Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2212 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2212 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Federico Mazzarella De Pascalis, quale
difensore dell’imputato Bolognese Pierluigi (n. il 21/06/1974), avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Lecce – Il Sezione Penale – in data
13.05.2013, con la quale si dichiarava inammissibile l’appello proposto dal
predetto imputato.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale il quale ha concluso
chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 05/11/2013

Osserva:

Con ordinanza in data 13.05.2013, la Corte d’Appello di Lecce dichiarò
inammissibile l’appello — per tardività dello stesso – proposto da Bolognese
Pierluigi avverso la sentenza resa in data 13/10/2011 dal Tribunale di Lecce
(con la quale veniva condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed
€ 2.000,00 di multa per il reato di truffa ed altro).

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’imputato, per mezzo del suo
difensore di fiducia, contestando le conclusioni assunte dalla Corte d’appello
in punto di inammissibilità. In particolare sottolinea che erroneamente i
giudici di merito hanno ritenuto l’imputato assente, mentre egli doveva essere
ritenuto contumace.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.

motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va, quindi, dichiarato
inammissibile. Infatti, la sentenza impugnata – resa il 13.10.2011 — è stata
emessa con motivazione contestuale. Di conseguenza l’appello andava
presentato entro 15 giorni decorrenti dal 13.10.2011 (quindi il 28.10.2011 e
non già il 27.02.2012 quando, invece, è stata depositata l’impugnazione) e
ciò perché il giudizio di primo grado non si era celebrato in contumacia
dell’imputato. Infatti, l’imputato — dopo essere stato dichiarato contumace —
era, poi, comparso in varie udienze e il giorno della lettura della sentenza era
assente per rinuncia. Circostanze queste ammesse dallo stesso difensore
del ricorrente (si veda pagina 1 del ricorso). Orbene si deve ricordare, in
proposito, che la comparizione in giudizio dell’imputato già dichiarato
contumace determina il venir meno della situazione di fatto che aveva dato
luogo alla relativa declaratoria, sicché la contumacia viene a cessare
indipendentemente dalla esistenza di un formale provvedimento di revoca
(Sez. 5, Sentenza n. 1784 del 26/10/2011 Ud. – dep. 17/01/2012 – Rv.
251712). Inoltre, l’omessa pronuncia del formale provvedimento di revoca
della contumacia nei confronti dell’imputato che, già dichiarato contumace,
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sia comparso in giudizio determinando il venir meno della situazione di fatto
che aveva originato la dichiarazione di contumacia, non spiega alcun rilievo,
in quanto la contumacia viene a cessare indipendentemente dall’eventuale
mancata pronuncia del formale provvedimento di revoca, previsto dall’art.
420 quater cod. proc. pen., con la conseguenza che, in tal caso, non è
dovuta all’imputato la successiva notifica dell’avviso di deposito della
sentenza, con il relativo estratto, ai sensi dell’art. 548, comma terzo, cod.

proc. pen. (Sez. 5, Sentenza n. 6472 del 01/12/2004 Ud. – dep. 22/02/2005 Rv. 231402). Nel caso di specie l’imputato non solo dopo essere stato
dichiarato contumace è poi comparso in giudizio, ma il giorno nel quale è
stata pronunciata la sentenza con motivazione contestuale egli era assente
per rinuncia. In proposito si deve rilevare che questa Suprema Corte ha,
addirittura, più volte affermato il principio — condiviso dal Collegio — che la
rinuncia a comparire all’udienza da parte del detenuto produce i suoi effetti
non solo per l’udienza in relazione alla quale essa è formulata (nel nostro
caso la sentenza è stata emessa — come detto – proprio all’udienza per la
quale era stata formulata la rinuncia), ma anche per quelle successive,
fissate a seguito di rinvio a udienza fissa, fino a quando questi non manifesti
la volontà di essere tradotto. A tutti gli effetti l’imputato che rinuncia a
comparire è legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato
dal difensore (Sez. 5, Sentenza n. 36609 del 15/07/2010 Ud. – dep.
13/10/2010 – Rv. 248433; Sez. 1, Sentenza n. 33510 del 07/07/2010 Ud. dep. 13/09/2010 – Rv. 248118). Inoltre, la rinuncia a comparire in udienza da
parte del detenuto produce i suoi effetti indipendentemente dalla causa della
detenzione, atteso che l’imputato detenuto nel caso in cui non voglia
presenziare al dibattimento deve necessariamente esprimere in maniera
esplicita il suo rifiuto, altrimenti il giudice ha l’obbligo di ordinare la sua
traduzione, sia nel caso in cui egli sia detenuto per altro che nel caso in cui
sia detenuto per il processo in corso (nella specie la Corte ha ritenuto che
all’imputato, detenuto per altra causa, che aveva rinunciato a comparire non
doveva essere notificata per estratto la sentenza di condanna, in quanto la
sua posizione non era assimilabile a quella del contumace; Sez. 1, Sentenza
n. 22504 del 26/04/2002 Cc. – dep. 07/06/2002 – Rv. 222633; Sez. 6,

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Sentenza n. 33259 del 14/05/2007 Ud. – dep. 23/08/2007 – Rv. 237484; Sez.
6, Sentenza n. 32955 del 07/06/2012 Cc. – dep. 22/08/2012 – Rv. 253117).
Di conseguenza — come detto – l’imputato assente al momento della
lettura del dispositivo è considerato presente ed è rappresentato dal
difensore. Pertanto non gli è dovuto l’avviso di deposito della sentenza ed i
termini per impugnare la decisione decorrono, nel caso di specie, dalla

dal 13.10.2011.
A fronte di quanto sopra il difensore del ricorrente — che tra l’altro
dichiara di conoscere la consolidata giurisprudenza di cui sopra — si limita a
formulare generiche doglianze che non tengono conto di quanto osservato
nel provvedimento impugnato. In proposito questa Corte Suprema ha più
volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i
motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del
30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – Rv 230634; Sez. 4, Sentenza n. 18826 del
09/02/2012 Ud. – dep. 16/05/2012 – Rv. 253849; Sez. 5, Sentenza n. 28011
del 15/02/2013 Ud. – dep. 26/06/2013 – Rv. 255568)
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 05/11/2013.

lettura della sentenza con motivazione contestuale e cioè — come già detto –

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