Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22137 del 03/02/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22137 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRASSI GIORGIO N. IL 23/04/1956
avverso l’ordinanza n. 122/2013 GIP TRIBUNALE di RIETI, del
19/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/s~4e-1e conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 03/02/2016

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza in data 17.10.2007 del GIP del Tribunale di Rieti veniva applicata ex art. 444
cod.proc.pen. a Grassi Giorgio la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed €
2.400,00 di multa per il reato di cui all’art. 73 del DPR n° 309/1990.
L’accordo delle parti contemplava anche la sospensione condizionale dell’esecuzione della
pena, ma nel dispositivo della sentenza non veniva fatta menzione di tale beneficio. Così
l’interessato in data 02.11.2007 aveva proposto ricorso per cassazione, subordinato al

ancora avanzato, ma che avrebbe poi proposto al giudice dell’esecuzione in data
07.11.2007.
Con provvedimento in data 22.11.2007 la richiesta di correzione di errore materiale veniva
accolta, con contestuale rettifica del dispositivo della sentenza citata, cui si apponeva
l’annotazione della pena sospesa e della non menzione nel certificato penale.
Il Difensore presentava soltanto in data 20.07.2010 una rinunzia espressa alla
impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale dichiarava inammissibile il ricorso
in data 08.06.2011.
Successivamente in data 07.12.2012 l’interessato chiedeva che venisse dichiarata
l’estinzione del reato di cui alla sentenza prima menzionata, sostenendo che la data di
irrevocabilità della decisione doveva individuarsi nel giorno 22.11.2007 (e cioè in quello in
cui si verificava, a suo dire, la condizione risolutiva del ricorso dinanzi alla Corte di
Cassazione).
La richiesta veniva però rigettata dal GIP del Tribunale di Rieti, il quale invece riteneva che
la data di irrevocabilità si individuasse in quella del dì 08.06.2011 (declaratoria di
inammissibilità del ricorso stesso da parte della Corte Suprema): ciò perché la stessa
proposizione del ricorso in Corte di Cassazione faceva sì che l’irrevocabilità coincidesse con
l’esito di quel giudizio e si citava giurisprudenza della Corte Suprema che corroborava
l’assunto, evidenziando che, una volta proposta l’impugnazione, di qualunque tipo ed
anche se tardiva, il passaggio in giudicato di una sentenza si realizzava soltanto quando
era stato emesso il provvedimento che definiva quel giudizio, senza potere quindi
distinguere tra giudicato formale e giudicato sostanziale; si sosteneva altresì che l’atto di
impugnazione non poteva essere subordinato risolutivamente alla mancata verificazione di
un evento esterno al procedimento di impugnazione e ciò sia per evitare attività giudiziaria
precaria sia perché la rinunzia all’impugnazione è un atto formale, abdicativo, irrevocabile
e recettizio: pertanto la rinunzia avrebbe dovuto essere formalizzata ben prima.
Avverso detto provvedimento propone ricorso l’interessato a mezzo del suo Difensore,
deducendo invece che la rinunzia all’impugnazione doveva ritenersi perfezionata al
momento della avvenuta correzione dell’errore materiale, poiché questa era la condizione
risolutiva espressamente apposta al ricorso, da non ritenersi esterna all’impugnazione
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mancato accoglimento di una istanza di correzione di errore materiale che non aveva

stessa poiché connessa alla medesima; parimenti, tutti i connotati della rinunzia
all’impugnazione sarebbero stati sostanziati dalla formula della condizione risolutiva. Si
richiamavano i principi sulla formazione progressiva del giudicato, sostenendo che, con la
correzione dell’errore materiale, il Giudice aveva esaurito il suo potere decisorio e ciò dava
origine all’irrevocabilità della decisione.
Il P.G. chiede il rigetto del ricorso, evidenziando che l’intera procedura presenta l’anomalia
di un contestuale azionarsi di due procedure.

Il ricorso deve essere rigettato.
Per come detto in precedenza, il ricorrente – a causa della mancanza di un capo della
sentenza a lui relativa nel dispositivo (e precisamente del capo contenente la sospensione
condizionale dell’esecuzione della pena, pure presente nell’accordo raggiunto ex art. 444
cod.proc.pen.) – aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione avverso la
sentenza stessa; al contempo, aveva subordinato questo ricorso all’esito di una richiesta
che avrebbe avanzato, qualche giorno dopo, allo stesso Giudice della cognizione, in
funzione di giudice dell’esecuzione, per l’integrazione della decisione menzionata. Questa
integrazione era giunta in tempi celeri, mentre, fisiologicamente, il ricorso proposto dinanzi
alla Corte Suprema era stato dichiarato inammissibile in tempi più lunghi, e a seguito di
una ulteriore espressa rinunzia del ricorrente: così, ai fini dell’ottenimento dei benefici di
cui all’art. 445 cod.proc.pen., ora il ricorrente sostiene che l’irrevocabilità della sentenza
de qua dovrebbe individuarsi nella data della correzione del dispositivo e non in quella
della declaratoria di inammissibilità del suo ricorso dinanzi a questa Corte.
Ma le ragioni di doglianza avverso il provvedimento reiettivo di questa prospettazione sono
infondate.
In primo luogo, va detto che l’anomalia del caso in esame è data dal fatto che il ricorrente
aveva azionato contestualmente due procedure, e cioè il ricorso per cassazione ed il
procedimento di correzione di errore materiale, determinando così una situazione di bis in
idem processuale (ed infatti, al fine di evitare situazioni simili il Legislatore ha previsto la
competenza, in caso di impugnazione, del Giudice ad quem per la correzione di errori
materiali). In questo ambito, è d’uopo chiarire che la procedura corretta sarebbe stata
unicamente quella del ricorso per cassazione: la sentenza di applicazione della pena su
richiesta delle parti (art. 444 cod.proc.pen.) che ometta di pronunciarsi nel dispositivo
sulla richiesta di sospensione condizionale della pena – riportata, comunque, in
motivazione oltre che in premessa – cui l’accordo è subordinato, non può essere oggetto
del procedimento di correzione materiale ex art. 130 cod.proc.pen., in quanto tale
omissione equivale ad obiettiva assenza di un capo della sentenza, la quale comporta
l’invalidità della decisione che accoglie parzialmente una richiesta inscindibile – posto che,

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CONSIDERATO IN DIRITTO

ove il giudice non voglia concedere il beneficio, deve rigettare in toto la richiesta di
patteggiamento, ex art. 444, comma terzo, cod.proc.pen. – con la conseguenza che essa
non ne consente la correzione, ex art. 130 cod.proc.pen., ma non esclude, considerata la
funzione di economia del rito speciale, la rivisitazione della richiesta in questione da parte
del giudice tramite l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata (Sez. 5, ordinanza
n° 4654 del 20.12.2005, Rv 233626).
Nella fattispecie, la situazione di litispendenza è stata risolta dando precedenza alla
pronunzia irrevocabile intervenuta per prima e cioè all’ordinanza di correzione di errore

Corte Suprema dichiarava inammissibile il ricorso, con soluzione tecnicamente corretta che
risolveva il problema di bis in idem.
Tuttavia, questa situazione di duplicazione riguardava il solo capo della sentenza relativo
alla sospensione condizionale dell’esecuzione della pena e non è rilevante ai fini che qui
interessano.
Infatti, ai fini dell’estinzione del reato, richiesta dal ricorrente al giudice dell’esecuzione,
rileva unicamente la condanna in sé e detta condanna non era eseguibile se non dal
momento del passaggio in giudicato dalla sentenza.
Pertanto, gli argomenti da considerare sono i seguenti.
§ 1. Il termine quinquennale stabilito dall’art. 445 cod.proc.pen., in relazione alla condicio
sospensiva negativa, stabilita dalla legge ai fini della estinzione del reato, decorre dalla
data del passaggio in giudicato della sentenza di applicazione delle pena su richiesta (Sez.
1, n° 11498 del 25.02.2009, Rv 243043).
§ 2. Quando un’impugnazione sia ammessa dall’ordinamento, la sentenza diventa
automaticamente irrevocabile soltanto nel caso in cui non sia stata affatto proposta
impugnazione, mentre in presenza d’impugnazione il passaggio in giudicato si realizza
soltanto allorché sia divenuto definitivo il provvedimento che dichiari inammissibile
l’impugnazione (Sez. 6, n° 37738 del 02.10.2002, Rv 222850).
§ 3. In altri termini, l’irrevocabilità della sentenza si realizza automaticamente solo quando
sia inutilmente decorso il termine per proporre l’impugnazione. Nei casi, invece, di
inammissibilità dell’impugnazione proposta, l’irrevocabilità della sentenza consegue quindi
non già alla sola verificazione della causa di inammissibilità, ma alla dichiarazione
dell’inammissibilità che avvenga con un provvedimento, a sua volta, irrevocabile.
Conseguentemente, fuori dell’ipotesi in cui l’impugnazione sia stata proposta dopo la
scadenza del termine stabilito, la sentenza diventa irrevocabile quando viene emessa la
decisione con cui è stata dichiarata l’inammissibilità (Sez. 1, n° 3228 del 08.10.1990, Rv
185586).
§ 4.

Ne consegue che una sentenza impugnata non può passare in giudicato prima di

essere divenuta irrevocabile e addirittura per effetto di una ordinanza del giudice a quo
mentre pende impugnazione presso il giudice ad quem.

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materiale non impugnata e quindi non più emendabile. In seguito, in data 08.06.2011 la

In altri termini, la condizione che il ricorrente aveva apposto al suo ricorso è tamquam non
esset

poiché superflua: anche senza detta condizione sarebbe stata dichiarata

l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
Nella fattispecie, quindi, la data di irrevocabilità della sentenza di cui si discute va
individuata nella data della declaratoria di inammissibilità pronunziata da questa Corte a
seguito di apposito ricorso, senza che possa avere dispiegato effetti la peculiare
“condizione” che era stata apposta dal ricorrente e che era stata connessa all’attività di un
giudice diverso da quello di legittimità che pure era stato adito.

pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 03 febbraio 2016.

Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato e che il ricorrente va condannato al

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