Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 22116 del 06/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 22116 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: GENTILI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SCINTO FAUSTO N. IL 14/02/1960
avverso la sentenza n. 803/2013 TRIBUNALE di FOGGIA, del
03/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA GENTILI;

Data Udienza: 06/05/2016

Ritenuto che il Tribunale di Foggia, con sentenza del 3 giugno 2014, ha
applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Scinto Fausto, previa
concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, la
pena di mesi 4 di reclusione in relazione alla imputazione avente ad oggetto la
violazione dell’art. 1-ter, comma 15, della legge n. 102 del 2009, perché,
nell’ambito della procedura volta alla emersione del lavoro irregolare,
dichiarava falsamente il possesso di un reddito imponibile di euro 22.131,00;

prevenuto deducendo la omessa motivazione o comunque la violazione di
legge in particolare in ordine al suo mancato proscioglimento ed alla mancata
concessione della sospensione condizionale della pena.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il ricorrente si è, per un verso, limitato a lamentare, senza alcun
concreto riferimento critico alla motivazione della sentenza impugnata, che il
giudice non avrebbe fornito alcuna motivazione circa la sua penale
responsabilità e l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod.
proc. pen., lamentando, per altro verso, la mancata concessione della
sospensione condizionale della pena;
che deve, peraltro, richiamarsi il costante orientamento di questa Corte,
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111
Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del
giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti,
lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente
correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa
dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione;
che da tanto consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni
delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause
di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per
la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (ex plurimis, Corte
di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2012, n. 36610);
che tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui
la motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di proscioglimento
ex art. 129 cod. proc. pen. appare, in ogni caso, sufficiente, perché richiama

che avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il

le risultanze degli atti di indagine da cui implicitamente emergono gli elementi
di responsabilità a carico dell’imputato;
che, relativamente alla mancata concessione della sospensione
condizionale della pena, il Tribunale dàuno nel non concederla ha fatto
corretta applicazione dei principi maturati presso la giurisprudenza di questa
Corte ed in base ai quali con la sentenza di applicazione della pena su
richiesta il giudice, se l’accordo tra le parti non è maturato a fronte di una

condizionale, non potendo travalicare i limiti del negozio che legittima la
sentenza (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 14 agisto 2003, n. 34352);
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto
della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché
rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la
parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente
fissata in € 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016
Il Consigliere estensore

richiesta condizionata in tal senso, non può disporre la sospensione

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