Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22143 del 17/01/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22143 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LARBI SAID nato il 22/03/1970

avverso la sentenza del 11/04/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO LEONARDO TANGA;

Data Udienza: 17/01/2018

N. 62
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso proposto dall’imputato in epigrafe avverso sentenza
recante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato ascrittogli è
manifestamente infondato e quindi inammissibile perché contenente censure
non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione
e la valutazione del fatto nonché l’apprezzamento del materiale probatorio,

ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da censure logiche
perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento
fondato su condivisibili massime di esperienza.
1.1. Va, poi, ribadito che il giudice chiamato a determinare la pena non
è vincolato nei propri poteri valutativi dall’apprezzamento del primo giudice
(che, in precedenza, ha applicato, pur nel minimo, la pena più grave prevista
dalla disciplina previgente), nel senso che non è tenuto a procedere solo ad una
operazione di ricalcolo matematico e proporzionale della pena. L’unico limite
che incontra il giudice è quello del divieto di reformatio in peius, nei limiti di cui
all’articolo 597, comma 3, c.p.p. quanto alla pena complessiva. In altri termini,
deve ritenersi che il giudice di appello chiamato ad applicare per gli illeciti
relativi a droghe “leggere”, a seguito della entrata in vigore della L.79/2014,
non trova alcun vincolo derivante dalla pena precedentemente irrogata. Ciò
significa che il giudice ha certamente l’obbligo di applicare la normativa più
favorevole ed ha anche l’obbligo collegato al divieto della reformatio in peius
sulla pena in assenza di impugnazione della parte pubblica, da intendersi nel
senso di non poter irrogare una pena superiore nel quantum finale a quella
irrogata dal primo giudice. Peraltro, rispettati tali obblighi, il giudice ha una
piena cognitio per quanto riguarda la quantificazione della pena, non essendo

vincolato dalle determinazioni assunte in proposito dal primo giudice. Ne deriva
che legittimamente il giudice di appello, nel rideterminare la pena complessiva
in modo più favorevole all’imputato, applicando i limiti edittali previsti dalla
attuale disciplina, può non applicarli nel minimo, come aveva invece fatto il
giudice precedente chiamato ad applicare la disciplina previgente (Sez. Fer., n.
35980 del 25/08/2015).
1.2. Tale principio, a ben vedere, riafferma il dictum della sentenza
delle Sezioni Unite 26 febbraio 2015, Jazouli, laddove si è chiarito che è compito
del giudice, chiamato a “rimodulare” la pena, quello di procedere ab imis ad
una nuova commisurazione della pena che assuma come parametro edittale
quello stabilito dalla disciplina derivante dalla L. 79/2014.

profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito che

1.3. Giova, infine, rammentare che la valutazione dei vari elementi
rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del
giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui
all’art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo
quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve
senz’altro escludersi (sez. 2, n.45312 del 03/11/2015; sez. 4 n.44815 del
23/10/2015).

pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa
delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di C 2.000,00
a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di
duemila euro alla Cassa delle ammende.

Così deciso il 17/01/2018

2. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al

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