tali da escludere un
ragionevole margine di incertezza e, quindi, che non si possa escludere che la morte del
Riza Suléjmanovski sia stata determinata dalla caduta improvvisa di un albero
precedentemente tagliato e rimasto sospeso perché imbrigliato tra gli altri circostanti (il
Sulejmanoski Vejselj aveva sostenuto che l’albero che era caduto sul fratello fosse stato

alberi vicini). Sulla base di questa differente ed alternativa ricostruzione del fatto la Corte
fiorentina ha assolto il Sulejmanovski per insufficienza di prove a suo carico; ha, invece,
ritenuto che l’incertezza sulla dinamica dell’incidente occorso al Riza Sulejmanovski
fosse indifferente all’accertamento della responsabilità della MORINI.
2. Ricorre per cassazione la MORINI.
2.1. Con il primo motivo si denuncia manifesta illogicità e contraddittorietà della
motivazione in relazione alla ricostruzione della dinamica dell’infortunio ed in punto di
sussistenza dei presupposti normativi dell’imputazione oggettiva dell’evento alla
ricorrente.
La sentenza di appello, pur riconoscendo l’inidoneità dei risultati probatori
all’accertamento della effettiva dinamica dell’incidente letale – così da assolvere il Vejselj
Sulejmanovski per insufficienza probatoria – ha ravvisato che potesse comunque essere
verificata la rilevanza della ritenuta violazione delle regole cautelari da parte del datore,
di lavoro. Si adduce che, nel caso di specie, non è indifferente l’accertamento della
concreta dinamica dell’incidente al fine di valutare il concorso nella determinazione
dell’evento lesivo, della presunta inosservanza di regole di prevenzione negli ambienti di
lavoro, giacché non vi è un rapporto di causalità materiale tra le dette presunte
inosservanze cautelari della ricorrente e la morte del dipendente. L’accertamento della
concretizzazione del rischio, oggetto della regola di cautela violata, presuppone la
preventiva ricostruzione della dinamica dell’incidente. Nella sentenza gravata, invece, per
la Difesa l’enunciato di compatibilità delle contestate violazioni cautelari con l’evento
letale è del tutto astratto: tradisce la mancanza di un effettivo giudizio controfattuale.
Per altro, si adduce che la ricostruzione “ipotetica” del provvedimento impugnato
intorno alla dinamica dell’incidente appare ictu ocu/i contraddetta dai risultati probatori
acquisiti che, invece, avevano indotto il Tribunale a riconoscere la causa materiale
dell’infortunio nella caduta diretta dell’albero che l’imputato Sulejmanovski aveva appena
tagliato. Plurimi dati oggettivi introdotti nel processo non giustificano in alcun modo
l’approdo in fatto della Corte d’appello che è escluso sia dalle ragionevoli conclusioni

tagliato in precedenza dallo stesso Riza e fosse rimasto impigliato nella chioma degli

contenute nella perizia e nelle consulenze di parte, sia da tutte le dichiarazioni
dibattimentali rese sul punto dal perito, dai consulenti e da tutti i testi.
La diversa conclusione della sentenza è stata indotta da una valutazione parziale
e sommaria della rappresentazione dello stato dei luoghi, dettagliatamente offerta dalle
conoscenze acquisite all’esito dell’istruzione di primo grado.
In sostanza, si sostiene, la motivazione è viziata dalla omessa valutazione ovvero
dal travisamento di taluni dati probatori decisivi. L’ipotesi avvalorata dalla Corte d’appello
è basata sui rilievi di irregolare mancanza di rami su una pianta vicina a quella caduta su

dell’infortunio.
La Corte territoriale ha valorizzato il dato dello scortecciamento della pianta ed
eludendo completamente diverse evidenze oggettive. Ma l’ipotesi ricostruttiva della
Corte del merito è originata da un evidente travisamento probatorio alla luce delle
dichiarazioni rese in corso di incidente probatorio dal perito Sisti secondo il quale i dati
oggettivi sono chiaramente incompatibili con l’ipotesi che l’incidente sia stato provocato
dalla improvvisa caduta di un albero precedentemente tagliato e rimasto appoggiato ad
altro. In tal senso sono anche le conclusioni del perito del P.M. dott. Profili, confortate
anche dal perito di parte Spinelli.
In definitiva

il Giudice di seconde cure si è limitato a trasferire nel discorso
f
giustificativo della decisione talune conclusioni puramente dichiarative della relazion ie di
perizia realizzata in sede di incidente probatorio.
Dunque, dovendosi accreditare per quanto evidenziato, l’ipotesi fatta propria dal
Tribunale, l’evento letale verificatosi non costituisce affatto concretizzazione del rischio
asseritamente creato dalle violazioni cautelari contestate alla MORINI, essendosi
determinato in conseguenza del fatto che l’altro imputato aveva eseguito il taglio
dell’albero senza assicurarsi che nell’area circostante non vi fossero altre persone,
secondo le distanze stabilite dalle pratiche diffuse in materia. L’esecuzione corretta della
tecnica di taglio non assume rilevanza giacchè l’erroneo svolgimento non ha determinato
il rischio concretizzatosi nell’evento mortale, né ha concorso ad aumentarlo. La “tacca
direzionale” e la “cerniera” rappresentano una tecnica che non è finalizzata a
salvaguardare terze persone presenti nell’area, poiché non è evidentemente idonea a
prevenire il rischio che queste ultime vengano colpite dall’albero abbattuto: la funzione
cautelare della descritta modalità di taglio si esaurisce nella sola protezione
dell’operatore, il quale si trova necessariamente nella zona di pericolo, cioè di caduta
dell’albero. Si argomenta che è altamente probabile che se questa regola cautelare fosse
stata osservata da Vejseli Sulejmanovski l’evento de quo non si sarebbe verificato;
mentre, non può affermarsi, in termini di elevata probabilità, che l’infortunio occorso al

4.

Riza Sulejmanovski, l’esistenza di spazi modesti tra le varie piante sull’area

fratello dell’imputato non si sarebbe determinato se il taglio dell’abete fosse stato
eseguito correttamente. Sul punto né la motivazione della decine del Tribunale, né
quella della decisione della Corte d’appello hanno evidenziato dati o circostanze di fatto
idonei a fondare, in termini di ragionevolezza, la conclusione che la corretta esecuzione
del taglio avrebbe nel caso di specie impedito l’evento o reso altamente improbabile la
sua verificazione .
Si adduce che la Corte del merito ha pretermesso una circostanza riferita dal
fratello della vittima e cioè che questa per il rumore della motosega con cui stava

avvertimento, per cui si rileva che è altamente improbabile, secondo l’esperienza
comune, che la p.c., nelle dette condizioni, si sarebbe potuta avvedere della caduta
dell’abete nella sua esatta direzione, evitando l’impatto, se la pianta fosse precipitata con
una minore velocità.
Inoltre, si rappresenta che la motivazione del giudizio di responsabilità della
ricorrente è censurabile laddove esclude apoditticamente che il Vejseli Sulejmanovsky
fosse a conoscenza della regola di condotta che impone il rispetto della distanza di
sicurezza. La sentenza impugnata avrebbe dovuto superare l’obiezione dell’appellante
evidenziando dati o circostanze idonee ad escludere che il fratello della vittima fosse
consapevole di tale regola di prevenzione. Per altro, il rischio era riconoscibile da
chiunque non essendo specifico indipendentemente da una formazione da parte del
datore di lavoro.
2.2 Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge in relazione alla
ritenuta sussistenza delle violazioni delle regole cautelari ex art. 43 e 589 cod. pen. da
parte del datore di lavoro.
2.2.1 Con riguardo ad uno dei profili di colpa addebitati all’imputata, vale a dire
alla ritenuta genericità del documento di valutazione dei rischi predisposto dal datore di
lavoro, sulla base dell’adesione alle valutazioni sul punto del consulente Sisti, si
sottolinea che la MORINI non era in alcun dubbio obbligata ex lege a redigere tale
documento poiché al tempo del tragico infortunio ella aveva soltanto cinque dipendenti
assunti regolarmente, il che significa che la MORINI rientrava in quella particolare
categoria dì datori di lavoro esentati dall’art. 4 comma 11 d.Lgs 626/94, in vigore
all’epoca dei fatti, a redigere il DVR, ma era unicamente tenuta ad effettuare una
autocertificazione della valutazione dei rischi e un adempimento degli obblighi ad essa
correlati. Per cui, sulla base di tale considerazione, è del tutto erroneo attribuire un
coefficiente di colpa specifica alla condotta della ricorrente sulla base della genericità di
un documento che quella particolare categoria di datore di lavoro non è tenuto a
redigere, sviluppare e conservare.

operando che era in moto e per le cuffie sugli orecchi non poteva sentire alcun

2.2.2. Quanto all’altro profilo di colpa addebitato alla MORINI, consistito nella
mancata formazione ed informazione dei dipendenti sui rischi specifici derivanti dal taglio
di alberi, si rileva altro vizio della motivazione per contraddittorietà. Si è dimostrato che
gli obblighi di informazione del datore di lavoro furono assolti, ma anche nel caso in cui
si volesse ritenere il contrario, non si potrebbe fondatamente ritenere la sussistenza di
un nesso eziologico fra l’omissione colposa ed il decesso del lavoratore. Per prima cosa,
trattandosi di rischio non preciso, è la stessa giurisprudenza di legittimità ad affermare
che in tal caso ricorre l’affidamento del datore di lavoro sul comportamento diligente del

Quanto alla contestata culpa in vigilando, parimenti la Corte fiorentina è caduta in
errore essendo sufficiente fare corretta applicazione dei principi espressi dalla Corte di
legittimità con riferimento ai rapporti tra datore di lavoro e delegato alla sicurezza, sulla
base dei quali si può affermare che, in materia di infortuni sul lavoro, l’obbligo di
prevenzione, assicurazione e sorveglianza del datore di lavoro non impongono al datore il
controllo momento per momento delle modalità di svolgimento delle lavorazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I motivi posti a base del ricorso, il primo dei quali non consentito in questa
sede di legittimità, sono, comunque, infondati e ne determinano il rigetto.

3.1 Con il primo motivo, infatti, si è denunciata la contraddittorietà motivazionale
della sentenza impugnata laddove, sebbene si sia evidenziato che non è stata accertata
l’effettiva dinamica dell’incidente letale, potendo ravvisarsi una ricostruzione diversa da
quella prospettata dal Tribunale, la circostanza è stata ritenuta dalla Corte d’appello del
tutto indifferente in ordine all’accertamento della responsabilità dell’imputata. Si è
obiettato dalla Difesa che, in generale, l’accertamento della concretizzazione del rischio,
oggetto della regola di cautela violata, deve presupporre la preventiva ricostruzione della
dinamica dell’incidente, senza la quale è arbitrario collegare la condotta dell’imputato al
verificarsi dell’evento.
Questa Corte, con diverse pronunce (Sez. 4, Sentenza n. 2650 del 31/01/1995
Ud. Rv. 201422) ha affermato il principio che, in tema di causalità, qualora siano
prospettabili diverse ipotesi alternative in ordine alla ricostruzione del processo causale
dell’evento, non è censurabile la sentenza che affermi la sussistenza del nesso causale
tra la condotta e l’evento e con essa la responsabilità dell’imputato, senza precisare
quale tra esse si sia realmente verificata, qualora identiche siano le conseguenze
giuridiche dall’una e dall’altra derivanti. Ed ancora (Sez. 4 Sentenza n. 988
dell’11.07.2002, Rv. 227002), la dipendenza di un evento da una determinata condotta
deve essere affermata anche quando le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio

lavoratore.

della concatenazione causale, e possano essere configurate sequenze alternative di
produzione dell’evento, purché ciascuna tra esse sia riconducibile all’agente e possa
essere esclusa l’incidenza di meccanismi eziologici indipendenti.
La sentenza impugnata, sulla scorta di un’approfondita analisi degli elementi
probatori raccolti e delle relazioni peritali in atti, ha optato per una ricostruzione della
dinamica dell’infortunio sul lavoro de quo in parte diversa, sia pure per un particolare,
da quella prospettata dal Tribunale. E’ da rilevare, che to scenario in cui si è verificato
l’infortunio non è certamente mutato all’esito di quanto ritenuto in fatto dalla Corte

albero (quello tagliato dal fratello) o dalla caduta dello stesso albero, rimasto impigliato
nelle chiome degli altri alberi, in precedenza tagliato dalla medesima persona offesa,
non viene ad eliminare la responsabilità della ricorrente per l’inadempimento dell’obbligo
di predisposizione delle misure cautelari antinfortunistiche, come dettagliatamente
indicate nel capo d’imputazione, la cui carenza è emersa, in tutta la sua evidenza,
all’esito dell’istruttoria dibattimentale, ed ha determinato l’evento letale, comunque,
indipendentemente dalle due diverse ipotesi di caduta dell’albero. Sia nell’uno che
nell’altro caso, se fossero state adottate, l’infortunio non si sarebbe verificato.
Non va dimenticato che l’individualizzazione della responsabilità penale impone di
verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento, ciò che si
risolve nell’accertamento della sussistenza del “nesso causale”, e se la condotta sia stata
caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (generica o specifica), ciò che si
risolve nell’accertamento dell’elemento soggettivo della “colpa”, ma anche se l’autore
della stessa, il titolare della posizione di garanzia in ordine al rispetto della normativa
precauzionale che si ipotizzi produttiva di evento lesivo mortale, potesse “prevedere” ex
ante quello “specifico” sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo. In quest’ottica
ricostruttiva, occorre poi ancora chiedersi se una condotta appropriata (il cosiddetto
comportamento alternativo lecito) avrebbe o no “evitato” l’evento: ciò in quanto si può
formalizzare ‘l’addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente
evitato l’esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative
probabilità di scongiurare il danno (cfr. Sezione 4^, 6 novembre 2009, Morelli).
Ciò ha fatto il giudice di appello, il quale, rappresentandosi la condotta legale
richiesta alla ricorrente, in ragione della sua posizione di garanzia, per la qualità di
datore di lavoro, ha evidenziato come, sia ritenendo l’una o l’altra ricostruzione della
caduta dell’albero, la mancata sua attuazione ha comunque determinato l’evento; come
pure l’adozione di quelle misure, in base ad un giudizio controfattuale, di probabilità
logica lo avrebbe evitato.

territoriale: affermare che la persona offesa sia stata colpita dalla caduta diretta di un

Si tratta di conclusione che è esaustivamente risolutiva del tema processuale in
punto di responsabilità ed è in linea con la giurisprudenza di questa Corte in tema di
nesso di causalità, secondo la quale, in tema di reato colposo omissivo improprio,
quando non vi sia alcun ragionevole dubbio circa la sussistenza del nesso causale tra
condotta ed evento, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante
dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento
lesivo, l’esito del giudizio non può essere che quello dell’affermazione di responsabilità
dell’imputato. Ciò che rileva è la necessità della individuazione del nesso di causalità in

ricostruzione del nesso eziologico, non può assolutamente prescindersi dall’individuazione degli elementi necessari concernenti la causa dell’evento: solo conoscendo tali
elementi è poi possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al titolare
della posizione di garanzia per effettuare il giudizio controfattuale e verificare,
avvalendosi delle leggi statistiche o scientifiche e delle massime di esperienza che si
attaglino al caso concreto, se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma
omessa), l’evento lesivo “al di là di ogni ragionevole dubbio” sarebbe stato evitato.
In altri termini, la condanna al là di ogni ragionevole dubbio implica, in caso di
prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi
di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in modo da far risultare la non razionalità
del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa. Nel caso in esame, i giudici del
gravame di merito, una volta individuata la condotta ritenuta doverosa dall’imputata, tra
cui anche quella relativa alla previsione (con la conseguente adozione delle relative
misure prevenzionali) dei rischi connessi alla presenza di piante impigliate o sospese,
così come specificamente contestato nel capo di imputazione (di tal che viene meno
qualsiasi obiezione circa la violazione della disposizione di cui all’art. 521 c.p.p.), hanno
condivisibilmente collegato la condotta omissiva alla causazione dell’evento letale.
Ed hanno logicamente e correttamente affermato, come sopra evidenziato, che
non è possibile ritenere fondata la prospettazione difensiva perché, pur in presenza di
una diversa modalità di caduta dell’albero (rispetto a quella ritenuta dal Tribunale), è
stata acquisita la prova che :a) i due lavoratori non erano in possesso dell’attrezzatura
idonea per eseguire in sicurezza l’abbattimento degli abeti di grandi dimensioni e posti a
poca distanza l’uno dall’altro, con conseguente difficoltà di farli cadere a terra evitando
che si impigliassero gli uni con gli altri; b) mancavano corde, verricelli e mezzi meccanici
necessari per l’atterramento delle piante sospese, che, inevitabilmente (previsione del
rischio) costringevano i due lavoratori, per continuare il lavord, ad esporsi al pericolo di
una improvvisa caduta delle piante stesse; c) non era stata attuata una formazione dei
lavoratori dipendenti per quella specifica attività lavorativa.

termini di certezza processuale; la valutazione dei dati fattuali impone, infatti, che, nella

La condanna al là di ogni ragionevole dubbio implica, infatti, in caso di
prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti (che per altro nel caso in esame è
marginale atteso che quella ritenuta dalla Corte distrettuale è stata formalmente
contestata), che siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva
accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa
ipotesi alternativa, con la precisazione che il dubbio ragionevole non può fondarsi su
un’ipotesi alternativa del tutto congetturale seppure plausibile (v. sentenza Sezione 1^,
21 maggio 2008, Franzoni, rv. 240673; anche Sezione 4″, 12 novembre 2009, Durante,

Il compito della Corte di Cassazione, quando viene dedotta la violazione del
principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, è limitato a prendere atto di quanto accertato
dal giudice di merito e a valutare se appaia logicamente motivato nella sentenza il
raggiungimento dello standard probatorio sopra ricordato. Non si può, invero, trascurare
che la selezione e la valutazione delle prove spetta in via esclusiva al giudice del merito,
anche perché non c’è nessuna prova che abbia un significato isolato, slegato o
disancorato dal contesto in cui è inserita e solo il giudice di merito può apprezzarne la
valenza attraverso la valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio; con la
conseguenza che persiste per la Corte di Cassazione, nonostante le modificazioni
introdotte dalla L. n. 46 del 2006, all’art. 606 c.p.p., il divieto di accesso agli atti
istruttori, quanto meno nel senso che la Corte di legittimità non potrebbe mai esaminare
i singoli atti in modo separato ed atomistico, restando pur sempre il giudizio di
cassazione un giudizio di sindacato sulla tenuta della motivazione, cui è preclusa la pure
e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
l’autonoma deduzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
preferiti a qu,elli adottati dal giudice di merito perché ritenuti maggiormente plausibili o
dotati di una migliore capacità esplicativa (v. in questo senso, Sezione 1^, 11 maggio
2006, Ganci ed altro, rv. 234111).
Nel caso in esame, i giudici del merito, rimasta acquisita, per quanto sopra
esposto, una insuperabile certezza sulla ricorrenza della incidentalità causale tra le
omissioni contestate e l’evento letale, hanno incensurabilmente ritenuto che sussista la
prova sufficiente idonea a superare il ragionevole dubbio.
3.2 Il secondo motivo è altresì infondato.
Ciò che rileva, indipendentemente dall’obbligo legale di redigere il documento di
valutazione dei rischi (DVR), è che il rischio di cui trattasi non è stato assolutamente
previsto, neanche da quella autocertificazione cui fa riferimento la MORINI. Tale
documento, analizzato dal perito Sisti, risultava essere “carente in molti suoi aspetti:
infatti non analizza elementi fondamentali delle operazioni di taglio e di esbosco4 Fra gli

,s

rv. 245879).

elementi non presi in considerazione, e che risulta subito evidente, c’è la valutazione del
rischio specifico di intercettazione delle piante in caduta da parte di altre piante.
Dall’analisi di tale rischio potevano scaturire misure organizzative del cantiere tali da
prevenire e gestire eventuali criticità”.
In definitiva, come rileva la Corte fiorentina, non esistevano tassative prescrizioni
in materia di sicurezza che fossero state imposte dal datore di lavoro e alla cui costante
osservanza i lavoratori fossero stati debitamente addestrati.

stato verificato in concreto se tale asserita genericità di valutazione del rischio abbia
contribuito casualmente al determinarsi dell’evento, così come richiede la giurisprudenza
di legittimità, secondo cui il giudizio di inidoneità della valutazione dei rischi si deve
confrontare con un rigoroso obbligo motivazionale. La stessa giurisprudenza, continua la
Difesa, ha, poi, escluso ogni automatismo tra l’accertata violazione e l’evento dannoso
verificatosi. Il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa
antinfortunistica e l’evento lesivo non può essere desunto dalla mera omissione della
previsione nel documento di valutazione dei rischi, dovendo tale rapporto essere
accertato in concreto, rapportando gli effetti dell’omissione all’evento che si è verificato.
Tra l’altro, si rappresenta che la ricorrente, proprio al fine di valutare correttamente la
presenza di rischi, è ricorsa all’ausilio di una società accreditata di Siena, la Prassi s.r.I.,
che ha sviluppato il documento, ricorrendo, quindi, ai fini dell’esonero da responsabilità,
il principio dell’affidamento nell’altrui condotta.
Orbene, la censura, sebbene condivisibile in diritto, non coglie nel segno avendo
la Corte del merito collegato, in riferimento a quello specifico rischio, come ampiamente
illustrato, la condotta della ricorrente alla causazione dell’evento. Per altro, per
completezza di motivazione, per fugare ogni dubbio sulla rilevanza degli inadempimenti
contestati alla ricorrente, quale titolare della posizione di garanzia, ha anche analizzato
tale profilo tenendo conto della ricostruzione delle modalità dell’infortunio ritenuta dal
Tribunale, escludendo, comunque, che l’evento si sarebbe verificato, così come sostenuto
con l’appello, per errore del Sulemajnoskj Veseilj, non potendo tale errore, per i giudici
del secondo grado, essere ritenuto imprevedibile. Errore che, invece, trova la sua
essenziale spiegazione nel difetto di formazione dei lavoratori e di organizzazione del
cantiere.
Quanto poi al dedotto principio dell’affidamento, quale esonero da responsabilità,
la ricorrente dimentica che il datore di lavoro è l’unico destinatario degli obblighi
prevenzionali e, quand’anche abbia delegato ad altri la stesura del documento di
valutazione dei rischi, non di meno è tenuto, nel momento della sua attuazione, a

io

Sul punto la Difesa della ricorrente rileva la carenza di motivazione non essendo

verificarne la completezza e l’efficacia, adempimento che la MARINI non ha svolto, attesa
l’evidente inadtuatezza del documento, come prima evidenziato.
3.4 Per it ricorrente altro errore della sentenza è quello che si riflette sull’omessa
rilevanza del grado di incidenza da attribuire alla comprovata esperienza dei fratelli
Sulejmanovsky nell’attività di boscaioli, laddove si evidenzia una palese contraddittorietà
nel riconoscere che, sebbene esperti, la tecnica di taglio derivava dalla loro carriera di
boscaioli nel paese di origine. Ciò che emerge che entrambi i fratelli erano boscaioli di

pluriennale nel disboscamento di alberi di alto fusto, per cui non è neanche ravvisabile a
carico della MORINI una culpa in eligendo.
La giurisprudenza di questa Corte ha tratteggiato i contorni ed i contenuti
dell’obbligo di formazione gravante sul datore di lavoro in tema di prevenzione degli
infortuni sul lavoro. Questi ha l’obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione
sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al
proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni, in maniera tale da renderlo edotto sui
rischi inerenti ai lavori a cui è addetto (cfr. Sez. 3^, sent. n. 4063 del 04/10/2007, Rv.
238540; Sez. 4^, sent. n. 41997 del 16/11/2006, Rv. 235679. A ciò va aggiunto che il
D.Lgs. n. 626 del 1994, al quale occorre fare riferimento ratione temporis, all’art. 3,
comma 1 lett. s) poneva la “informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei
lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la
salute sul luogo di lavoro” tra le misure generali di tutela, distinguendole peraltro dalla
diversa ed ulteriore misura generale costituita dalle “istruzioni adeguate ai lavoratori”
D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, comma 1, lett. t); similmente il D.Lgs. n. 81 del 2008,
all’art. 15, comma 1, lett. da n) a q). Gli artt. 21 e 22 del citato decreto prevedevano e
definivano i contenuti degli obblighi di informazione e di formazione, intesi quindi come
attività ed obiettivi distinti. In particolare, per quel che qui più interessa, dell’attività di
formazione veniva scandito: a) l’oggetto, dovendo aver attinenza specifica al posto di
lavoro e alle mansioni assegnate al lavoratore; b) la temporalità, essendo evidenziati per
la sua somministrazione i momenti dell’assunzione, del trasferimento o cambio di
mansioni, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di
nuove sostanze e preparati pericolosi, nonché la modifica per evoluzione o per
innovazione del quadro dei rischi; c) il coinvolgimento degli organismi paritetici previsti
dall’art. 20 (ancora più dettagliato e portatore di limitazioni alle scelte datoriali, quanto a
contenuti e modalità di somministrazione dell’attività di formazione, è il D.Lgs. n. 81 del
2008, art. 37). Già questo breve tratteggio del profilo normativo dell’attività di
formazione che il datore di lavoro deve assicurare permette di evidenziare il seguente
principio: “in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l’attività di

esperienza già prima di essere assunti dalla ricorrente, erano boscaioli di esperienza

formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal
personale bagaglio di conoscenze del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga
esperienza operativa, o per il travaso di conoscenze che comunemente si realizza nella
collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro.
L’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle
esperienze e delle prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare
le attività di informazione e di formazione legislativamente previste, le quali vanno

dell’assolvimento degli obblighi di informazione e di formazione del lavoratore non può
ritenersi data dalla dedotta circostanza che i due fratelli Sulejmanoskj avevano
pregresse esperienze per avere esercitato l’attività di taglio di alberi di alto fusto nel loro
paese d’origine.
Ne deriva la correttezza della decisione qui impugnata.
3. 4. Da ultimo, quanto alle censure relative alla contestata culpa in vigilando la
richiamata giurisprudenza non si attaglia al caso di specie (V. parte narrativa) atteso che
è rimasto provato che l’azienda non aveva predisposto alcuna attività di vigilanza sul
cantiere, e per alcuni giorni i due lavoratori hanno operato in condizioni di insicurezza,
visto che il lavoro proseguiva nella stessa area in cui numerose piante erano rimaste
“sospese”, con grave pericolo di caduta, e che tutte le piante erano state tagliate senza
una corretta tecnica operativa, e senza il controllo da parte dell’impresa. Mancava una
qualsiasi predisposizione, diretta o indiretta (delegata) del controllo delle attività che si
stavano svolgendo e di come si stessero svolgendo.
4.

Segue al rigetto, la condanna delkicorrente al pagamento delle spese

processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., non emergendo ragioni di esonero ( e alla
rifusione in favore della costituita parte civile delle spese processuali da essa sostenute,
che si liquidano come da dispositivo, che si liquidano “ex actis” in mancanza del deposito
della nota spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorse e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ,
nonché a rimborsarékergr parte civile le spese sostenute per questo giudizio che liquida “ex
actis”in complessivi C 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma all’udienza dell’Il febbraio 2016.

compiute nella cornice formalizzata prevista dalla legge”. Ne consegue, che la prova

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