Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22132 del 11/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22132 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da GONDOLA Vito, nato a Mazara del Vallo il 16/04/1938,
avverso l’ordinanza emessa ex art. 310 cod. proc. pen. in data 18/08/2015 dal
Tribunale di Palermo.
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata, il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tomassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale
Fimíani, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 11/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, investito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza emessa in data 30 luglio 2015 dal G.i.p.
di Palermo, che aveva applicato a Vito GONDOLA la misura della custodia cautelare in
carcere per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.,
Secondo la contestazione e gli elementi raccolti evidenziati dal Tribunale, il
Gondola aveva dato il suo apporto al sodalizio essenzialmente assicurando una
l’inoltro di “pizzini”, tra la struttura territoriale della associazione mafiosa Cosa Nostra
e il suo capo latitante, Matteo Messina Denaro.
2.

Ha proposto ricorso il Gondola a mezzo del difensore avvocato Vincenzo

Bonanno chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata. Denunzia violazione di
legge nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione:
2.1. con riferimento alla affermata sussistenza di gravi indizi di colpevolezza,
lamentando in particolare che il Tribunale non aveva tenuto conto di una serie di
deduzioni difensive; che né il G.i.p. né il Tribunale avevano cercato «soluzioni
alternative al contenuto delle frasi captate»; che il riferimento ai “pizzini” non era
stato mai corroborato dal rinvenimento di alcuno di essi; che nella conversazione del
26/02/2014 il riferimento ai “pizzini” (biglietti arrotolati o piegati) era smentito proprio
dal suo contenuto (si diceva di non piegare); che era stato equivocato il contenuto
della conversazione del 14/12/2012, essendo illogico che il timore di essere controllato
si riferisse ai “pizzini” (difficilissimi da trovare); che era illogico ipotizzare che
l’indagato andasse a nascondere i “pizzini” a pochi metri da dove si trovava invece di
consegnarli direttamente all’interessato, così complicandosi la vita inutilmente; che,
appunto, nessun “pizzino”, neppure in tali occasioni, era stato trovato;
2.2. con riferimento alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, specie di
tale eccezionale rilevanza da giustificare la restrizione in carcere di persona
ultraottantenne e in condizioni fisiche e psichiche scadenti, a cui era stato attribuito un
ruolo affatto marginale per un modesto arco temporale.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso appare per ogni aspetto inammissibile.
1.1. Quanto alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, nella motivazione del
provvedimento impugnato ineccepibilmente si rileva che:
– risultava definitivamente acclarato in molte sentenze oramai definitive che
nell’ambito di “Cosa Nostra” si era progressivamente consolidato un sistema di
comunicazione affidato a messaggi scritti, i cosiddetti “pizzini”, che attraverso una rete
di passaggi, consentiva ai capi dell’organizzazione di tenere i contatti con gli adepti e
di gestire a distanza le attività delittuose;

2

capillare rete di corrispondenza e comunicazioni, realizzata mediante la consegna e

- risultava in particolare, grazie anche alle dichiarazioni di collaboratori di
giustizia, che sicuramente il latitante Messina Denaro si serviva di codesto sistema per
raccogliere le informazioni a lui destinate e impartire disposizioni tramite pochi e ben
selezionati soggetti che fungevano da “tramite”, che avevano il compito di convogliare
i upizzini” destinati al Messina Denaro o da lui inviati; che le missive dopo la lettura
andavano distrutte, che destinatari e mittenti dovevano essere indicati con
pseudonimi;
– nello specifico, poi, gravi elementi che a capo della rete destinata a convogliare i
emergevano da una serie di conversazioni intercettate e di incontri videoripresi e
oggetto di servizi di osservazione, che, esaminati nel loro complesso, conducevano alla
conclusione che gli incontri non potevano avere oggetto diverso da quello, appunto,
dello scambio di “pizzini” diretti al Messina Denaro, attesi: il carattere fisico degli
“oggetti” scambiati; la natura criptica dei riferimenti verbali e l’assoluta incongruenza
del loro tenore letterale anche rispetto alle attività direttamente registrate dagli
inquirenti negli incontri seguiti alle conversazioni; l’esistenza di inequivocabili episodi
quali il momentaneo seppellimento in un buco, appositamente scavato, o dietro dei
massi dei “pizzini” raccolti, prima della consegna o dopo la stessa (si citano la
conversazione del 26 febbraio 2014 tra l’indagato, Giambalvo e Scimonelli, nonché le
intercettazioni e le riprese in data 20 giugno 2012 e 27 novembre 2012); il rango
criminale dell’indagato e dei soggetti con lui coinvolti, tale da far escludere che
potessero essere serventi a soggetti diversi dal Messina Denaro; la raccomandazione
di non piegare uno dei messaggi, che, proprio per il suo carattere eccezionale, faceva
ritenere che allo stesso fosse allegato qualcosa, una foto probabilmente, che poteva
venire rovinata; il riferimento esplicito a “Matteo” sfuggito talora (si cita l’incontro
video intercettato del 17 agosto 2013), e a comunicazioni scritte, invii e ricezioni,
pseudonimi, rispetto di date precise, contatti, opportunità di servirsi
dell’intermediazione di tal Terranova ma di cambiare il luogo degli incontri, rapporti
con il “misterioso personaggio” (si citano ancora le intercettazioni e le riprese del 27
novembre 2012 e del 17 agosto 2103).
E, rispondendo alle deduzioni riproposte nel ricorso, il Tribunale osservava tra
l’altro che, in siffatto contesto, la circostanza che non si fossero stati interventi
immediati, volti al sequestro dei “pizzini” trovava spiegazione più che ragionevole nella
finalità primaria delle indagini che era di giungere alla cattura del latitante e che
sarebbe stata compromessa da interventi di quel genere; mentre la mancata
individuazione degli altri soggetti che fungevano da tramite diretto con il latitante era
dovuto proprio alle particolari cautele e attenzioni poste in essere da questo.
Il ricorso riproduce, dunque, argomenti difensivi che non solo hanno tenore
meramente confutativo, ma ai quali, in ogni caso, la ordinanza impugnata ha già dato
risposte complete e logiche, non censurabili in questa sede, che il ricorso neppure
mostra di considerare.
1.2. Quanto alla sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, attesa

“pizzini” per e da Messina Denaro stesse l’anziano caponnafia Vito Gondola,

Trasmessa copia ex art. 23
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l’età dell’indagato, il Tribunale altrettanto ineccepibilmente ha richiamato sia
l’allarmante gravità delle condotte, dirette a favorire la latitanza di un pericoloso
caponnafia e il perdurante esercizio da parte sua del ruolo di vertice di un’agguerrita
organizzazione criminale, sia l’allarmante personalità criminale del Gondola,
desumibile dai suoi precedenti penali, dal ruolo di vertice anche da lui ricoperto, dalla
prosecuzione sino ad epoca recente dell’attività delittuosa e del ruolo in contestazione,
documentati dagli ulteriori elementi trasmessi al Tribunale del riesame in relazione ad
incontri e colloqui ulteriori del ricorrente con taluni coindagati, in cui si affrontavano i
giustizia
Sicché a fronte della motivazione, esaustiva e plausibile e che dimostra che sono
stati esaminati sia gli aspetti concreti della vicenda sia le situazioni soggettive e
personali del ricorrente, anche le doglianze riferite alle esigenze cautelari e alla
adeguatezza della sola misura carceraria, appaiono, oltre che riferite a valutazioni
squisitamente di merito, generiche, perché reiterano argomenti che hanno trovato già
risposte adeguate, che neppure sono considerate.
2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili dì
colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una
somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle
questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000.
Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la
cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.,
comma 1 ter.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp att. cod. proc. pen.
Così deciso il giorno 11 dicembre 2015
Il consigliere este

e

Il Presidente

temi di possibili contrasti tra famiglie mafiose e delle dichiarazioni di collaboratori di

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