Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22140 del 05/02/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22140 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ABATE GIOVANNI N. IL 29/05/1952
avverso l’ordinanza n. 623/2014 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
13/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/watik-le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 05/02/2016

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 13.11.2014 la Corte di Appello di Venezia dichiarava inammissibile
la richiesta avanzata da Abate Giovanni di dichiarare la falsità della data di una querela,
della data dell’ordine di iscrizione e della data di iscrizione nel registro degli indagati; la
richiesta affermava che la falsità era stata accertata nella sentenza della Corte di Appello
di Venezia in data 17.06.1998, ma non dichiarata in dispositivo. Il P.G .si era espresso nel
senso dell’inammissibilità dell’istanza, la quale avrebbe avuto lo scopo di far riesaminare

nella sentenza si scriveva che vi era una discrasia soltanto apparente tra la data
dell’intestazione del verbale di denunzia e la data in cui esso venne chiuso, giacchè la
redazione non avvenne in un unico contesto, ma nell’arco di vari giorni: quindi si trattava
di un errore di data che non dimostrava la falsità del contenuto del verbale stesso e la
questione sollevata era stata risolta nel corso del processo, per cui il dispositivo non era
viziato da alcuna dimenticanza, essendovi stata una valutazione di merito su quello che
era stato ritenuto un errore.
Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato personalmente, deducendo
innanzitutto ex art. 606, comma 1 lett. b) e c), cod.proc.pen. violazione e falsa
applicazione di legge, poiché la declaratoria di inammissibilità era stata deliberata dal
Giudice collegiale, ma de plano e non anche dal solo Presidente ai sensi dell’art. 666,
comma 2, cod.proc.pen.; pertanto, se il Presidente non aveva rilevato cause palesi di
inammissibilità, ma aveva anzi nominato un relatore, avrebbe dovuto tenersi il
procedimento camerale. Come secondo motivo si deduce ex art. 606, comma 1 lett. c),
cod.proc.pen. la mancanza o manifesta illogicità della motivazione: si sostiene che in
realtà nella sentenza de qua era stata affermata una sicura falsità oggettiva della data di
chiusura del verbale, ma si era ritenuto che essa non avesse avuto un rilievo particolare,
pretermettendo la strumentalità della querela e poi dimenticando di farne menzione nel
dispositivo. Anche il giudice dell’esecuzione aveva omesso di motivare su questi punti,
limitandosi a ritenere ininfluente la falsità oggettiva della data di chiusura della querela; né
aveva rilevato che la falsità era strumentale alla querela sporta contro il ricorrente dopo un
aperto contrasto e per sottrarsi al precetto di cambiali; si sosteneva che la falsità non era
stata affatto irrilevante e che il giudice dell’esecuzione si era sottratto all’obbligo di
motivare in merito.
Il P.G. si esprime per l’annullamento con rinvio, ritenendo che occorreva l’instaurazione del
contraddittorio con procedimento camerale.
Con memoria di replica il ricorrente insiste per l’accoglimento del ricorso e per
l’annullamento senza rinvio, ritenendo che il P.G. abbia errato nel ritenere che il giudice
dell’esecuzione aveva concluso per l’inammissibilità ritenendo l’istanza reiterativa, giacchè
non fu mai avanzata prima una richiesta di questo genere: insiste per l’annullamento
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questioni già affrontate e risolte in giudizio di cognizione; la Corte di Appello rilevava che

senza rinvio sostenendo che è palese la mancata menzione della falsità documentale nel
dispositivo, reiterando le ragioni esposte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso è fondato.
Per come detto in precedenza, il ricorrente aveva proposto un incidente di esecuzione ai
sensi dell’art. 675 cod.proc.pen. e cioè di dichiarare la falsità di alcuni documenti

assumeva non essere stata dichiarata in dispositivo.
La Corte di Appello di Venezia dichiarava inammissibile la richiesta, ritenendo che ciò che il
ricorrente riteneva essere una falsità documentale era, in realtà, una discrasia soltanto
apparente tra la data dell’intestazione di un verbale di denunzia e la data in cui esso era
stato chiuso: ciò perché la redazione del documento non era avvenuta in un unico
contesto, ma nell’arco di vari giorni, per cui si era di fronte ad un errore di data che non
dimostrava la falsità del contenuto del verbale stesso; peraltro il giudice dell’esecuzione
riteneva che la questione fosse stata risolta nel corso del processo.
La pronunzia veniva emessa dopo l’acquisizione del parere del competente P.M., ma senza
l’instaurazione del contraddittorio.
Il ricorso dell’Abate si fonda su due motivi di doglianza: il primo di essi concerne la
formalità procedurale con la quale è stata assunta la decisione; il secondo attiene, invece,
ad una asserita mancanza di motivazione sulla questione da lui sollevata.
Ma il secondo motivo risulta assorbito dal primo, il quale va accolto.
In effetti, l’art. 675 cod.proc.pen., nel disciplinare l’incidente di esecuzione relativo alla
dichiarazione di falsità di documentazione accertata nel corso di un processo, non fa
menzione della particolare procedura semplificata di cui all’art. 667, comma 4,
cod.proc.pen., per cui va utilizzata per esso il rito camerale di cui all’art. 666
cod.proc.pen., il quale prescrive, ai commi 3 e 4 (salvi i casi contemplati dal comma 2), il
procedimento camerale partecipato, ai sensi dell’art. 127 cod.proc.pen., con l’ulteriore
requisito dell’intervento necessario del difensore e del Pubblico Ministero.
Sul punto si riscontrano diversi arresti di questa Corte, che vanno coordinati tra di loro:
infatti, in linea di principio, in tema di procedimento di esecuzione, allorquando in ordine
all’inammissibilità della richiesta non è il presidente del collegio a provvedere in via
preliminare ai sensi del comma 2 dell’art. 666 cod.proc.pen., ma l’intero collegio, non può
addivenirsi alla risoluzione dell’incidente de plano, occorrendo invece la rituale costituzione
del contraddittorio (art. 666, comma 3, cod.proc.pen.) con la partecipazione necessaria del
P.M. e del difensore all’udienza (comma 4 del suddetto articolo). Ne consegue che la
mancata osservanza totale degli adempimenti indispensabili alla instaurazione di detto

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menzionati nella sentenza della Corte di Appello di Venezia in data 17.06.1998, che egli

contraddittorio comporta una nullità assoluta ed insanabile, rilevabile d’ufficio, ai sensi
dell’art. 178 lett. c) cod.proc.pen.
Ma occorre effettuare una puntualizzazione: nel procedimento di esecuzione la
dichiarazione di inammissibilità della richiesta per difetto delle condizioni previste dal
comma 2 dell’art. 666 cod.proc.pen. può essere emessa non solo dal presidente, secondo
quanto tale disposizione espressamente prescrive per ragioni di economia processuale, ma
anche dall’intero collegio; tuttavia, per la legittimità della decisione, è comunque
indispensabile che le ragioni d’inammissibilità siano di palmare evidenza ed il loro

violerebbero inevitabilmente i diritti di contradditorio e di difesa che il Legislatore ha inteso
tutelare con la procedura dettata dai commi 3 e 4 del citato art. 666 (Sez. 1, n. 1063 del
03.03.1994, Rv 197308; Sez. 5, n° 9 del 04.01.2000, Rv 215975; Sez. 1, n° 43023 del
27.10.2005, Rv 232710).
Nella specie, il giudice dell’esecuzione ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza del
ricorrente, senza però utilizzare il previsto rito di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 666
cod.proc.pen., così ledendo il diritto di difesa dell’interessato.
La decisione medesima avrebbe potuto considerarsi come correttamente assunta, pur se
adottata in forma collegiale e de plano, soltanto se la questione sollevata dal ricorrente
potesse ritenersi infondata per difetto delle condizioni di legge con una valutazione di
palmare evidenza: ma il provvedimento impugnato non ha riguardato una mera
reiterazione di istanza, bensì ha dettagliatamente motivato su argomentazioni contenute
nella sentenza della Corte di Appello di Venezia in data 17.06.1998, affrontando il tema
della falsità della documentazione

de qua

coordinato con la ricostruzione della

verbalizzazione di dichiarazioni durata diversi giorni e reiterando il convincimento del
giudice della cognizione circa una mancata dichiarazione di falsità nel dispositivo della
sentenza.
Tutta la questione non può considerarsi di palmare evidenza, per cui la decisione doveva
essere assunta, impregiudicato il merito, con il rito camerale partecipato e non de plano.
Pertanto, se – come nella specie – il giudice della esecuzione provvede de plano, fuori dei
casi tassativamente previsti dall’art. 666 cod.proc.pen., comma 2, con conseguente
inosservanza delle forme di rito prescritte, tanto comporta, secondo il generale principio di
diritto, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la “nullità di ordine
generale e di carattere assoluto, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento,
ai sensi degli artt. 178 e 179 c.p.p.” del procedimento (Sez. 1, 11 giugno 2013, n. 29505,
Rv 256111 e Sez. 3, 29 gennaio 2013, n. 11421, Rv 254939), per effetto della estensiva
applicazione delle previsioni della “omessa citazione dell’imputato e della assenza del suo
difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza” (Cass., Sez. 3, 29 maggio 1998, n.
1730, Rv 211550; Sez. 1, n° 41754 del 16.09.2014, Rv. 260524).

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accertamento non implichi la soluzione di questioni controverse, giacché altrimenti si

Dunque l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio e va disposta la
trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Venezia.

P.Q.M

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di
Appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 05 febbraio 2016.

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